tag:blogger.com,1999:blog-4949161401327864492024-03-13T10:10:45.918-07:00ALMANACCO ROMANOdelle Arti & delle LettereALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.comBlogger387125tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-87342451366954577512015-09-01T05:24:00.000-07:002015-09-01T05:24:27.488-07:00Padri e figli<!--[if gte mso 9]><xml>
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<![endif]--><span style="color: #999999;"><span style="mso-spacerun: yes;"></span></span><span style="color: #999999;"><span style="color: #999999;">~<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></b></span>LA FINE DEGLI EROICI FURORI</span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999;">E</span><span style="color: #999999;"><span style="color: #999999;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"></span></b></span> LA PIETAS DELLA
RESTAURAZIONE ~</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">~<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«</b>Il ‘900»<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">, </b>V PUNTATA<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>~</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo
scorso. Le puntate precedenti </span></i><span style="color: black;"><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/1989.html">qui</a> <a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/lepoca-della-leggerezza.html">qui </a><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/06/scherzi-temporali.html">qui</a> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">e </i></span><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/07/pace-e-guerra.html">qui</a>.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Soltanto
forme di darwinismo scatenato permettevano simili espressioni: «Alla nazione
[tedesca] farebbe bene un ricambio di sangue, una rivolta dei figli contro i
padri, una sostituzione della gioventù alla vecchiaia» (Moeller van der Bruck
nel 1909). Le battute sguaiate della goliardia eterna diventavano parole
d’ordine politiche.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PARIGI
- Al rovesciamento dei valori predicato dai tedeschi si affiancò la
trasmigrazione dei valori, di cui si incaricarono soprattutto i francesi: lo
scacco matto della antropologia levistraussiana al Re europeo, l’arte africana
innalzata nel vuoto spinto di quella europea (e il presidente Senghor
assicurava che le raffigurazioni negre sono meno naturalistiche di quelle di Bisanzio).
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PONTI -
Epoca di transizione? Si vorrebbe un esempio preciso di un secolo che non fu
tale. Anche il periodo che durò più a lungo fu chiamato Medio Evo, età di
mezzo, che sfocia nel Moderno.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PATRIE
- Per secoli l’ordine esigeva che i contadini restassero inchiodati alla terra
di padre in figlio, che i popoli – per l’«istinto di patria» – fossero
attaccati al suolo che calpestavano, anche quando questo si presentava ingrato,
gelato o desertico. Ma nella staticità universale, un popolo di miseri correva
di qua e di là esprimendo un appassionato patriottismo lontano dalla terra di
origine dove «scorre latte e miele». Senza più suolo natìo, da secoli e secoli,
sparsi e sempre pronti ad adottare nuove città, gli ebrei della diaspora
rappresentarono un modello di patriottismo ‘internazionale’ ma senza
l’astrattezza dell’internazionalismo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">RIVALITÀ
- Nelle situazioni estreme, quando si è annichiliti dal terrore della morte,
cala la propensione ai bei gesti, alla generosità, alla cavalleria. Al loro
posto, egoismi sordidi. Di fronte a un pericolo mortale si è spesso rivali.
Coloro che, incalzati da una perenne emergenza, ritennero di «non potere essere
gentili», diedero vita alla più spietata concorrenza tra loro. Pensando di
combattere una battaglia decisiva per salvare o dannare il mondo, trovarono il
nemico sempre al loro fianco.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">FEDI -
Nelle convulsioni del Novecento non si ebbero soltanto gli Heidegger<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e gli Jung che prestarono fede, sia pure per
poco tempo, nelle speranze del Terzo Reich, si contarono anche, e a centinaia,
artisti e pensatori, gente delicata dunque, che si entusiasmarono in Occidente
per il dittatore georgiano. Si ebbe perfino l’omaggio dadà al Cremlino. E
Tristan Tzara se ne andò in Spagna a sterminare gli anarchici.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">DOPO LA TEMPESTA - Nel 1929,
soprattutto in Francia, si parlava di «fine del dopoguerra», quindi a un
decennio circa di distanza dalla data fatale che tirava fuori dalle trincee
milioni di uomini. Per trovare la ‘fine’ del secondo dopoguerra, quello
apertosi nel 1945, bisogna attendere il 1989, quasi mezzo secolo. Non a caso
quel tempo interminabile fu chiamato della Guerra fredda. La Guerra dei cinquant’anni. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA PAROLA</span><span style="color: black;"> DISPREZZATA</span><span style="color: black;"> - Gli eroici furori della gioventù si sono scatenati da
circa due secoli contro la Restaurazione.
Eppure bisognerà un giorno riconoscere la dolcezza della vita
dopo il 1815, quando in Francia si tentò di costruire un sistema politico
all’inglese, un moderatismo sofferto ma virtuoso, dopo gli eccitati giorni
giacobini, quando la violenza del patibolo marcava la quotidianità politica, o
dopo i giorni napoleonici che sconvolgevano le frontiere europee, con le
trasferte belliche in mezzo mondo e scie di sangue come fiumi. Assolutismo
della ghigliottina e assolutismo dell’imperatore: esteticamente impareggiabili
diranno i patiti romantici del dramma, epoche rimpiante dagli Stendhal che si
trovano disorientati da una stagione meno sanguigna. Si sa, i giudizi storici
si fanno distrarre da quelli estetici e in genere si preferisce il sangue e i
terremoti alla quiete lunga e grigia. Ma la Restaurazione non fu
affatto grigia. Prese le tinte solenni delle vecchie monarchie, della
tradizione, e quelle pastello della leggerezza dopo tanti lutti. Si obietterà
che la bassezza morale dei trasformisti, dei traditori della loro gioventù, gli
arricchimenti sospetti, il disonore e l’ipocrisia non possono rappresentare un
modello. Va stabilito che cosa ci si aspetta dalla politica. Un sistema per
garantire al meglio la vita oppure travolgimenti infiniti per inseguire la
giustizia umana. Oggi a chi riprende le vecchie critiche – il bel vivere di
alcuni sulla vita da cani della maggioranza – si può replicare che anche solo i
riflessi di quell’edonismo che sfiorano i più sfortunati scoraggiano chiunque a
giocare alla roulette russa degli estremismi. Il «muoia Sansone con tutti i
filistei» ha prodotto il furbo scampo dei filistei e l’ecatombe dei Sansoni
grossolani.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Restaurare
è un’azione di pietas, un atto di guarigione, un segnale di riappacificazione,
una spada che rientra nel fodero e mette fine alle distruzioni. Restaurare
significa ritrovare la vita, la soavità soffusa della vita, dello scambio
umano, delle ragioni degli altri. Se il XX secolo è stato il più lungo periodo
rivoluzionario della storia moderna (chissà nelle ère geologiche), il luogo
della guerra totale che poteva concludersi soltanto con la distruzione totale –
e la ‘distensione’ degli anni Sessanta era considerata una tregua provvisoria
per sferrare l’attacco finale –, se il terrore ha dominato l’epoca in attesa
dell’annientamento del nemico, soltanto una rivalutata Restaurazione servirà da
metafora per evitare il ripetersi dell’alternanza nuovo/vecchio, per impedire
l’abrasione del passato.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Con
l’abbattimento dell’aristocrazia e dei suoi privilegi nell’’89 si tolsero i
diritti al Tempo, la durata non ebbe più valore, e la memoria, privata dei suoi
privilegi, fu vuoto fantasticare. Le lamentele sull’attuale «eterno presente»
trascurano il fatto che tale ossimoro nasce dallo spirito della Rivoluzione francese,
quando si afferma il tempo come denaro, il tempo che va subito cambiato con
denaro contante, in luogo dell’invecchiamento come diritto acquisito.
Impoveriti tragicamente del passato (e del futuro), non è possibile rimediare
acquistando dagli antiquari vecchi idoli. Anche se gli antiquari proliferarono
proprio durante la
Restaurazione per alleviare chi era stato privato del bello
del passato.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Le
frenesie giovanili quando il tempo non passa mai impongono brusche
accelerazioni, giochi violenti con un passato sempre estraneo, presa di
distanza dagli anni più familiari per emanciparsi dalla puerilità. Quando però
il tempo comincerà a correre davvero – e invano si cercherà il misterioso ritmo
sospeso dell’infanzia –, sarà una autentica ipocrisia unirsi al coro giovanile
dei rivoluzionari, il coro che spasima per interrompere la storia, e sarà
stoltezza fingere di credere all’amnesia come soluzione, ai <i style="mso-bidi-font-style: normal;">tourniqués</i> magniloquenti per ingannare
la fine sempre troppo improvvisa di ogni vita. Fuori dal giovanilismo per
partito preso non è difficile coltivare un tempo lento, guaritore e
consolatore, voltando le spalle a un tempo personificato nel giustiziere con la
falce in mano che si sovrappone alla immagine della morte. Graduale,
sensualmente pigro, ricco di passato che conserva come un patrimonio, ricco di
futuro che come ogni possidente riesce a intravedere al suo orizzonte, e anche
a goderne, nonostante vi sia ospitata la morte, ecco il tempo della
Restaurazione.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">AUTOBIOGRAFICO
- Forse le generazioni nate a ridosso della guerra scelsero la Rivoluzione perché di
fronte a un passato troppo fradicio di sangue per essere decifrato,
interpretato e trasformato preferirono rifiutarlo in blocco: meglio confidare
nel Nuovo. Difficile per i primi giovani dell’èra consumista riuscire a
stabilire una qualche forma di convivenza con figure imbarazzanti quali la Povertà e la Morte; più semplice
respingerle nel vecchio mondo da far tramontare in fretta e definitivamente. Un
tempo non tanto remoto si chiamò comunismo la magia che avrebbe allontanato
dalla storia i mali antichi. Più tardi svanirono i contenuti, rimase soltanto
la forma che seppelliva il passato, che trasmutava le cose. Qualcuno la confuse
liricamente con un ciclico rinnovamento della vita comunitaria.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Ai
giovani, nuovi avventori del banchetto opulento come mai nella storia, la
società offrì uno spazio sproporzionato, e per qualche tempo si visse
disorientati la demolizione del mondo di ieri: dall’arte ai mestieri, dalle
abitudini al galateo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">CORRUZIONE
- Peccato capitale di questi giorni (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">primi
anni Novanta</i>): il corrotto è colui che si lascia comprare. Ci si mette in
vendita sul mercato dove fiorisce la domanda, si mette in vendita anima, corpo
e segreti d’ufficio. Hanno introiettato lo spirito del mercato, facendosi merce
tra le merci.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">KEYNES PROFETA
- Nel 1931, Lord Keynes seppelliva «i vecchi pregiudizi», faceva piazza pulita
dei«principi metafisici o generali sui quali si è voluto fondare di tanto in
tanto il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">laissez-faire</i>». «Di tanto in
tanto» però essi ritornano all’orizzonte e si prendono gioco delle teorie
keynesiane. A rileggere le sue «profezie», sembra irrealizzata proprio quella a
cui mostra di tenere di più. Scriveva infatti nel 1931: «Il mondo occidentale
dispone già delle risorse, ove sapesse creare l’organizzazione per utilizzarle,
capaci di relegare in una posizione di<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>secondaria importanza il ‘problema economico’ che assorbe oggi le nostre
energie morali e materiali». Il fine secolo presenta lo spettacolo di un mondo
incantato esclusivamente dai meccanismi economici. Idee, arte, vita intima,
tutto pare dipendere dai movimenti della Borsa. Per la prima volta anche i
bambini seguono come una gara sportiva lo slalom della moneta. Se i magnati
della finanza seppero unire l’intuito per le speculazioni con quello per i
capolavori pittorici (o quantomeno per individuare gli esperti-consiglieri da
tenere alla propria tavola), gli azionisti di massa sembrano dedicarsi soltanto
alla lettura dei listini e ai suggerimenti dei giornali specializzati. I manuali
sostituiscono il genio (nel senso del talento). Mai il mondo si è piegato così
completamente alle esigenze delle «necessità economiche». Non c’è ideologia,
movimento politico, movimento culturale che si sottragga a loro. Perfino
l’arte, o quello che attualmente passa per tale, gode della piena integrazione
nell’universo delle merci virtuali. Keynes però precisava che le sue profezie
avevano un carattere politico: «Se, infatti, persistiamo nell’operare
coerentemente secondo un’ipotesi ottimistica, questa ipotesi tenderà a
realizzarsi: mentre, operando secondo ipotesi pessimistiche, rischiamo di
chiuderci per sempre nel pozzo del bisogno». Adesso che da tutto il pianeta si
levano le lamentazioni per la compatibilità mentre regna il pessimismo, l’ora
ansiosa dell’emergenza, anche le promesse dell’economista britannico vengono
fatte passare per fanfaluche.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Meno
profetica ma estremamente saggia una sua considerazione del 1929: «I problemi
storici dei partiti del XIX secolo sono ormai morti». E da noi non sono pochi coloro
che a quei partiti e a quei programmi si richiamano con protervia.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">GIUSTI
NASCOSTI - Escono rivelazioni, soprattutto dagli archivi segreti dell’ex Stato
sovietico, di stragi compiute dalla «parte giusta» nell’ultima guerra mondiale.
Milioni di vittime silenziose per mezzo secolo, prive di requiem, di libri, di film,
di musei, soltanto perché colpite dai vincitori. Quanti carnefici soffrirono di
questi delitti senza neppure potersi difendere. E forse tra loro qualche ‘giusto
nascosto’ che restò senza onore.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">NOVECENTO
- Ludwig Klages, nel 1903, a
proposito di alcuni versi di George, ma il riverbero ideologico è ancora più
suggestivo: «Con una veemenza mai vista da almeno un millennio, l’umanità
europea era alla ricerca di una perduta patria dell’anima. Negli ultimi
trent’anni la mèta si è sentita più vicina che mai. La brace logorante della
nostalgia ardeva fino alla febbre, fino alla pazzia, e ardeva tanto più
selvaggiamente, quanto più la vita delle masse e degli Stati si estingueva in
una crudezza sempre più ottusa». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">RITARDI
- «Quel che avviene oggi in Italia è senza riscontro […]. Qui, da noi, il
disagio morale è per ovunque diffuso […]. Nei lavori pubblici lo sperpero è
così folle e vergognoso che in ogni città d’Italia abbiamo veduto sorgere
all’improvviso colossali fortune…». Gabriele d’Annunzio nella campagna
elettorale del 1900. Mezzo secolo di ritardo italiano rispetto alle improvvise
e colossali fortune parigine narrate da Balzac. Lo squisito anacronismo del
Belpaese. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ESTATE
’94 - Nell’agosto di duecento anni fa a Parigi infuria il Terrore. Guerra
totale ai propri concittadini in nome della logica politica che si ispira
all’etica. Corpi di donne e perfino di bambini rientrano nella geometria della
giustizia, dunque è lecito farli a pezzi. Ma in genere il rigore scientifico e
il senso pratico della ghigliottina evitano eccessi carnali e riportano il
popolo al suo ruolo rituale di coro intorno all’altare, all’ara sacrificale
drizzata nelle piazze francesi. La <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sensiblerie</i>
dei sovversivi che finora si è declinata sulla scala della indignazione cede il
posto alla fermezza, si irrigidisce sui princìpi. I Lumi che avevano rischiarato
il futuro scellerato dei regimi e il pozzo nero del potere adesso abbacinanano
gli occhi delle vittime in un solenne interrogatorio pubblico. Alle loro
orecchie giunge il brusio della condanna popolare, e forse fanno in tempo a
sentire il forte sospiro di sollievo del pubblico sotto il palco al cadere
della lama pesante. Soddisfazione sempre in nome dei princìpi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ESTATE
’95 <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>È passato un anno dal bicentenario
del Terrore. Tempo sprecato per i cinici e per i bendisposti.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Post scriptum </span></i><span style="color: black;">-<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>Nei quaderni di
appunti la citazione che riportiamo in fondo a queste righe non appare, anche se
avrebbe potuto esserci, faceva in tempo. L’edizione inglese della raccolta
infatti uscì nel 1995 e il testo in questione porta addirittura la data del
1988, proprio alla vigilia del Grande Crollo. È di un russo, il più amabile
scrittore russo del XX secolo, un esule che parve sprezzare le vendette, le
rivincite, le liberazioni e le stesse vicende della storia che pure lo avevano
perseguitato fin da giovinetto e con spietatezza. Diceva ai suoi studenti in
una università americana: «Cercate di non dare troppa importanza ai politici
non tanto perché siano ottusi e disonesti […] ma a causa delle proporzioni del
loro lavoro eccessivo anche per i migliori tra loro […]. Tutto ciò che possono
fare, uomini o partiti, è, al massimo, diminuire i mali della società, non
sradicarli». Il sottotono stupendo di Josif Brodskij corregge, attutisce,
stempera le pagine precedenti che danno ancora un peso eccessivo a certe
insulse azioni collettive degli umani. Ma la citazione che si vuole apporre è
un’altra, ricavata da un discorso tenuto ai ragazzi dell’Università del
Michigan. Dopo aver passato in rassegna in queste cinque puntate tanti cattivi
maestri, tante teorie scarsamente logiche, forse lasciandoci turbare ancora a
quei tempi dal cimiteriale archivio delle faziosità ideologiche, facciamo
concludere al buonsenso di un poeta che dice intorno al ribellismo cose in
totale controtendenza con il vocio rimbombante dei demagoghi (e non per
moralismo bensì per spirito cavalleresco, per arte di tiratori scelti): «Ora, e
nel tempo a venire, cercate di rispettare i vostri genitori. Se questo vi
ricorda troppo fastidiosamente l’‘onora il padre e la madre’, pazienza. Quello
che sto tentando di dire è di non ribellarvi ai genitori perché, con ogni
probabilità, moriranno prima di voi e quindi potreste risparmiarvi almeno un
senso di colpa, se non la causa del vostro dolore. Se dovete ribellarvi,
ribellatevi a coloro che non è così facile ferire. I genitori sono un bersaglio
troppo vicino (come pure, incidentalmente, le sorelle, i fratelli, le mogli o i
mariti); la sfera d’azione è tale che non si può sbagliare…» (in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Profilo di Clio</i>, Adelphi). <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">(5. - <i style="mso-bidi-font-style: normal;">fine</i>)</span></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-56521606926810278642015-07-18T13:24:00.002-07:002015-07-18T13:28:14.641-07:00Pace e guerra<span style="color: #999999;">~<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>QUANDO I FIGLI PARTIVANO VOLONTARI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>E QUANDO SI ACCORSERO D’ESSERE TUTTI </span><span style="color: black;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">DEVOTI DI EIRENE. ~<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«</b>Il
‘900»<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">, </b>IV PUNTATA<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>~</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: black;"> </span></b><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo
scorso. Le puntate precedenti </span></i><span style="color: black;"><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/1989.html">qui</a> <a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/lepoca-della-leggerezza.html">qui</a><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> e </i><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/06/scherzi-temporali.html">qui</a><i style="mso-bidi-font-style: normal;">.</i></span>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Quando
ancora sopravviveva una qualche forma di solidarietà religiosa, sia pure nella
versione più laica, i genitori assistettero con angoscia e con fede alla
partenza dei loro figli per la guerra, e questi trovarono ragionevole
partecipare al conflitto del mondo come volontari, rischiando con buona
probabilità di incrociare la morte.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PACIFISMI
- Francia 1936. «Non ci riusciva facile valutare il peso di quelle voci che si
inebriavano per la settimana lavorativa di quaranta ore e ignoravano che in
Germania si lavorava intorno alle sessanta ore. E neppure l’influenza di quei
sognatori che non si facevano scoraggiare nel loro antimilitarismo e
continuavano a pretendere che la linea Maginot fosse smantellata: il riarmo a
tappe forzate della Germania nazista non li toccava affatto. C’era da
disperarsi». Willy Brandt scriveva così nelle sue <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Memorie.</i> Chi scriverà dei ‘cortei per la pace’ che volevano
smantellare la linea Maginot dei missili puntati sull’Urss? Chi racconterà
delle epiche battaglie italiane contro il tycoon televisivo, fino alla vittoria
totale, mentre si proclamava la trattativa estrema se non la capitolazione verso
gli Stati più violenti del pianeta? Realisti, senza emozioni, senza lanciare
proclami, solo di fronte all’esercito serbo che massacra intorno e dentro il Grande
Lager di Sarajevo, appena sull’altra riva della Romagna in festa. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Anche i
bambini capiscono dai libri di storia della scuola primaria come la bilancia
della pace e della guerra, della trattativa e dell’oltranzismo, oscilli a seconda
delle circostanze politiche. Gli americani dovevano combattere fino alla resa
totale di Germania e Italia, guai a chi avesse parlato di trattative, di morti
da evitare, di bombardamenti da sospendere, perfino la bomba atomica era
accettata pur di distruggere il terzo alleato del Patto d’Acciaio. Dopo di che
l’atomica diventava il simbolo della distruzione della madre terra e quindi
scendeva su di essa il tabù, nessun essere umano poteva pensare di ricorrere a
un’arma simile. Naturalmente scervellato e criminale doveva apparire chi
pensava di prendere le armi per rispondere alle striscianti occupazioni russe e
cinesi, e addirittura come un mostro politico era raffigurato Israele che non
accettava, per amore della pace, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la
capitolazione e lo scioglimento dello Stato (senza sottilizzare sulla sorte di
quei milioni di ebrei in Medio Oriente, una volta consegnate le armi agli arabi).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">BONTÀ -
Si cade spesso in baratri demoniaci per le tentazioni della Bellezza e della
Bontà. I misfatti del XX ebbero i loro aedi e filosofi e volgari giustificatori
tra gli uomini incantati da queste due divinità. Talvolta si ebbero
contraddittori atteggiamenti: si restò affascinati dalla bellezza della faccia
cattiva per troppa bontà, come ammetteva il povero B.B. Nulla, infatti, era
proporzionato <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alle infinite ingiustizie
del passato e qualsiasi violenza nuova non riusciva mai a riequilibrare la
bilancia della Storia né a strappare le brutture del mondo, le storture che lo
rendono asimmetrico e disarmonico.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">BENE
COMUNE -<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«… gli antichi, una volta che
un’entità ideale avesse trovato una determinata raffigurazione materiale, la
rispettavano scrupolosamente. […] Il motivo è evidente: senza questa uniformità
non è possibile una interpretazione concorde» (Gotthold Ephraim Lessing, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Come gli antichi raffiguravano la morte</i>,
1769). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA DISFATTA</span><span style="color: black;"> - Quando l’impero sovietico precipitò, i suoi feudatari
occidentali furono inchiodati ad alcune meditazioni: chi aveva lottato per la
«distensione» non si era forse ingannato sulla natura di questa potenza, tigre
di carta che, come volevano i falchi, bastava stringere all’angolo per portarla
a una rapida resa? Non si sarebbe meglio contribuito, così facendo, alla pace
mondiale e alla libertà dei popoli che gli erano sottomessi? Come al tempo del
Patto di Monaco, non furono proprio quelli del partito della moderazione con i
prepotenti a favorire le peggiori conseguenze belliche? Non sono domande facili
come sembrano. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SUSSULTO
- È in corso una resipiscenza a proposito della violenza. Dopo avere invocato
per un ventennio il dio Marte nelle città d’Europa, dopo essersi ispirati alle
rivolte sanguinarie sudamericane, fantasticato di assedi contadini alla
metropoli industriale, benedetto perfino le sparatorie di quartiere, adesso è tutta
una celebrazione dell’irenismo. Nuove formazioni militanti scalano palazzi
rinascimentali, sabotano i party nelle ambasciate francesi, dichiarano guerra
al governo di Parigi. Qual è il pericolo che squassa la terra e minaccia
l’umanità? Pesci tropicali e acque marine trasparenti corrono dei rischi in un
angolo del Pacifico per colpa del presidente francese, faccia da bon vivant,
che vuole saggiare le armi nucleari dell’invecchiatissimo suo arsenale.
Potrebbero questi intrepidi combattenti in favore dei Tropici giurare sulla
loro coscienza che con il bazar atomico istallato nell’ex impero sovietico,
parzialmente in mano ad anonimi avventurieri privati,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non risultino utili nei prossimi anni questi
esperimenti finalizzati alle armi di dissuasione? Chi può escludere ricatti
atroci che non si respingono con il dialogo e le buone intenzioni? Ma il solo
pensiero di antichi esperimenti con l’atomo su isole felici fa correre un
brivido tra i frequentatori dei salotti planetari che custodiscono
l’«ambiente». E la gioventù più avventurosa dell’Occidente si incarica di
giocare alla guerra con la
Francia gaudente. Ci si potrebbe accontentare di un decimo di
questo sdegno per impiegarlo utilmente a favore degli assediati di Sarajevo. Ma
là c’è una guerra vera, il gioco non vale, la realtà supera la virtualità. Per
le anime belle meglio la guerra ai vini francesi. Come nell’operetta, senza
morti né feriti. Guerricciole disarmate.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PACIFISMI/2
- Avere urlato alla minaccia totalitaria, con tanto di dittatura alle porte,
soltanto perché nella Penisola al posto di vecchi maneggioni arrestati
sopraggiungevano al potere giovani senza esperienza di governo ma con voglia,
fino ad ora frustrata, di metter le mani sul tesoro; avere evocato le tecniche
goebbelsiane per la campagna elettorale del re delle televisioni in versione
politica, proprio mentre un inferno a cielo aperto ricorda con dettagli assai
precisi e terrifici i Lager degli anni Quaranta, potrebbe apparire ai posteri
(che forse però saranno – chissà? –<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>più
cinici dei nostri contemporanei) anche un crimine. Sventurati bosniaci,
sventurati per essere europei ma non cristiani, musulmani ma non arabi, privi
del clamore del Vietnam dal momento che non sono in scena gli americani, privi
di una buona causa, privi dell’esotismo della lontananza. Nessuna potenza
appoggia dei miserabili in stato d’assedio, i giovanottoni delle truppe Onu li
consegnano direttamente ai loro nemici. Guerre pacifiste.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">NATI
IERI - C’erano in Italia dei marchi politici assai antiquati: «comunisti»,
«fascisti», «mazziniani», «cattolici democratici»… Un po’ Risorgimento e un po’
primo Novecento. Hanno fatto un restyling, le bandiere sono cambiate tutte, i
colori sono stati corretti, ma il personale è rimasto lo stesso, o quasi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Tagliati
i ponti con ogni tradizione, ci si presenta come orfanelli vezzosi ma l’unica
cosa che ancora ci accomuna in tanto spaesamento è lo scontro fratricida come
Leitmotiv nazionale.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ASSOLUTISMI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Stato assoluto, umanesimo ‘integrale’,
religione senza Dio.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ANTI -
Che fuori dalla guerra ci si organizzi politicamente intorno a qualsiasi parola
che contenga <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un prefisso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">anti</i> è cosa sommamente ridicola. Ma nel
nostro linguaggio c’era un aggettivo che riportava all’ordine quel prefisso. A
chi infatti pretendeva criticare radicalmente il sistema russo si apponeva l’aggettivo
«viscerale» in modo da non esagerare. Si raccomandava insomma il realismo
politico, quel po’ di diplomazia che avrebbe evitato il cattivo gusto della
battaglia militante, una volta tanto considerata come fanatismo sgraziato.
Anche gli storici dovevano valutare i tiranni bolscevichi con il massimo di
freddezza, senza coloriture morali ma, se lo stesso metodo fosse stato
applicato alla Germania della Seconda guerra mondiale, ecco spuntare per loro l’accusa
senza remissione di «revisionismo». In ogni caso non c’era mai solidarietà
piena con le vittime dell’esperimento marxista perché esse erano una pietra di
inciampo nella costruzione radiosa della umanità. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">I
FLAGELLI - Dopo l’esplosione della patria internazionalista si è aperto il vaso
di Pandora dei nuovi mali. Non si tratta della punizione per avere osato
distruggere il paradiso in terra, casomai è la conferma terribile che i
paradisi in terra esplodono e i frantumi incandescenti ricadono sul mondo
sgomento.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">CIRCOLO
VIZIOSO - «In Europa per loro la partita è persa. Almeno per cinquant’anni non
ci saranno più». E anche: «Se il pericolo li deprime, al minimo successo non
temono più di nulla. È la più completa leggerezza e mobilità». Si diceva così
dei liberali dell’Ottocento. Oggi lo si può ripetere per chi credette nella
liberazione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">ex Oriente</i>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA VOCE DI</span><span style="color: black;"> VICHY - La sottolineatura krausiana dell’indifferenza dei
giornali nel «lanciare una guerra o un’operetta» mette in luce con i moderni evidenziatori
traslucidi i titoli delle gazzette contemporanee. Gli assediati di Sarajevo
sono bilanciati dalle file ai caselli e dai primi temporali che rompono
l’estate. Ricordano desolanti fogli di Vichy che informavano pedantemente su
viaggi forzati in Germania, battaglie della guerra mondiali, malinconiche
conferenze del professor X sul platonismo provenzale, applauditi concerti di
mademoiselle Y alla sala comunale, incidenti di ciclisti sulla strada
provinciale, tutto uguale come all’Inferno.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">COLPE -
L’Illuminismo rende naturale la morte fino ad allora causata da colpe, magie
malriuscite, malefizi. Nello stesso tempo rende la società colpevole di magie e
malefizi. Sennonché nessuna colpa ‘laica’ può assurgere all’importanza di
quella che causa la morte. Ragion per cui la spiegazione religiosa della morte
torna a sedurre…</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">TOLLERANZE
- La tolleranza islamica, la fama che si è conquistata, non deriva forse dal
fatto che Maometto prescrisse di non convertire in ogni caso l’infedele bensì
di limitarsi talvolta a sottometterlo? Non convertire, non agire sulla sua
coscienza definitivamente reietta ma sottoposta a pressioni fiscali in modo di
pagare il fio della sua natura di sottouomo, non degno di evangelizzazione, di
attenzione…<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SADISMI
- In quale altra parte del mondo sviluppato – oltre all’Urss al suo tramonto –
si patì un anno di totale isolamento e altri dieci di lavoro forzato per avere
richiesto un passaporto per Israele? Perché allora di fronte a crudeltà di
porno scrittorelli, e per di più verso ebrei che già ne avevano passate tante,
in Occidente si fu così tiepidi? Perché i più sensibili alle sventure umane non
apposero il loro nome e cognome sotto un appello vibrante in appoggio di chi
chiedeva nient’altro che un documento di identità per andarsene?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Perché nessuna scuola fu occupata in favore
della libertà di migrare? Come mai neppure i claustrofobici ritennero di
solidarizzare con chi era incarcerato duramente per aver voluto scappare via da
una cella eterna? Neppure i facinorosi Robin Hood delle periferie scesero in
piazza, organizzarono un concerto o tracciarono una scritta sui muri già tanto
martoriati delle nostre città.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">DEFINIZIONI
- Quando Willy Brandt, borgomastro della Berlino eroica prima che tessitore
della Ostpolitik, chiese ai suoi alleati un aiuto contro i Vopos che alzavano
un muro per dividere in due la capitale tedesca era forse un bieco oltranzista?
Un alleato della reazione mondiale? Un guerrafondaio che scherzava con il
fuoco? Un servo del capitalismo perché non si piegò al filo spinato? Questioni
bizantine di terminologia. E bastò al gruppo di dissidenti italiani, poi
espulsi dal partito, la riserva mentale per cui quello sovietico non era il
comunismo autentico a salvarli dalle cattive compagnie pur avendo fatto denunce
impeccabili dei mali dell’Est?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Ci fu
una critica di Mosca che salvava Pechino, una scelta spregiudicata tra due
tirannie. Così alcuni preferirono i cinesi perché più estremisti nella teoria
(e nei numeri assoluti degli sterminati). E capitò che futuri irenisti
approvassero e teorizzassero a loro volta l’eventualità di una Terza guerra
mondiale, promossa dai marxisti asiatici, che avrebbe travolto insieme i
vincitori della Seconda, americani e russi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">IL
PASSATO - Quando il<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Mondo dei Morti
parla e dà ordini ai vivi, quando impone le sue regole sui viventi, si può
parlare di una forma di tradizione? E il Vangelo che insegna a «lasciare che i
morti seppelliscano i morti» si ribella a questa tradizione? Eppure l’ordine
nuovo che si contrappone al passato e alle richieste dei trapassati si presenta
come un tradimento, produce terribili angosce. Ed ecco che ogni sopravvissuto,
testimoniando sul passato, raccontandolo sia pure per frammenti, mitiga la
violenza della novità con l’affettuoso rispetto per gli avi scomparsi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">IL
PIACERE DI CONDANNARE - Elias Canetti tocca un nervo scoperto della cultura:
«Il piacere di esprimere una sentenza negativa è sempre inconfondibile […]. Ci
si eleva svilendo gli altri. […] In ogni caso egli si annovera tra i buoni».
Non riguarda soltanto l’atroce mestiere del giudice, qui cominciano le
disavventure del cosiddetto «pensiero critico», le sue facili degenerazioni. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ANCIEN
RÉGIME - Gli atei? Sostenitori della sovranità assoluta della Morte.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PICCHI
- Talvolta viene da fantasticare su un maturo conservatore bismarckiano che a
un certo punto si imbatte, sul finire dell’Ottocento, nelle teorie di
Nietzsche, negli scritti pubblicati a proprie spese del professore di Basilea:
wagnerismo filosofico, eccitata presunzione giovanile di essere a un passaggio
d’epoca, forse una vena di follia ereditaria – avrà borbottato. Senza ricorrere
all’esuberanza indiana dell’eterno ritorno, la circolarità del balletto umano
era garantita ai suoi occhi dalla tradizione familiare, dai prosaici rogiti che
attestavano possedimenti stabili nelle variazioni bizzose del tempo, dalle
storie degli antenati che ripetevano a distanza di secoli gli stessi peccati di
debolezza amorosa o di crudeltà, con analogie così precise da fare irridere
ogni ripartizione definitiva d’epoca, e da schiudere continue vie di fuga <i style="mso-bidi-font-style: normal;">à rebours</i>. Si sapeva che soltanto le
vecchie dame civettuole e gli altalenanti giovinetti si consolavano con
l’unicità del tempo dei loro vent’anni (per quanto protratti), la saggezza
dell’età di mezzo consigliava un po’ di scetticismo a proposito dello sfondo
storico cui è dato di vivere. Non avrebbe sospettato, il nostro gentiluomo, che
il pensiero conservatore, di lì a poco, sarebbe stato irretito dagli squilli
rivoluzionari, dagli annunci di un’èra completamente nuova, senza più metafisica,
con forti dubbi anche sulla dimensione umana. L’Apostolo di Zarathustra
credeva<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di essere sul picco dei secoli,
diventò poeta di quella escursione storica. I suoi esegeti presero alla lettera
le parole oracolari: fatti rapidi conti, stabilirono di essere giunti al
meridiano zero. E la prima parte del Novecento si trovò dinanzi a una filosofia
che si voleva più radicale di ogni rivoluzione, compresa quella di Mosca che
prometteva un totale rovesciamento della storia. Orda orientale e pensiero
germanico per lavorare ai fianchi l’attempata società borghese. Così, nella
gara al maggiore estremismo giocata dalle avanguardie sopraggiunsero i tanks
filosofici tedeschi e azzerarono tutto. Con gli occhiali nietzscheani<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si poteva scorgere nichilismo dappertutto. Nel
paesaggio eroico, militarizzato, degli anni Trenta, e in quello colmo di
macerie del dopoguerra, nel deserto del più scientifico sterminio di umani o
nel malinconico scenario dell’affondamento degli imperi, con i bagliori
nucleari ancora minacciosi, le previsioni dei devoti di Zarathustra sembravano
avverarsi. Stato mondiale – auspicato o temuto, non importa –, «guerre
cosmopolite», fine del mondo millenario. Poi rispuntarono le questioni
nazionali, anche nei cortili nostrani del Tirolo, riapparve perfino l’egemonia
tedesca, e il conservatore misteriosamente sopravvissuto avrà sorriso sotto i
suoi baffoni dell’altro secolo. Insomma, terminati i fracassi della guerra
mondiale della cultura, della mobilitazione generale dei cosiddetti
intellettuali, ci si accorse che la borghesia, per quanto esteticamente
malconcia, resisteva. I superuomini profetizzati si trovano soltanto tra gli
eroi dello sport, protesi a imporre nuovi record sempre più distanti dalla
natura umana. Ma si tratta di esseri cresciuti all’ombra della tecnologia,
meglio: di prodotti tecnologici per la gioia dello spettatore televisivo
accovacciato sul sofà. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Non
accadde forse lo stesso per le tinte criminali dei testi surrealisti, con tanti
eroi negativi onde rendere ancora appetibile una letteratura illanguidita?
Polemizzerà in seguito con i suoi ex confratelli Roger Caillois: «Predatori di
cadaveri col pubblico consenso, pretendete di passare anche per eroi e di fare
del vostro cinismo una virtù supplementare della vostra arte». Per forza di cose
il pensiero anglosassone si offriva come una tisana onde smorzare tanta enfasi
apocalittica. «Niente» divenne intanto un intercalare ossessivo del gergo
adolescenziale, punto di appoggio per sostenere un discorso balbettante,
confuso dalla timidezza, una parola non da poco per minimizzare.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">(4.- <i style="mso-bidi-font-style: normal;">continua</i>)</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-87120909297544442842015-07-06T14:43:00.000-07:002015-07-06T14:44:52.096-07:00Il rito delle scuse<!--[if gte mso 9]><xml>
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<![endif]--><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">~ </span>CATTOLICI, ANCORA UNO SFORZO</span>
<br />
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 28.3pt; text-align: justify;">
<span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">PER ESSERE
DEI GENTILUOMINI ALLA MODA ~</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 28.3pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Giudicare il
passato con il paradigma giuridico e linguistico dell’oggi è cosa illegittima e
ingenerosa. Sconcertante dunque quel ripetuto scusarsi della gerarchia
cattolica (rivolto al genere umano? ai propri fedeli?) per teorie e pratiche,
risalenti ad alcuni momenti della sua<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lunghissima
storia, che non si conciliano con il pensiero dominante della nostra epoca.
Eppure, subito dopo lo sconcerto – anche per lo svilimento delle pie intenzioni
di chi ci ha preceduto, dei maggiori sempre da venerare, delle loro imprese a
gloria di Dio –, subentra la vecchia idea della barchetta di Pietro nel mare
procelloso, della navigazione miracolosa tra venti furiosi, del magistero asintotico,
della solidarietà complice tra pontefici lontani nel tempo che permette
correzioni reciproche. In questi pubblici atti di umiliazione possono magari brillare
lampi di tradizione viva. I papi fanno a gara nel lucidare l’immagine della
Catholica, nel cancellare le umane imbrattature che la ammorbano come una muffa.
Nobile dunque l’intento, c’è però il rischio di guardare alla storia da un
punto di vista privilegiato, come se si fosse ormai pervenuti, per opera del
progresso, a un’altura celeste, definitiva. Dalla sommità delle umane presunzioni
ci vergogneremmo delle rozzezze del passato, senza renderci conto dell’abisso
dove siamo precipitati noi, i moderni. Di scusa in scusa, arriverà il tempo in
cui, davanti al tribunale del pensiero a una sola dimensione, si reciterà un
estremo «mea culpa». </span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Appena
liberato dal carcere della Bastiglia, il marchese libertino della algolagnia dedicò
ai suoi liberatori, nel frattempo divenuti regicidi, un libello titolato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Francesi, ancora uno sforzo per diventare
repubblicani</i>, <span style="mso-spacerun: yes;"></span>dove si promuovevano
le peggiori nequizie, il suo repertorio per l’appunto sadico, onde trarre le
definitive conseguenze teologiche dalla decapitazione del re: se avete ucciso
il garante divino dell’ordine, tutto è permesso. L’opinione pubblica attuale è
meno affabile del perverso settecentesco e impone i suoi diktat: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cattolici, ancora uno sforzo se volete
essere dei gentiluomini alla moda, </i>ripete all’infinito e in modo ossessivo
su tutti i media. Ovvero, non bastano gli aggiornamenti, la cancellazione della
liturgia secolare, l’annacquamento delle regole morali, l’ossequio verso il
pensiero dei nemici: ci sono delle pagine nei libri sacri che proprio non
vanno. Sì – essa dirà –, avete cassato la preghiera per gli ebrei del venerdì
santo, senza sottilizzare, ve ne diamo atto, se la parola «perfidi» si
riferisse a una malvagità congenita del popolo di Mosè o all’etimologia che
spiega: «ostinati a non riconoscere una verità», ma c’è ben altro da fare.
Prendiamo il biblico Deuteronomio. Siete al corrente, signori del dialogo, di che
cosa c’è scritto in quel libro del Pentateuco? Leggiamo, citando dalla Bibbia nella
versione ufficiale della Cei: «</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra
in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te
molte nazioni: gli Ittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli
Evei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, quando il
Signore, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le
voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro
confronti non avrai pietà. Non costituirai legami di parentela con loro, non
darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi
figli, perché allontanerebbero la tua discendenza dal seguire me, per farli
servire a dèi stranieri, e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi e
ben presto vi distruggerebbe. Ma con loro vi comporterete in questo modo:
demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali
sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco» (7, 1-5). <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;"></span></i></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Ecco, i signori della
tolleranza trovano spesso decisamente «intollerabili» molti pensieri e molte
pagine delle culture a loro opposte, esigendo e ottenendo dal potere politico assai
rigide censure. Diranno allora gli avversari: può la Chiesa di Roma che ha
chiesto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>perdono per le incomprensioni
con Galileo e per la repressione delle eresie, lodare, incensare e diffondere
un libro che comanda di comportarsi in tal modo? E a questo punto faranno
menzione di un altro passo: «Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che
non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano
castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo
condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno
agli anziani della città: ‘Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole
obbedire alla nostra voce, è un ingordo e un ubriacone’. Allora tutti gli
uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà. Così estirperai da te il male,
e tutto Israele lo saprà e avrà timore» (21, 18-21). Razza di lapidatori,
aggiungeranno i moderni nemici, pentitevi, pentitevi, ritrattate, chiedete
scusa. Né le aperture dei sinodi sulla famiglia – insisteranno i critici della
Chiesa – potranno attenuare raccomandazioni come questa: «La donna non si
metterà un indumento da uomo né l'uomo indosserà una veste da donna, perché
chiunque fa tali cose è in abominio al Signore, tuo Dio» (22, 5). E condanne a
morte – sottolineeranno – sono comminate dalla Bibbia per ogni tipo di
adulterio, lunga è la sequenza deuteronomica, a cominciare da: «Quando un uomo
verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire:
l'uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele»
(22, 22).</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Di fronte a
queste severissime citazioni, all’opposto dell’attuale sentimentalismo
asfissiante, quanti ecclesiastici resisteranno alla voce del progresso che
impone loro di scusarsi per il libro santo? Quanti vorranno fare il gentiluomo
e saranno pronti a bruciare (simbolicamente, s’intende) le pagine bibliche
incriminate? E quanti troveranno la soluzione del problema rifacendosi all’eresiarca
Marcione, rigettando cioè l’Antico Testamento e cercando di piegare il cristianesimo
alla vita moderna? Ma anche senza collazionare gli innumerevoli precetti
violenti del Messia che annuncia di aver portato la spada in questo mondo,
basterà nominare l’Apocalisse, libro canonico, parte integrante e conclusiva
della Bibbia cristiana, perché sia subito scandalo anche nel Nuovo Testamento. La
vendetta divina, il Giudizio sonoro e tremendo non sono motivi che piacciono ai
contemporanei, i discorsi ‘ebraici’ del visionario di Patmos sembrano poco
adatti alla angelicità in voga. Anzi, mai come adesso, il tono apocalittico,
consentito alla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">science fiction</i> come
al catastrofismo socio-politico, è negato alla religione. Perfino nel
mondanissimo Rinascimento le pagine escatologiche avevano maggior risalto, e la Cappella papale per
eccellenza, il cuore della corte che oggi si condannerebbe come ‘paganeggiante’,
le metteva in scena<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nella più grandiosa
immagine della storia dell’arte: il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giudizio</i>
michelangiolesco. Icone della guerra finale, che adesso ci proibiamo per tabù
impostoci dagli altri. Libro «oscuro, sublime, sanguinoso» (Balzac), dalla
prima all’ultima parola è l’intera Bibbia che appare estranea al nostro tempo. Non
basta nascondere o svilire nei commenti l’Apocalisse come le più dure parabole
di Cristo, negli ultimi tempi alla Chiesa di Roma vien intimato a gran voce di chiedere
scusa per il fatto di non rassomigliare a nessun’altra istituzione, a
nessun’altra religione. E il suo passato non somiglia neppure alla lontana a
questo presente. Peccato gravissimo di anacronismo agli occhi dei contemporanei.
Imperdonabile essere inattuali, nonostante i capi ecclesiastici ricorrano a
ogni camuffamento, pure al glamour, per nascondere tale colpa. Del resto,
benché sempre accusata di saper tessere compromessi come nessun altro, la Chiesa di Roma si
caratterizzò fin dall’inizio con quella caparbia difesa dei «valori non
negoziabili» per cui, unica tra le sètte che pullulavano nella capitale pagana,
rifiutava il culto dell’imperatore di turno, facendosi massacrare per resistere
all’idolatria politica. «O Roma felix», si canta nella festa di Pietro e Paolo,
«es consecrata glorioso sanguine», imporporata dal sangue che la fa santa. In
tempi tanto soft, nella realtà virtuale che prende le forme di una pseudo
eleganza del design al servizio delle merci, il sangue è inopportuno.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’Apocalisse risulta più minacciosa di ogni
effimero terrorismo, dal momento che annuncia la distruzione definitiva delle
fondamenta del mondo. </span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">L’ipocrisia
del discorso pubblico condanna le guerre antiche condotte in nome della verità
e accetta le stragi dell’oggi compiute in nome della comodità: che crepino in
mare donne e bambini dell’altra costa purché non turbino con la loro presenza
il ‘tenore di vita’ opulento del Nord Europa protestante e ordinato, eticamente
corretto. «Questo orribile protestantesimo che ci divora» (ancora Balzac) e ci
divora tutti, anche in modo inavvertito. Non ne vogliono più sapere del
legislatore ebreo che raccomanda di passare a fil di spada il nemico, che
indica le regole per vincere la guerra difficilissima, e che ordina di
rispettare lo straniero che viene tra noi. Ignorano le parole dolcissime con
cui l’Apocalisse parla al cuore dei disperati.</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Verrà forse
un vescovo a dire: «Perdonateci se abbiamo un libro intollerante, dove c’è l’istigazione
all’odio e un esecrabile spirito di vendetta». È già luogo comune che solo le
religioni sono feroci, quella cattolica prima fra tutte. Ci scusiamo perciò –
finiranno col balbettare – per il nostro libro, per i nostri avi
impresentabili, ci scusiamo per il nostro Dio di altri tempi.</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 4.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-83153113315036324812015-06-21T02:57:00.000-07:002015-06-28T03:30:49.587-07:00Scherzi temporali<!--[if gte mso 9]><xml>
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<![endif]--><span style="color: #999999;"><span style="mso-spacerun: yes;"><span style="color: #999999;">~ </span></span>E ANCHE GEOGRAFIC</span><span style="color: #999999;">I. ~</span><span style="color: #999999;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>CON UNA </span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999;">DIGRESSIONE
SULLA LETTERATURA ~</span><span style="color: black;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">~<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«</b>Il ‘900»<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">, </b>III PUNTATA<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>~</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br />
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: black;"> </span></b><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo
scorso. Le puntate precedenti </span></i><span style="color: black;"><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/search?q=1989">qui</a><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> e </i><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/lepoca-della-leggerezza.html">qui</a><i style="mso-bidi-font-style: normal;">.</i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Nel 1929, in Germania, sulla
rivista rivoluzionario-conservatrice «Die Tat»: «Se non saranno in grado di
trovare un nuovo sistema statale ed economico che risponda ai caratteri del
popolo tedesco, nel giro di venti o trenta anni verranno travolti da un ciclone
di dimensioni inimmaginabili». Trent’anni dopo, veramente inimmaginabile, c’era
il «miracolo economico» dei Cinquanta, l’ossimoro che univa la «scienza triste»
al carattere del prodigio. Ma più che teutonico, aveva le forme americane, le
forme imposte con glamour dai vincitori. La guerra rivoluzionaria-conservatrice
era persa e così la successiva dittatura niente affatto conservatrice. I
progetti e i sogni travolti da una bufera. Oggi invece torniamo spesso agli
anni Cinquanta (trent’anni fa) come se ne fossimo separati soltanto da una
parentesi di distrazione. Anche nelle vite delle generazioni del dopoguerra, e
ormai avviate alla maturità, si avverte un tempo elastico, restringibile a
piacere, perché in questo più recente trentennio manca il macigno che lo biforca
nei più vecchi: il prima e dopo la mattanza. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">VERTIGINI
- L’eclettismo del postmoderno è un riassuntino finale del millennio. Non a
caso già dal XIX secolo si è scatenata una danza di revival a chiudere la gara
di originalità che contrassegnò le altre epoche. Nell’ultima manciata del XX il
tempo accelera, il giro si fa più vertiginoso: ormai nessuno ha il coraggio di
scommettere su un’epoca nuova. Ci si aggrappa perciò al meglio del già noto e
si teme la vendetta delle cose scartate. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PREVISIONI
- Cimentarsi in previsioni politiche comporta una certa fede nel fatto che i
tempi porteranno alla luce la verità. Ma una fede che rinuncia alla pazienza e che
per ansia anticipa i tempi è un’ombra che si posa sulle cose e le rende morte
come quelle maneggiate dagli archeologi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">L’ARROGANZA
DEL NAÏF - Gli uomini delle valli nordiche che son calati a Roma con una specie
di partito dicono ora che sono stati ingannati dai loro furbi soci nel governo.
Mai un partito al potere aveva governato l’Italia senza sapere quel che faceva,
con i ministri che si lasciano spiegare il giorno dopo dai giornali il
significato dei loro atti di governo. Ecco la controprova di quanto la politica
sia in una fase di decadenza, già oltre il ridicolo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">HASKALAH
- L’illuminismo ebraico, l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">haskalah</i>,
si spinge fino a saldarsi al sionismo. Risaliva nei secoli, ben prima del
Settecento; né si può negare la patente del più nobile illuminismo alle parole
bibliche di critica dei sacrifici umani, dell’idolatria, della superstizione.
Ma dovette essere così nascosto che l’ebraismo fu condannato, nella stagione
dei Lumi, come la quintessenza dell’oscurantismo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">MODERNITÀ
- Il papa si lamenta per la desacralizzazione della sua Polonia: là dove non
riuscì in decenni all’ateismo di Stato venne facilissimo a cinque anni di
libero mercato.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il marxismo si è realizzato soltanto in Oriente. Dall’altra
parte l’individualismo gli faceva freno, e non si ebbe neanche un esperimento
concreto in tal senso.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il cattolicesimo, che procede con
senso gerarchico per cui due uomini sanno più di uno, è stato attaccato a un
certo punto dall’individualismo sfrenato del luteranesimo e dei suoi derivati.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SCATOLE
LUMINOSE - «Les lumières conservées pour l’imprimerie» (Diderot). La ‘scatola
delle immagini’ è solo una versione moderna della «imprimerie»? È mai
possibile che le immagini e, corrispettivamente, le visioni conservino i lumi
dei Philosophes? Non è forse la visione senza parole a distruggere i concetti
sorti a fatica, come isole, nell’oceano delle immagini? La estrema evidenza
dell’immagine, piuttosto che completare il processo illuministico, non appare
accecante? La luce eccessiva annulla il tempo, i suoi chiaroscuri. A occhi
chiusi il tempo non passa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">COSTI -
La corruzione è il prezzo della democrazia, sistema basato sul potere della
gente comune, non incorruttibile, non eroica. La tremenda forza del potere
viene mitigata dalla forza della mediocrità. Ma se la democrazia fa a meno
degli uomini della provvidenza, è provvidenziale che talvolta vi siano delle
circostanze in cui un robusto gruppo di politici rappresenti gli interessi
generali. Coloro però che esaltano troppo la «missione» politica mancano della
saggezza che mette sotto le luci la meschinità della umana natura.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Non
solo tra la gente di lettere, anche tra borghesi che si volevano ‘illuminati’,
prosperò il gusto per i paradossi, in dispetto del buonsenso, gusto che li
condusse all’esercizio delle ragioni del socialismo sovietico. Trovare del
buono nel nemico delle libertà occidentali e scovare le mostruosità nascoste
nel nostro mondo è<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un’ottima ginnastica
mentale. Solo che, di capriola in capriola, il sofista rischia di cadere in
ginocchio davanti al tiranno.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">L’ANNO
DELLE ASTRAZIONI - I ragazzi tedeschi dell’Ovest solidarizzarono con gli ex
sudditi dell’Impero ottomano finiti umiliati ad arrangiarsi per le città della
Germania, combatterono per gli iraniani laicizzati dallo scià, si esaltarono
per il maggio parigino insubordinato come un giorno matto di primavera, per le
battaglie di Ho Chi Minh nelle foreste avvelenate dagli americani, per i guerriglieri
di ogni dove, ma non si mobilitarono per la liberazione domestica, per coloro
con cui condividevano a Berlino la rete metropolitana, alcune strade sia pur
divise dal filo spinato, lo stesso cielo, la stessa lingua e non pochi vincoli
di sangue. Non provarono neppure ad aprire i cancelli del carcere dove erano rinchiusi
i parenti. Un’ombra lunga su quella ribellione. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">EGOISMI
- Una crociata impolitica agita come emblema, assai ingenuo, delle mani pure,
mondate da ogni traccia di corruzione. Pulire: verbo che può indicare una mania.
Un tempo per convincere i rampolli borghesi a occuparsi del malanni del mondo
si chiedeva loro di «sporcarsi le mani», di farsi carico degli altri, di
occuparsi appunto di politica.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">GLI EX
NEMICI - Nel 1951 si era quasi arrivati alla costituzione di un esercito
europeo. Predisposti accordi, norme e scenari per unificare le armate
nazionali. Pochissimo tempo prima ci si era attaccati l’un l’altro in una
guerra mondiale, ma soprattutto europea, con corpo a corpo assai efferati. In
decenni recenti, cadute le ultime diffidenze reciproche, il progetto di
unificazione militare non è più all’ordine del giorno. Risulta soltanto un
esempio della mancanza di audacia nel continente in rapida decadenza, che
sopravvive solo in nome degli affari e del denaro.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">OSTPOLITIK
- Churchill nel 1951: «I sovietici hanno forse più paura della nostra amicizia
che della nostra ostilità. Il contatto degli abitanti dell’Unione Sovietica con
l’Occidente significherebbe la fine di un sistema infame». L’infittirsi della
rete comunicativa, dagli schermi elettrodomestici ai satelliti, hanno costretto
gli ultimi padroni del Cremlino alle mosse suicide. Così vengono abbattuti <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>regimi odiosi ma si rafforza il potere
tecnologico, l’unico padrone della terra.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Dopo la
vittoria dei sovietici nel 1945 solo una ristretta minoranza culturale osò
resister loro in Europa occidentale. Fu a causa del rancore provato dagli
aristocratici europei nei confronti della volgarità americana? Alla nobiltà si
univano i socialdemocratici tedeschi e i nostalgici socialisti nazionali. Una
grossa coalizione avversa alla potenza atlantica. Allergica al cosmopolitismo
che si era detto, nel periodo tra le due guerre, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ebraico-americano. Meglio rossi che
occidentali.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ASCESI
- Parliamo di letterati in morte di uno di loro. Dieci ore al giorno al Café de
Flore. In occasione della sua scomparsa, lo stilita rumeno isolatosi al
Quartiere Latino non può raccogliere grandi titoli sui nostri giornali.
Misteriosa la forza che obbliga a scrivere un nichilista, a fare leggere le sue
carte agli estranei, a portare il manoscritto da un editore, a leggere forse le
recensioni. Debolezze umane piuttosto che una forza? Tutta la sua importanza
deriva da questa presunta debolezza. Somiglianze con Pascal sottolineate da
molti: ma il seicentesco era un cristiano ardente, e per amore di Gesù si può
comunicare con il mondo; l’ateo luciferino che parla a fare? Morale dubbia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>degli scrittori negativi: abitare il luogo
salottiero delle Lettere, ma negli angoli scuri, per mettersi l’animo in pace.
Se l’asceta invece di negarsi, sottoponendosi alle regole del suo monachesimo,
si ribella ed esce dalla clausura, ecco l’anarchico, l’anarchico conseguente,
radicalmente asociale (strozza-bambini come pretendeva di essere il nostro).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La morte
ha raggiunto Emile M. Cioran. Scriveva battute dell’amarezza: non aforismi, non
epigrammi, non quelle frecce logiche che i greci conficcavano nel cuore degli
oppositori<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>politici all’agorà, non aveva
avversari da battere, se non il genere umano: troppo poco. Al massimo,
giaculatorie della disperazione. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">All’inizio
del secolo i nichilisti fecero dell’ascesi al tavolo di un bar una missione
sacerdotale. Altenberg era un mite priore di tali monaci nottambuli: «Quando a
tarda notte o, meglio, nelle prime ore del mattino si stava sul terrazzino
sopra il tetto, si udiva regolarmente uno stacchettare di ciottoli sul
selciato… probabilmente un bevitore attardato che usciva dall’ultima osteria
per andare a casa. – Ora canteranno i galli, mi disse Hofmannsthal una volta
che ci eravamo trattenuti a discorrere a lungo. – Questo è Peter Altenberg che
rincasa» (Ricordi di Hofmannsthal scritti da Carl Jakob Burkhardt),</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">I due
amici Beckett e Cioran, uno di fronte all’altro, uno caricatura dell’altro. Sicuramente
i personaggi dell’irlandese fanno il verso alla filosofia esistenzialista, ma
anche i ragionamenti di Cioran sembrano parodiare la desolazione dei
beckettiani, riecheggiano le smorfie dei clochard, i loro gesti sgraziati e
violenti, che assaltano, insieme all’acre puzzo umano, il lettore. Ultime
scorie del pensiero alimentato dal disgusto.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Tra i
monaci del Nihilismus risuona la preghiera lirica di Borchardt: «O cuore degli
ordini, non farmi essere libero!», subito dopo rimata da una spiegazione
oracolare: «Essere libero è niente, vorrei essere tuo» (di monito a chi fonde
pericolosamente anarchia e nichilismo, gli io piccoli proprietari e ribelli; lo
stesso Gottfried Benn dirà di se stesso: «egli vuole disciplina, giacché egli
era il più dissoluto». Spiega Roger Caillois: «Nelle opere dello spirito i
valori sono inversi: sforzo di ingegno e perseveranza è crearsi una schiavitù e
non liberarsene. Si arriva al punto che qui la libertà si ritrova
nell’inventare delle regole alle quali lo scrittore sceglie di obbedire.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>[…] Almeno in parte, i grandi artisti sono
coloro che seppero immaginare a loro uso nuovi freni. […] Temo di sbagliare per
eccesso di leggerezza. Perciò mi appesantisco e mi impedisco di appesantirmi a
vanvera»).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Gara di
eccessi di crudeltà alla scuola di de Maistre di cui Cioran fu traduttore
(nessuno lo ricordava nei coccodrilli), eccessi mentali prima che verbali, come
épater gli umanisti (è pur sempre un buon esercizio), speculazione sulla
psicologia dei popoli, «passatempo di emigrati», parola di rumeno autoesiliato.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Ci
volevano i tiranni, il sangue, le apocalissi storiche per animare le stanche
serate parigine dei contemplatori da caffè, per gli ubriachi senza alcol, per i
duelli metafisici degli insonni, per i monaci senza mattutino, senza libri
d’ore… Da bravi letterati si allenarono a queste battaglie interiori,
immaginando crimini ordinari, delitti positivisti, con piccole cause precise, e
scrissero libri gialli. Alcuni, una minoranza, sulle tracce di Poe e
Baudelaire, fantasticarono crimini più generali, fecero sanguinare la Storia come le fontane
iraniane nel giorno di Alì, cibo dei «furiosi che vivono per metafore».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Disciplina
(tonache, cocolle e camici bianchi della Clinica Loto diretta da un sifilopatologo)
ed effervescenza novecentesca. I monaci europei e i guerrieri orientali di
Mishima. Alle porte della Morgue, assassini e vittime in meditazione muta, ad
attendere le Rivelazioni liriche, la
Grazia indicibile se non in qualche verso, Benn e Celan, se
l’accostamento non ripugna troppo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Potere
e denaro stanno così distanti che appaiono divinità impassibili, il cinico pare
disprezzarle senza comprenderle, senza afferrarne il fascino numinoso, senza
dominarle. Resta quindi un culto oscuro: denaro e potere, segni enigmatici del
fato che l’anarchico deride come un jolly di corte.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
grande tecnica dei cinici: prendere le distanze dagli avvenimenti
contemporanei, allontanarvisi come se fossero passati numerosi secoli, in modo
da assumere quel lucido atteggiamento (almeno in apparenza) degli storici,
soprattutto di quelli eruditi che si dilettano nel contemplare le umane
sventure, gli imperi inghiottiti, le ascese delle città, i trionfi dei sovrani,
le malizie dei corsi e ricorsi, le ingenuità degli idealisti, la forza muscolare
delle genti… Chi si schiera pro o contro Alessandro, chi teme per la sorte di
Costantinopoli, chi si sente ribollire di sdegno per la Guerra dei Cent’anni e chi
tenta di stabilire da che parte passi la ragione in quella matassa di
prerogative… Ancora un soffuso ricordo militante per gli aristocratici
illuministi scannati a Napoli ma poi per secoli più riposti ci si permette
l’impudico gioco di trovarvi solo l’aspetto estetico: i colpi di genio dei più
efferati, la stoltezza degli sconfitti, i grandi numeri della battaglia. Senza
neppure un’idea delle vittime. Ai nostri giorni le figure immorali grandeggiano
solo al passato remoto – e da quella distanza eccitano i moralisti anarchici,
Nietzsche in testa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Si darà
il caso che gli inattuali, usciti volontariamente dal tempo storico, si
elettrizzino anche per i più canaglieschi contemporanei?</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il
tempo di quattromila anni di sapere, millenni di delitti, la cappa della
vecchiaia e poi i sogni sfumati, schiacciati dalla greve macchina della Morte.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">«…venite,
disserrate le labbra / chi parla non è morto»: versi di Benn che mette a punto
una disciplina per dissoluti estremi, non ammettendo i trucchi del poeta che si
finge morto. (Versi riportati in omaggio allo scomparso.)</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
glorificazione della sterilità. Ceronetti in un compìto addio, scrive che i
testi del suo amico, i suoi pensieri cupi,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>gli procurarono la «voglia di urlare di gioia», euforia per la scoperta
di affinità, per la capacità di odiare brillantemente questo mondo. Ebbri dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Abgründgluck</i>, espressionismo dell’ultimo
secolo. L’italiano celebra Cioran come un profeta annunciante «la verità che
l’uomo è un dio falso, e il più falso degli idoli». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Dalla
scorza negativa venne fuori un po’ di compassione in un suo discorso sulla
gloria. Saggio di virtuosismo nella più alta tradizione dell’oratoria francese,
Cioran invoca a chiare lettere la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">pietas</i>:
amore per i propri difetti, esercizio di adulazione del prossimo. I veri
moralisti del resto lo sanno, una volta persa ogni fiducia nel genere umano, si
può portare salvezza ai singoli individui, consolarli, lusingarli.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">MESSIANESIMO
- «Gli assembramenti di persone gli sembravano una garanzia di felicità»
(Kracauer). Si riferisce agli anni Venti ma potrebbe essere l’epigrafe degli
anni Sessanta-Settanta. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’ITALIA - «L’Italia è un paese in cui
ammirare i quadri; aspetta di andarci. Là devi visitare i musei, non puoi fare
altro. È un paese orribile, non riesci a trovare neanche un sigaro decente»,
scriveva Henry James in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’americano</i>.
«Caro signore, ho seguito i vostri consigli: sono di ritorno da Roma dove ho
trascorso molto tempo. Ho provato il fascino di questo bel giardino
d’antiquariato in abbandono… Una città che insegna a servire per poi dominare»:
è il cinese Ling-W.Y. che parla di Roma in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
tentazione dell’Occidente</i> di André Malraux. L’occhio del viaggiatore in
Italia scopre la soffusa tonalità funebre nel paese del passato, nota quello a
cui noi siamo abituati e che perciò non notiamo più, è assillato dalle tante
colonne spezzate che formano un paesaggio di rovine che pure a noi non riesce a
immalinconire (sono le care immagini degli avi, così come le fotografie
scolorite dei nonni non rattristano). L’Italia che appare impassibile per avere
trionfato sui crolli dell’impero con il piacere delle sovrapposizioni, con la
destrezza nel sottrarre i capitelli agli dèi pagani onde glorificare il Dio
cristiano… </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Per chi
scrive di questo paese ogni giorno sui giornali dovrebbe essere una lettura
obbligatoria, e s’intende a piccole dosi, quella degli infiniti tomi che
compongono «Il viaggio in Italia», genere letterario costantemente aggiornato.
Un buon effetto di straniamento. I più segreti vizi italici saltarono agli
occhi di giovinetti pii e romantici che entravano nel paradiso dei loro sogni.
La distanza geografica aiuta ad accostare la storia. È nota la cecità dei
contemporanei di fronte agli accadimenti del loro tempo. La grazia di possedere
questo sterminato archivio di sguardi estranei aiuta come minimo a
scandalizzarci di meno delle vicende scellerate che puntualmente si ripetono e
a non disperare. La nostra unicità non è un difetto, come pensano i
gazzettieri.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">I
moralismi esibiti nei Novanta: un effetto di sazietà in un paese che per secoli
fu affollato di affamati?</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">DIRITTO
PUBBLICO - Quando ciascuno diventa dio di se stesso perde la saggezza di
stabilire patti biblici con la divinità celeste. E patti pubblici, come quelli
di Abramo, non trattative personali e magiche, come invece pretendono le
pratiche gnostiche.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ART
POUR L’ART? - Il romanzo – sia o no il genere cristiano per eccellenza, come
voleva Bachtin – diventa surrogato, impalcatura, trama di altre finzioni. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">MALI -
Parafrasando Wittgenstein, possiamo dire che «quando tutti i possibili bisogni
economici sono stati esauditi, i nostri problemi vitali non sono stati nemmeno
toccati». E tuttavia non per questo si possono trascurare le ciclopiche
battaglie per alleviare i mali sociali, anche se alcuni pensavano seriamente di
sconfiggerli del tutto. Fu una pretesa ottocentesca, anche un po’
ridicola,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>affermare che bastasse
risolvere la questione sociale per risolvere il problema metafisico. Fu
tuttavia una intuizione importante trovare in molti idoli metafisici gli
effetti della fantasmagoria delle merci.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Sulla
falsariga della settecentesca «impostura sacerdotale», la «sinistra» ha
continuato a credere a una «impostura del potere», riducendo l’inganno
ideologico a un piccolo imbroglio di manigoldi da tre soldi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Vengono
contrapposti in genere mito e logos, quasi che il primo fosse un blocco
marmoreo, morta presenza, che la viva voce anima come Gesù con Lazzaro. Il mito
è anch’esso parola, racconto che interpreta le immagini scolpite dagli umani.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">L’ETÀ
DELL’ATEISMO - In Occidente la generazione che è cresciuta nell’ateismo di
massa, ormai raggiunta la maturità, imbattendosi nei numerosi casi che fuoriescono
dalle medie statistiche della nuova, progressiva, longevità, comincia a fare i
conti con la morte. Non basta allora l’infinita terapia psicoanalitica, non
basta l’abuso del termine depressione per ricoprire la solitudine lancinante
dell’anima, non sono bastate le traduzioni politico-sociali della Bibbia, né le
pillole che bruciano le cellule del cervello, a ben altre droghe ricorrono in
molti. Se alla miscredenza illuminista degli eletti si replicò con il romanticismo
e con un Ottocento che ricostituì templi domestici e nazionali, adesso per
scontare l’ateismo la folla senza religione si appiglia a grossi anestetici di
massa. È così che la ‘cultura’ diventa un calmante.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">(3.- <i style="mso-bidi-font-style: normal;">continua</i>) </span></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-73535913744391494512015-06-05T15:11:00.000-07:002015-06-06T00:08:27.208-07:00Il matrimonio messo a nudo<!--[if gte mso 9]><xml>
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<![endif]--><span style="color: #999999;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">~ IL SÍ AL NULLA </span></span></span></span></span></span><br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: #999999;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">DAVANTI A UN UOMO</span><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span></span></span></span></span></span><br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: #999999;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">CON LA FASCIA DI TRE COLORI ~</span></span></span></span></span></span><br />
<br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: x-small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: black;">«Per finirla
lietamente</span></span></span></span></span><br />
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 28.3pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: x-small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: black;">e all’usanza
teatrale</span></span></span></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 28.3pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: x-small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: black;">un’azion
matrimoniale</span></span></span></span></span><br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: x-small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: black;">le faremo
ora seguir»</span></span></span></span></span> </div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-right: 28.3pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;">Lorenzo da Ponte, Le
nozze di Figaro</span></div>
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; font-size: x-small;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: xx-small;"><span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"></i></span></span></span></span></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><span style="color: black;">Difficile fu giustificare il matrimonio ‘civile’. Ovvero, come
incatenare due persone per buona parte della loro vita, senza la grazia che
scenda dall’alto a vincere il tempo che vince l’amore. Che cosa non si
inventarono i filosofi. Fichte parlò di uno spazio giuridico dove la donna si
sottomette all’uomo con un atto di libertà. Riconosceva, bontà sua, che «la
tendenza umana è egoistica» ma al tempo stesso pareva convinto che «nel
matrimonio la stessa natura guida [il coniuge] a dimenticare se stesso
nell’altro»: chissà mai per quale miracolo del pubblico funzionario che li
unisce, la pancia incoccardata, quali marito e moglie. Kant con germanico
puntiglio si imbrogliava nel «contratto con prestazioni corrispettive» che
permetteva, in penoso linguaggio burocratico, il possesso giuridico del piacere
ricavato dagli organi sessuali. E l’apologeta dell’intelletto, l’intellettuale
disinteressato alle questioni amorose e mai tentato – pare – dalla libidine,
esponeva il suo contratto in questi termini procedurali: «le parti genitali si
cedano nell’uso e parimenti l’intero corpo». Una faccenda davvero borghese, una
pochade in cui annega la filosofia del diritto. Senza la veste sacra, fuori del
mistero impresso dal cristianesimo alla passione umana, questi poveri teorici
post-libertini, questi professori pedanti quanto timidi, erano alle prese con
il pudore, la ritrosia, i corpi, gli amplessi, i diritti dell’uomo e
della donna che mal si conciliavano con gli istinti del maschio e della
femmina, la riproduzione della specie che si voleva sottratta all’attività
puramente animale, la fragilità dei sentimenti, le proprietà e i beni d’ogni
natura che si mediavano con l’amore. La soluzione tentata dal supremo
illuminista fu di ridurre l’amore a un rapporto giuridico. Hegel se ne
scandalizzò e la definì «una sconcezza». Ma kantiani o hegeliani, illuministi o
romantici, contrattualisti o idealisti, il problema di fondo consisteva in
questo: se siamo di fronte a un fatto privato, perché in tanta privatezza lo
Stato deve intervenire e celebrare i matrimoni? Perché violare con la mano
pubblica l’intimità dell’alcova?</span></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><span style="color: black;">Hegel spiegava il riconoscimento pubblico del matrimonio come
l’ingresso dell’amore nella collettività sociale. L’amore perciò, sosterrà
nelle <i>Grundlinien der Philosophie des Rechts</i></span><span style="color: black;">, viene così «liberato da tutto quello che può avere in sé di
passeggero, capriccioso, soggettivo; per cui il matrimonio diventa un dovere
etico, di fronte al quale le considerazioni delle inclinazioni, della previdenza,
dell’interesse scompaiono».<i> </i>Argomentazioni che neppure un papa oggi
oserebbe proporre. Più prosaicamente, nel dialettico rapporto tra sposi e Stato
dei tempi che furono, si poteva intravedere un nascosto interesse reciproco,
noto a tutti ma da non scrivere a chiare lettere nelle carte costituzionali. Lo
Stato istituzionalizzava la convivenza tra un uomo e una donna, offriva loro
agevolazioni, regolarizzava i patrimoni dei due sposi, stabiliva le regole
esteriori, assicurava per i figli che nascevano da questo matrimonio almeno la
cittadinanza che consentisse di vivere nel territorio dei genitori e magari
anche gli studi primari e, già prima del welfare, qualche forma di soccorso. In
cambio si prendeva a disposizione la vita dei figli maschi onde rischiarla sui
campi di battaglia per le guerre che combatteva; più in generale poteva
contare sul numero dei sudditi che era potenza, e nel più misero dei casi sulle
braccia da impiegare nei campi agricoli e sugli uteri per riprodurre la
popolazione. Lo Stato non avrà scrupolo naturalmente di utilizzare per i suoi
fini anche le famiglie nate dal matrimonio cristiano, sacramentale, davanti al
sacerdote cattolico, o da quello comunque religioso, davanti al pastore
protestante o al rabbino. Ci apporrà il suo marchio. Dopo la Rivoluzione francese
si era tolleranti, gli eserciti esportatori di democrazia non guardavano troppo
per il sottile in fatto di arruolamento, anzi, di fronte alla coscrizione
obbligatoria, tutti i credo religiosi andavano bene, valevano lo stesso. Anche
l’agnosticismo otteneva il suo rispetto pubblico e risultava addirittura più
caro allo Stato repubblicano e laico. Ma a prescindere dalla forma statuale,
c’era bisogno di confermare il matrimonio e la famiglia anche per chi non si
riconoscesse in una religione, anche per le ristrette minoranze degli atei.
Nulla doveva sfuggire all’onnipotenza dello Stato. L’amore finiva così per
sottostare alle leggi civili. Il laico mimava anche in questo campo il
cerimoniale religioso. E il libero pensatore che non voleva disonorare l’amata
agli occhi del vicinato si sottoponeva al rito ‘civile’. Nessuna dignità fuori
di questo Stato, dunque, addirittura gli inferi della illegalità per i rari
‘anarchici’: guai agli amanti segreti, ai figli irregolari, senza nome; sospetti
i separati, comunque in disgrazia.</span></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><span style="color: black;">Adesso lo Stato non richiede più sacrifici umani, alla guerra,
come nei tempi pre-moderni, si va solo per soldi. La cittadinanza sarà presto
distribuita in generosa abbondanza, le frontiere in via di smobilitazione, i
cognomi – materni o paterni, aggiunti o meno – possono esser scelti per gusto
estetico o per affettuosità, tanto l’occhiuta informatica garantisce ugualmente
l’identificazione e il pagamento delle imposte (che è cosa più sacra ormai del
nome). Nessuno persegue più nessuno per il concubinato che una volta fu messo
tra i reati. Nessuno nel nostro mondo ha bisogno del riconoscimento pubblico
alla sua affezione per garantirsi rispettabilità sociale. Appena un ricordo,
casomai, della tradizione intesa come fiabe, cinema rosa, ripetizione ironica
di quel che fecero con candore, con fede cioè, i padri e le madri. Né gran
parte degli sposati sembra voler mettere al mondo figli, e casomai le future
madri li posticipano alla laurea, al salto di carriera, materialismo gretto che
neppure nel secolo positivista si vide mai, lasciando le nozze
programmaticamente infruttuose. Ebbene, se il matrimonio è sottoposto a tutti i
capricci degli umani, e prescinde dalla procreazione coniugale come dai sessi
coinvolti (cominciando a introdurre figure terze e quarte per generare),
comunque annullabile senza alcuna motivazione valida, con separazioni
automatiche, con divorzi ripetibili all’infinito in base all’esclusiva tirannia
dei desideri, perché mai lo Stato deve ancora intromettersi negli affari di
cuore? Come fa la legge a tener testa ai desideri che non concepiscono più
alcun limite? Se è l’amore canzonettistico a dettar legge, se è l’uzzolo a
pretender diritti, lo stesso Kant si ritrae, al suo laico contratto matrimoniale
viene a mancare il fondamento. Per non parlare della sofferta architettura
filosofica di Hegel: lo Stato che ordinava eticamente le passioni e si
arricchiva della prole è tramontato tra le risate liberiste della stessa parte
sinistra che pur resta statalista in materia fiscale. Viene il sospetto forte
che oggi l’unico motivo per cui ci si sposi ‘civilmente’ sia la reversibilità
della pensione e altri benefit, insomma un affare di denaro. Già, l’«argent
fait tout», si canta a teatro. Una burla sociale. Una cambiale di matrimonio
priva della soavità rossiniana. Al massimo, una tendenza alla parodia cui il
parodiato non è però tenuto affatto a prestarsi (anche perché già ci scherzò
sopra con grande spirito faceto, ed è passato un secolo, Marcel Duchamp nella <i>Mariée
mise à nu par ses célibataires</i>). Anzi, senza ridicolizzare ulteriormente il
matrimonio, si può risolvere la questione con una leggina che regali sesterzi a
tutti i conviventi, facendo astrazione dalle nozze, una specie di reddito
universale in morte di uno dei due che vivono sotto lo stesso tetto, ma che
premi anche chi sopravvive al fratello o alla sorella senza aver consumato
incesti, o un figlio che ha condiviso l’esistenza celibe con la madre, o un
monaco che si è rinchiuso per sempre con un altro monaco in una trappa…
Insomma, vitalizi per tutti, salvo che per i solitari ostinati, con qualche
onere in più per le pubbliche casse ma con un equivoco in meno. E una
esortazione: orsù, un po’ di coraggio, non invocate i codici per ogni aspetto
tragico o sublime della vita, non mettetevi sempre sotto la protezione dei
legulei. </span></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><span style="color: black;">Ecco allora una ennesima, modesta proposta di questo «Almanacco».
Il titolo sarebbe «Perché il matrimonio civile non s’ha più da fare». Senza
ricorrere ad altri referendum popolari o a continue leggi che abbrevino i tempi
dei divorzi o che allunghino il numero dei soggetti del matrimonio,
estendendolo magari anche ad altre specie animali, con la più scatenata
fantasia sul tema; accertato che la fede nei penati e nel vincolo è del tutto
evaporata; che le abitudini sociali, anche nei paesi più remoti della penisola,
si sono adeguate alla onnipotenza dell’amore senza altro impegno; che nessuno
in Occidente si sente nella illegalità per qualche passioncella vissuta, che
talvolta anzi figlioletti cresciuti accompagnano senza segreto e senza
imbarazzo alcuno i genitori alla festa sponsale quando questi decidono secondo
l’estro di celebrarla dopo anni di famiglia informale; che l’unica credenza è
nell’effimero sentimento; preso atto che si richiede ai pubblici poteri la
celebrazione nuziale con lo scopo precipuo di organizzare un banchetto e di
procacciarsi nell’occasione non pochi doni consistenti in liste preordinate,
oltre che per finalità pensionistiche; l’istituto del matrimonio è abolito.
(Resta naturalmente il sacramento per i cattolici che, si spera, non abbiano al
momento di consacrare la loro unione all’altare troppe riserve mentali sulla
possibilità della opzione n.2, benché prevista da alcuni teologi e vescovi
tedeschi, visto che nessuno obbliga più nessuno a sposarsi. Naturalmente,
qualcuno griderà alla discriminazione: non è giusto che il Paradiso venga
promesso solo ai credenti, lasciando fuori una parte della popolazione, quella
inflessibilmente incredula. Si spera dunque in un papa così
misericordioso da fare del premio eterno un bonus per tutti. E d’altra parte ci
sarà a questo punto chi obietta che la ‘salvezza totalitaria’ imposta ai non
credenti è assai iniqua cosa, una nuova forma sottile di proselitismo, che
perciò meglio sarebbe abolire le religioni in blocco, ecc. ecc. ).</span></span></span></div>
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<![endif]--><div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-30377138214847468542015-05-20T07:42:00.002-07:002015-06-01T14:13:03.994-07:00L'epoca della leggerezza<span style="color: #999999;">~<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>IL SECOLO SANGUINOSO</span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">
SI AMMANTA DI GRAZIA LUDICA<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>~</span><span style="color: #999999;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">~<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«</b>IL ‘900»<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">, </b>II PUNTATA<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b>~</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;"> </span></i><br />
<br />
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo scorso. Per
la puntata precedente cliccare<a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/1989.html"> </a></span></i><span style="color: black;"><a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2015/05/1989.html">qui</a><i style="mso-bidi-font-style: normal;">.</i></span>
</div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;"></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">TROMPE-L’OEIL
- Un Curtius splendidamente sintetico: «… in tutti i paesi d’Europa gli artisti
della giovane generazione producono oggi, in sorprendente unanimità e come se
si fossero passati una parola d’ordine, un’arte che scandalizza i più vecchi e
che non è capita nemmeno dai critici meglio disposti, tanto che questi credono
di trovarsi di fronte a una farsa gigantesca che unisce Europa e America come
in una congiura […]. L’arte, per così dire, non viene presa sul serio, è sparito
tutto il pathos religioso di cui si era circondato il godimento estetico da
duecento anni in qua […]. Per il nuovo sentimento vitale, l’arte possiede la
sua grazia e il suo incanto quando è gioco e gioco soltanto. Questo spostamento
di accento nel campo estetico corrisponde alla nuova coscienza, al gioioso
sentimento di festa che si è sostituito all’etica del lavoro del XIX secolo.
[…] Oggi preferiamo tra i valori dell’azione quelli che sono del tipo dello
sport, cioè del puro lusso. […] «Anche nella politica […] si è manifestata una
tendenza <i style="mso-bidi-font-style: normal;">à la baisse</i>. Oggi si fa meno
politica che nel 1900. Nessuno si aspetta più la salvezza dalla politica: non
riusciamo più a capire come ai tempi dei nostri nonni si potessero drizzare
barricate per formule costituzionali […]. Libertà non è più per noi una parola
inebriante. Ortega crede per questo che si sia conclusa l’èra delle
rivoluzioni: le utopie politiche hanno perso la loro forza d’attrazione, noi
riusciamo a penetrare oltre il loro carattere chimerico e alla politica delle
idee succede una politica delle cose e degli uomini. Ma soprattutto la politica
sparisce dal primo piano degli interessi umani, diventa un mestiere come un
altro, indispensabile ma senza accenti patetici: non si muore più per le idee politiche».
Ogni frase dello scritto citato, talvolta le singole parole, si accomodano così
bene ai nostri giorni, li riassumono disinvoltamente e garantiscono di un
passaggio definitivo, confermando le convinzioni raggiunte a fatica negli
ultimi tempi, che è terribile scoprire la data di questa pagine: 1924. Una data
tanto remota – precedente le liturgie surrealiste e la tirannia del georgiano
sulla Russia – sconvolge infatti ogni certezza storica, ogni diagnosi di media
durata sulle tendenze del mondo. Adesso sappiamo. In quell’anno 1924 si
credevano leggeri e desacralizzati, dovevano precipitare nell’Inferno,
schiacciati da massi carismatici. L’arte ludica sarà sconfessata dal realismo
imposto dagli assolutismi montanti, dalle culture di regime, dalla gravità
espressionistica delle vittime, dalla indicibilità delle stragi che non trovava
più una forma decente per rappresentarsi, dalla fuligginosa letteratura dei
rimorsi, dalle teorizzazioni ricorrenti dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">engagement</i>. L’ideologia della festa che doveva sostituire l’etica
del lavoro verrà affossata qualche anno dopo, di fronte ai rischi di
immiserimento scaturiti dalla crisi del ’29, operai d’acciaio saranno celebrati
a Mosca come a Berlino – mentre a Parigi ci si limiterà ai poveri ma belli del
Front populaire, poi le fabbriche che si accenderanno nel delirio bellico e
l’ethos del lavoro finirà nel cartiglio all’ingresso dei Lager. Le «utopie
politiche hanno perso la loro forza di attrazione», scrive Curtius: non gli
faceva velo l’acutezza, era la storia che stava tirando un brutto scherzo ai
credenti del progresso. Ci si accostava leggeri alle più micidiali macchine
politiche e mezza Europa sarebbe finita stritolata nei loro ingranaggi,
schierata in utopici fronti di lotta, pronta a sacrificare vite umane, città,
memoria, tutto quanto di umano era possibile offrire. In qualche modo,
costretta a farlo. Milioni di morti con le divise ideologiche, con i
contrassegni di diversi colori a marchiare le vittime: politica e morte
trovarono un connubio che nessun machiavellico aveva mai teorizzato in sì
sproporzionate misure. D’ora in poi, dopo aver letto l’inganno ottico di
Curtius, tutte le cautele sono legittime. E infatti da mezzo secolo in qua sono
state ripetutamente avanzate. Sogghigna il negatore del semplicismo
progressista, sa che i richiami dell’inumano son sempre più forti di ogni
ragionamento. Ma il quadro tracciato dall’attento filologo non era un
vaneggiamento fantasioso, più probabilmente si confuse soltanto la prova
generale con la ‘prima’. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Nonostante
tutto, «revisionista» è un bell’attributo.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">UN
RUMENO A PARIGI - È possibile mantenersi ‘buoni’ facendo i complici di Stati
tirannici tanto efferati quanto quelli novecenteschi? Esistono complici in
‘buona fede’? che cos’è la buona fede in politica? Che ‘buono’ poteva mai
venire da certe complicità con la
Russia o con la
Germania? Anche di simili cose parlava il giovane Cioran
quando, esule rumeno disoccupato a Parigi, scriveva «a un amico lontano»
rimasto dall’altra parte della cortina di ferro, parlando di «due tipi di
società»: «la vostra parzialità nei confronti di quella dell’Occidente, di cui
voi non distinguete con chiarezza i difetti, dipende da quella distanza:
inganno ottico e nostalgia dell’inaccessibile. […] Che da lontano voi ne
abbiate una visione mirabolante è del tutto naturale: dal momento<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che io la conosco da vicino è mio dovere
combattere le illusioni che potreste avere al suo riguardo. Non che mi
dispiaccia del tutto – sapete il mio debole per l’orrido – ma il dispiego di
insensibilità che essa esige per essere sopportata va al di là delle mie
risorse di cinismo. Si può dire che le ingiustizie vi abbondano: per la verità
è la quinta essenza dell’ingiustizia. Solo gli sfaccendati, i parassiti, gli
esperti in turpitudine, i piccoli e grandi porci profittano dei beni che essa
mette a disposizione dell’opulenza di cui si inorgoglisce; delizie e abbondanza
di superficie. Sotto il brillante che mette in mostra si nasconde un mondo di
desolazione di cui vi risparmio i dettagli. Senza l’intervento di un miracolo,
come spiegare il fatto che non si riduca in polvere sotto i nostri occhi, e che
non la facciano saltare in aria immediatamente? ‘La nostra non è migliore. Al
contrario’, mi obietterete. Lo ammetto. È proprio questa la faccenda. Ci
muoviamo davanti a due tipi di società intollerabili. E, quel che è grave, gli
abusi della vostra permettono a questa di perseverare nei suoi, e di opporre
assai efficacemente i propri orrori a quelli che si praticano da voi. La
critica decisiva che si può muovere al vostro regime è di avere distrutto
l’utopia […]. La borghesia ha compreso il vantaggio che ne poteva trarre contro
gli avversari dello statu quo; il ‘miracolo’ che la salva, che la preserva da
una distruzione immediata, è proprio lo scacco dell’altra parte, lo spettacolo
di una grande idea sfigurata, il disinganno che ne è risultato e che,
impadronendosi degli spiriti, finisce per paralizzarli». Il depresso con «il
debole per l’orrido» spiega la ferocia del mondo. Intanto il suo interlocutore,
l’«amico lontano», adesso ha un nome, era Costantin Noica, torturato nelle
galere di Ceausescu e tradotto negli ultimi tempi anche in Italia. A leggere le
pagine sulle sue prigioni, sulla brutalità da Ludus Dacicus, viene il dubbio
che l’analisi di Cioran manchi di equilibrio. Ci si convince che il rumeno con
«il debole per l’orrido» doveva restarsene in patria e magari finire nelle
stanze di tortura del regime se voleva sperimentare qualcosa veramente forte
invece di fare il turista a Parigi per godersi lo spettacolo dell’Apocalisse
sui boulevards. Si resta pure meravigliati dell’attenzione per le utopie
sfigurate che mai ci saremmo aspettata da un tipo che si rappresentò sempre
come un bruto nichilista. Ma adesso che quegli staterelli sadici son venuti giù
in presa diretta nessuno naturalmente si mette a fare confronti tra cinismo a
Ovest e a Est. Solo gli sciocchi potevano pensare che dalle ceneri del
comunismo sarebbe nato un mondo più buono. Non ricordavano come l’idealismo
europeo fu travolto dalla conquista armata del pragmatismo democratico degli
Stati Uniti vincitori.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">TECNICI
- Nel secolo che ormai finisce quante persone si potevano incrociare in Europa
che avevano maneggiato armi proprie e improprie, uccidendo «innocenti» o
«colpevoli», uno solo o tanti, in imprese belliche non sempre ufficiali. Non
soltanto i tecnici delle docce fatali. Anonimi omini, magari pensierosi,
talvolta con la benedizione del pensiero dominante, talvolta maledetti dalle
maggioranze. La retorica pubblica continuava a emettere sentenze che
raggiungevano anche le coscienze. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SDOLCINATURE
-<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Negli ultimi decenni la Chiesa di Roma ha lasciato
circolare l’idea che l’amore divino sia di grana terrena, ossia assai
sentimentale. Contro il cattolicesimo potrebbe tornare l’accusa ricorrente di
scivolare nel paganesimo: gli abitanti dell’Olimpo, si racconta, erano mossi da
passioni erotiche e in qualche caso da innamoramenti pedestri. Ma i numi pagani
conoscevano anche le crudeltà, gli inganni, le turpitudini. Il probo Dio
cristiano viene ridotto a un essere esclusivamente sentimentale, con le
smancerie del peggiore bigottismo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">imagerie</i>
per pie popolane ottocentesche. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In
confronto i salotti del pietismo mostravano almeno sentimenti più fieri. In
quei circoli si fremeva di santo orgoglio, sopravviveva qualche lampo della ferocia
luterana e ogni tanto si sfiorava il sublime. La leziosaggine di tanta teologia
cattolica attuale è soltanto un magistero tardo romantico. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">GALATEI
- Per imporre un tabù è richiesta una energia religiosa che manca al
liberalismo. Resta un divieto da manuale di buona creanza affinché non sia
espressa in pubblico, come faccenda di gusto, la predilezione per una razza o per
una nazione.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LAVORI
SPORCHI - «Commercio, Musica Operistica, Cupido, Pubblicità, Manifatture,
Libertà di Parola, Suffragio Universale, Gastronomia, Igiene Personale,
Concerti Balneari, Parto Indolore, Astronomia per il Popolo», un florilegio dei
valori democratici messa a punto dall’ebreo commerciante, pubblicitario,
Leopold Bloom nell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ulysses </i>di Joyce.
Bloom, sobriamente pravo, mostra i suoi talloni d’Achille nel masochismo e nel
feticismo. La psicologia si è scarsamente occupata delle perversioni del
democratico.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SUFFRAGIO
ELETTORALE - Si lesse per la prima volta in chiesa la parola «suffragio», sulla
cassetta delle elemosine: «in suffragio delle anime del Purgatorio». È perciò
sempre risuonato come «sollievo per la società», una carità cristiana per
soccorrere la società febbricitante, un aiuto per bloccare la paura che fonda
la politica. Ma, per via delle anime dell’Aldilà, evoca anche una folla di
fantasmi, la insondabile Opinione Pubblica che irrita e scandalizza gli amanti
della concretezza.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">NEL
REGNO OSCURO - Chi non fu mai stregato dai bagliori della destra estrema? E chi
resistette sempre alla commozione delle parole d’ordine di sinistra, almeno al
loro suono, senza sondarne il senso? Nelle faccende politiche nulla è più
inutile degli scongiuri. Sappiamo pure quanto le tentazioni sataniche – le
passioni scriteriate, la violenza sottile, la facilità ludica, la carnalità grossolana
– siano talvolta irresistibili. Se Heidegger e Jung hanno ceduto per qualche
tempo alle seduzioni della ideologia tedesca del Terzo Reich, i più comuni
mortali saranno maggiormente esposti alla politica demagogica. Ogni volta che
qualcuno impreca contro lo stupidità delle folle che si lasciano ingannare dai
tiranni, nasconde a se stesso quello strano erotismo che vibra nei movimenti di
massa, nei loro gesti collettivi e pesanti. Tutti sanno per scontata confidenza
con le passioni amorose come se ne possa finire stremati e istupiditi ripetute
volte, guarirne e ricadere innamorati, dal momento che «il cuore ha le sue
ragione che la ragione non conosce», secondo quanto recita Pascal. Il naso di
Cleopatra non appartiene alla Bellezza né alle cose ragionevoli, eppure è noto
che travolse la storia come tanti nasini alla parigina non riuscirono mai.
Anche il più severo democratico non può negarsi una discesa nel «regno oscuro»,
una immersione nello ctonio, a osservare la parte nascosta della società, a
indovinare i capricci plebei, a conoscere le pulsioni malsane degli elettori.
Chi si mette ai voti non può distinguere tra sani e malati, tra colti e
ignoranti, tra geni e ottusi. Al contrario del sistema aristocratico che delega
il comando ai valorosi, ai puri, ai sani, ai virtuosi che sanno resistere a
ogni tentazione ed esercitano con spirito superiore la sovranità, senza badare
ai propri interessi, senza vili egoismi. Ma dal momento che la democrazia
liberale esalta l’egoismo del mercato, l’armonia che paradossalmente ne
scaturisce, perché ci si deve immaginare i politici di quel mercato, gli
arconti che lo sovraintendono, estranei al vigoroso egoismo che lo ispira,
insensibili alla corruzione del denaro?</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA PAROLA</span><span style="color: black;">-CHIAVE<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>-
«Complesso» è l’aggettivo dietro il quale si nascondono tutti gli apologeti
dell’attuale sistema occidentale che non vogliono affrontare i drammi
contemporanei. Fate domande su argomenti delicati, sfiorate i tabù sui quali si
regge la democrazia, le contraddizioni angosciose, e il paladino di turno vi
risponderà che «la questione è più complessa». Non si può semplificare, non si
può attingere alla semplicità evangelica del «sì sì, no no». Ma va allora detto
che la complessità del regno di questo mondo di oggi non si riduce neppure agli
schemi marxisti, a quelli keynesiani, insomma alle teorie di un tempo che
ancora potevano essere tradotte nella divulgazione per il popolo. Il quale, più
estraneo che mai a quanto scorre davanti ai suoi occhi, ai paesaggi storici
stravolti, al tempo e spazio modificati, ai corpi nuovi perfino e alla biologia
che li racconta, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nonostante l’istruzione
di massa e le lauree e l’acculturazione perenne, costruisce <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>proprio con i vecchi strumenti appresi (e con
una insolita arroganza per via degli studi fatti) dei modelli arcaici, una
rozza fede nel bene e nel male, l’idea fissa di contare senza remore il denaro
altrui, il culto dell’invidia sociale, senza più rispetto per il mistero che
ancora ieri circondava il potere e che evitava ai sudditi la spiacevole (e
falsa) sensazione d’essere costantemente derubati. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">COMPROMESSO
STORICO CON I DÈMONI - Lontano dalle polemiche contingenti e avendo visto i
risultati nel lungo periodo, l’impresa di Konrad Adenauer nella Germania del
dopoguerra appare degna di rispetto. Non solo e non tanto per la ricostruzione
di un paese vinto e raso al suolo – anche il regime precedente aveva realizzato
opere titaniche in questo campo –, quanto per essere riuscita ad abbassare la
febbre dopo la catastrofe. Arduo in un paese che subiva la sua seconda
sconfitta storica in pochi anni, perdendo ogni residua speranza ma coltivando
per forza di cose odi, rancori e lutti. Adunare una folla di furiosi e
modularla in una politica paziente nonostante una parte della patria fosse
ancora più marcatamente schiacciata dai vincitori e occupanti in armi, nonostante
quel pezzo di Germania fosse separato e circondato da frontiere che apparivano
muri di prigione con tanto di filo spinato e torrette di guardia; evitare
sommovimenti suicidi e mantenere una dignità nazionale con i vincitori che
volevano anche impartire lezioni di etica, fu un’opera virtuosa. Nel 1945 non
c’era stata nessuna conversione e neppure quelle furibonde fiammate insurrezionali
per i morti i bombardamenti e la fame che si ebbero nelle città del Nord d’Italia.
Sgomenti davanti alla autoeliminazione dei capi, restavano fedeli alla
Germania; spararono fino all’ultimo colpo nei villaggi dove entravano i carri
armati nemici. Non ebbero la disinvoltura degli italiani che, addossate le
colpe ai duci idolatrati fino a poco prima, si tolsero le divise brune e con
abiti o stracci primaverili corsero incontro festanti alle truppe
anglo-americane che chiamavano confidenzialmente gli Alleati. E a Ovest della
Germania non ci fu neppure il rito ipocrita che nella Deutsche Demokratische
Republik segnava in nome di Fichte, prontamente aggregato al socialismo moderno,
la purificazione del passato. Fu però imposta alla Repubblica di Adenauer l’altrettanto
ipocrita «denazistificazione», i corsi serali di democrazia, inutili come le
prediche forzate agli ebrei nel ghetto di Roma sotto i papi, e come quelle
soltanto umilianti. Senza palingenesi vere, dunque, Adenauer si sobbarcò il
lavoro sporco che i socialdemocratici si potettero risparmiare, traghettò
milioni di seguaci dei dèmoni nel nuovo mondo. Molte voci stigmatizzarono il
fatto che questo nuovo mondo avesse i caratteri della potenza d’oltreoceano
vincitrice della guerra. La diversità europea, d’altronde, era stata rasa al
suolo in quei pochi ma terribili anni di combattimento. Il vecchio cancelliere
riuscì a impedire la rinascita di un partito di rancorosi. Evitò pure di
favorire <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i> già scremate, già
«dalla parte giusta», attingendo invece nel fangoso impasto di masse
inarticolate e costrette a essere <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>silenziose
dalle disposizioni della «resa incondizionata» (proibito parlare pubblicamente
di quello che era successo, censurati anche i libri dei poeti, quelli di Benn
per esempio). In questa zona della sanguinaria vecchia Europa il ruolo dei
partiti era comunque diverso dalle macchine elettorali americane, negli Stati
Uniti non si contrapponevano il partito rivoluzionario e quello conservatore,
il partito cristiano e quello laico…</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ATTESE
- La «sinistra» italiana si considera tra i vincitori anche senza aver vinto
mai una competizione elettorale. È un destino, un vento del progresso che
spinge da quella parte. Tentano la scalata da circa un secolo, con immense
aspettative, che renderebbero deludente qualsiasi governo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LINGUA
RIEDUCATA - Il 1945 appare uno spartiacque anche per certe parole. È
provvisoriamente sospesa l’aggressività verbale, compreso il tono aristocratico
con il suo seguito di altezzosità. Chi cambiava la divisa o chi tornava da
Mosca si adattava al nuovo linguaggio, sostenendo talvolta di averlo già
parlato in passato, sia pure in codice. Ma c’era chi riteneva di subire adesso
una censura metafisica e non parlò quasi più. Ezra Pound fu l’icona di questi
uomini silenti. Scrisse tuttavia ancora cose notevoli che resistettero alla
rieducazione imperante. Molti altri si mostravano miti, avviavano un ciclo
cortese. Non mancò chi spendeva parole di circostanza per le vittime. Gli
scrittori comunque non videro passare indenne la lingua da questa frontiera
temporale. Cominciarono molti eufemismi su su fino alle attuali misericordiose
circonlocuzioni per ogni malformazione fisica, spirituale e sociale. Finisce
qui l’interminabile età della Tracotanza, ultima pratica dell’Ancien Régime
sopravvissuto per due secoli al suo crollo. Non c’è più dispregio per persone,
categorie, classi sociali, nazioni, razze. Un filosofo hegeliano moderato e
avversario della reazione argomentava la sua estetica, ancora nel pieno
Ottocento, esprimendosi così: «il cretino è ancora più brutto del negro perché
alla deformità della figura aggiunge l’ottusità dell’intelligenza» (Karl
Rosenkranz). Non diverso era il tono dell’agitprop comunista nei confronti del
borghese, insulti che ustionavano, con condimento di minacce fisiche. Si era
visto Lombroso marchiare le «facce da delinquente», la signora umiliare i
servitori, Thomas Mann attaccare il cancelliere croceuncinato ricorrendo allo
scherno del nobiluomo stizzito dal plebeo: «affetto dall’isteria del dégénéré
inférieur», era la diagnosi. Se si considera che, negli anni precedenti la guerra,
alla antica tradizione boriosa si era aggiunta una scuola attiva di violenza
verbale, una campagna pubblicitaria per accumulare disprezzo su alcuni, va
rilevato che il passaggio d’epoca fu impressionante, nessuno da allora in poi osò
più dire in pubblico «degenerato inferiore». La catastrofe era stata così
vertiginosa che ai più parve opportuno smetterla anche con le affermazioni
guascone. Una espiazione all’insegna della discrezione. Che scivolò nell’èra
mediocre. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">FORTUNE
- La ricchezza è meno effimera di un tempo, diciamo dell’Ottocento. Arriva
magari in una generazione, quindi in genere con maggiore rapidità, e
difficilmente sparisce con altrettanta prontezza. Tende casomai a consolidarsi.
Le disastrose rovine, i fallimenti che puntellavano le trame dei romanzi, sono
stati smussati da un liberalismo più moderato. Il cinismo del libero mercato
pare atterrire anche i suoi assertori. Il trionfo del liberalismo appartiene
ormai al XIX secolo.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Allora, imprenditori
e finanzieri stavano al gioco, esposti alle minacciose conseguenze della
potentissima roulette, mettevano in conto il tonfo del fallimento, proprio come
era nel conto la morte, sempre lunatica. Nei romanzi balzachiani ci sono le
devastazioni del mercato, i suoi capricci, che si accompagnano a quelli della
morte e dell’amore. In seguito, forme di socialismo compromesso hanno corrotto
questi eroi schierati al simbolico tavolo verde. Passati gli eroi che osavano
sfidare la spietatezze delle libere avventure del denaro, che combattevano la
guerra infinita della concorrenza, adesso ci si accontenta e si cercano
pubbliche protezioni contro l’imprevedibilità della Fortuna.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA DEA</span><span style="color: black;">
MODERATA</span><span style="color: black;"> - Nelle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Eumenidi </i>di Eschilo, parte finale
dell’Orestea, Apollo sopraggiunto al tribunale popolare appena istituito da
Atena pronuncia questa battuta illuminante: «I ceppi c’è chi li slaccia, c’è
sempre mezzo di porre rimedio, di sciogliere». Contro la fatalità monarchica,
contro i responsi arcaici scritti nella pietra, la fluidità del potere del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">demos</i>, mercuriale. Successivamente,
un’Atena con l’acutezza brillante di una dama settecentesca, elogia la
moderazione: «Né senza una guida, né sotto un tiranno: questo, o cittadini, lo
Stato che vi consiglio. Coltivatelo gelosi. Non abolite del tutto la paura
dalla vostra cerchia. Chi al mondo si mantiene probo se non l’invade la
paura?». Nel momento in cui la dea stabilisce una nuova giurisprudenza e nuove
istituzioni, mentre stringe un accordo con Peitho, divinità della persuasione,
del consenso, per fare accettare i cambiamenti alla città, proprio in quel
mentre viene evocata la paura. Millenni prima di Hobbes è intorno a questo
sentimento che si fondano gli accordi politici. Atena lo rivela
spregiudicatamente, anzi consiglia il buon uso della paura come farà Jung con i
suoi accoliti. Paura perché si sta distruggendo un pezzo di tradizione.
Cambiano le leggi, le abitudini, la morale, e ci si sente tutti un po’
sacrileghi. Atena prende parte al giudizio e si esprime a favore di Oreste e,
grazie alla parità di voti favorevoli e contrari, l’imputato può essere
assolto. Prevale il nuovo diritto, la decisione – la conta dei voti – in luogo
della verità. Al ‘giudizio di Dio’ che consacra il verdetto ecco invece un
conteggio di voti, un trucco metodico per impedire un ulteriore spargimento di
violenza. La sentenza del tribunale però non annulla quella delle Erinni, il
coro fosco dei rimorsi, dei motivi morali. La verità politica, la decisione
pubblica,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non va confusa con gli
scrupoli, con i fantasmi delle angosce, i dolori dei pentimenti, la «segreta
plebaglia dei dèmoni», come la chiama Omero. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LE
IMPERFEZIONI DEMOCRATICHE - Gli apologeti del sistema democratico avrebbero
potuto, a metà Novecento, argomentare così: il nostro lavoro consiste nel
condurre i barbari in città. Allora, nelle città imbarbarite, si perderanno le
belle forme e nel caos – non più rappresentabile dal partito unico come avviene
per un elettorato armonico – si annunceranno dissonanze, morbi, deformità,
leghe minacciose. È il kantiano «male necessario». Il semplicismo dei
rivoluzionari, proprio della civiltà antica, pretendeva rovesciare, mettere a
testa in giù, la società minata da una qualche corruzione, per bonificarla e
riedificarla al contrario. Un uso impropriamente politico dell’avvertimento
evangelico «gli ultimi saranno i primi». Il laborioso processo avviato dai
moderati si accontenta di squilibrare e di riequilibrare su una enorme bilancia
impersonale, al posto di un rapido intervento chirurgico. La democrazia si
vuole sempre imperfetta, all’opposto della società immaginata dai filosofi.
L’apologia di uno strumento che non funziona pienamente, in opposizione a un
perfetto strumento cruento, è una buona allegoria di questo sistema. Lo
illustra con gran gusto del paradosso lo scrittore cattolico Gilbert Keith
Chesterton nella sua raccolta di piccoli saggi sul tema del «bello del brutto».
Dove si legge una difesa del «coltello che taglia male»: «un coltello non è mai
cattivo se non in rare occasioni, per esempio quando viene piantato con
destrezza e precisione nel bel mezzo della schiena di qualcuno. Il coltello più
scadente e meno affilato che abbia mai fatto a pezzi una matita, invece di
appuntirla, è una cosa buona in quanto coltello». Da qui la scarsa avvenenza
compensata dall’efficacia nei momenti di inclusione sociale al trapasso di
epoca. Resta il fatto che in caso di legittima difesa c’è bisogno di un
coltello che tagli e offenda per non rischiare il peccato di inefficienza nei
momenti della città in pericolo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Si
impara a scuola che la rappresentazione comica è connaturata alla classe media.
La democrazia, come il borghese, l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">homo
oeconomicus</i>, rischia spesso il ridicolo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">VIRTÙ
DELLA FRODE - Impensabile nel Medioevo cavalleresco il seguente insegnamento
che, alle origini del mondo moderno, ci impartisce lo scandaloso Hobbes: «La
forza e la frode sono, nello stato di guerra, due virtù cardinali». In
contrapposizione all’aristocratico «onore», il filosofo inglese apre la schiera
dei nuovi filosofi politici, senza tradizione, senza nobiltà d’origine. Onore è
virtù da soldato, sostiene Hobbes, e solo una società a misura di soldato, una
società militarizzata, può essere fondata sull’onore. Quella degli uomini
qualunque, che si costituisce proprio per evitare la guerra, dunque incapace di
esercitare l’arte delle armi, si impadronisce invece dell’arte della politica,
che sa come l’uomo civile, in mancanza della protezione militare, fugge nel
momento del pericolo. Il mondo borghese perciò si costituirebbe, secondo
Hobbes, per evitare i momenti di pericolo, per rendere il senso dell’onore
completamente inutile. Inquietante questo «onore» agitato adesso dalle plebi
italiche che mai ne ebbero uno e inquietante la questione morale glorificata in
un tempo senza più morale. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PREISTORIA
UMANA – Schopenhauer, non il materialista di Treviri, in un dialogo sulla
religione: «Ognuno ammetterà che una razza la quale, secondo le indicazioni
concordi di tutti i dati fisici e storici, non conta finora più di cento volte
la vita di un uomo di sessant’anni, si trova ancora nella sua infanzia». Se il
laicismo – come si è rivelato nell’ultimo secolo – è il surrogato della
religione, allora si tratta, come tutti i succedanei, di roba economica,
prodotti poveri per epoche povere.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ANALOGIE<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>- I rari dissidenti nella Germania in guerra,
quei conservatori irritati per l’aspetto plebeo che aveva preso l’ex armata
prussiana, ne descrivevano i caratteri infernali attribuendone la causa al <i style="mso-bidi-font-style: normal;">demos</i> imperante. Chissà se qualcuno di
questi signori si era imbattuto nel passo di uno scritto di Max Weber, che
risaliva all’indomani del primo conflitto mondiale ma trattava dell’Atene
classica: «Al tempo della democrazia […] la guerra, che poteva sovvertire tutte
le posizioni economiche dei proprietari, era un fenomeno cronico e si
intensificò fino ad assumere un carattere di estrema brutalità in contrasto con
la condotta delle guerre combattute dai cavalieri […]. Ogni battaglia vinta
aveva quasi sempre per conseguenza il massacro di tutti i prigionieri: ogni
conquista di città significava la morte e la schiavitù di tutti i suoi
abitanti». <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Demos</i> e guerra totale,
impressionante binomio su cui meditò l’allievo cattolico di Weber, il Carl
Schmitt per il quale i più retrogradi e spietati mezzi saranno sempre bene
accetti pur di evitare l’abominio della guerra totale. Inorridirebbe a sentir
parlare, come si fa oggi, di «guerra etica» o «guerra umanitaria», la più
inumana impostazione di un conflitto, necessaria antesignana della guerra
totale. Comunque, anche senza Weber, avevano tutti assistito alla Guerra mondiale
che aveva partorito dal suo seno la Rivoluzione bolscevica, l’interminabile spietatezza
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>messa in campo per «cambiare il mondo».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">TIRANNIE
-<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ancora con la guida di Weber, a
gettare uno sguardo nella violenta strategia delle masse che vogliono emanciparsi.
Nell’antichità i diseredati attendevano l’affermazione del tiranno come i loro
eredi sperano nella macchina burocratica rivoluzionaria. In ogni caso una
medicina molto amara, un risvolto tragico che si è via via attenuato, corretto
dall’ottimismo borghese, incipriato di progressismo. Un tempo pretendevano una
sospensione della legge, una vendetta storica che comportava una ecatombe,
l’annientamento del modo di vivere dell’avversario. La disperazione sociale si
scontrava con l’agio borghese in un duello mortale. A Roma chi negava il
diritto di voto per i liberti argomentava il suo rifiuto agitando il pericolo
che dal suffragio dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">parvenus</i>
uscisse una tirannide. Nel nostro secolo le due massime tirannie occidentali
hanno conquistato il favore popolare e la maggioranza elettorale. A un certo
punto la timocrazia pareva il destino d’Europa. La «bourgeoisie plebea» è una
categoria weberiana per i liberti a Roma. Calza meravigliosamente alla borghesia
di fine millennio, del secondo millennio dell’èra cristiana.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">CONTROTEMPI
- Il contrasto tra la frenesia del tempo effimero della rivolta e quello lento,
troppo lento per i giovani, della politica realista. Ovvero, i giorni concitati
per la follia della sommossa e quelli disperati della infinita ripetizione.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">DUBBI -
Nonostante lo sciupio attuale di lodi per il dubbio, i dogmi hanno resistito,
soprattutto quelli infondati. La glorificazione dell’incertezza è uno dei
manierismi contemporanei. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">IN UNA
VITA - Hans Blumenberg, mentre dispiega intorno alla bachiana <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Passione secondo Matteo</i> un virtuosistico
apparato di digressioni teologiche, erudizione biblistica, filosofia del
Novecento, che fa da basso continuo alla singolare composizione dove il cielo
di una liturgia luterana, di una liturgia privata, e la terra dell’arte umana
si incrociano – si lascia scappare questa frase: «Fintanto che gli uomini
avranno soltanto una vita da vivere, essi saranno inclini a credere che proprio
nella loro vita debba realizzarsi ciò che ha significato e che cambia il mondo.
Il potenziale di attesa è perciò sempre grande abbastanza […] per apocalissi di
ogni sorta». Soprattutto da giovani, va aggiunto. Poi ci si concede una
dilazione: se non è dato loro di scorgere l’alba del nuovo, certamente toccherà
ai figli un simile privilegio. È la speranza più pura. Spesso confortata dai
segni di immense trasformazioni che scandiscono il corso delle generazioni. Ma i
fedeli di moltissime sette (quelle politiche comprese) hanno percepito la
realizzazione di tali mutamenti come qualcosa di drammatico, di apocalittico
appunto: «il mondo ha perduto la giovinezza, i secoli stanno diventando
vecchi», si legge in una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Apocalisse</i>
apocrifa. Un futuro slegato da ogni continuità stringe il cuore. Un futuro
segnato da un duello cosmico e definitivo potrà pure inorgoglire ma getterà
chiunque nel panico. I figli del XX secolo hanno vissuto con questo doppio
sentimento: orgoglio luciferino (o prometeico) e terrore angoscioso. Quando in
età matura perdono quella illusione di una esperienza <i style="mso-bidi-font-style: normal;">esclusiva</i> riscoprono gioie domestiche. In luogo delle macerie
rivoluzionarie, si ristabilisce un orizzonte lontano che spegne l’angoscia, un
paesaggio rigoglioso di dettagli, da decifrare pacatamente, una prospettiva
graduata all’infinito, dove perdersi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">BACI -
Aveva ragione l’architetto dell’Effimero nella Città Eterna quando la sera
movimentata in cui cambiarono i connotati al suo partito diceva al telefono: «era
meglio che avesse cambiato nome quando fu costruito il Muro di Berlino, non
adesso che lo abbattono…». Si difendevano i truccatori del vecchio comunismo:
«bisognava salvare il buon nome, l’onore di milioni di persone oneste che lo
avevano votato». Già, in Italia i fiancheggiatori del bolscevismo erano per
definizione «bonari», rischiavano però di essere travolti dai russi «cattivi»
che stavolta si arrendevano alla realtà. Qualche perplessità fu avanzata sulla
operazione in genere e, in particolare, sulla liquidazione gestita dai capi. Non
si era più al 1956. Allora, di fronte agli atroci rapporti provenienti da Mosca
che smentivano mezzo secolo della sua propaganda, i rossi condottieri, sempre
colti e sprezzanti, dichiararono con innocenza da scolaretti «noi non
sapevamo». Adesso la sterminata bibliografia sull’argomento che non ha aperto
loro gli occhi può precipitare su quelle teste e così punirli per essersi
mostrati a braccetto con dei mostri, per avere baciato sulla bocca Breznev. Non
fosse che per quello, andavano epurati.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">BANDIERE
- Il crollo dell’Ottantanove ha lasciato sul campo due specie di vinti. Quelli
che hanno fatto fronte al cambiamento di rotta e agli eventuali castighi per le
scelleratezze compiute, subito indossando una diversa livrea o abbandonandosi
ai rimorsi, fuori dalla scena pubblica; e quelli che, complici dei misfatti
‘orientali’, nel resto d’Europa, con dei distinguo e dei dissensi ma dalla
stessa parte, finsero di non essere chiamati in causa. Non afferrarono che un
unico destino li trascinava all’Inferno. Idea di Ghino (nobile e bandito), un
vessillo rosso fu invece esposto alle finestre di un palazzo romano nelle
stesse ore in cui sulle torri del Cremlino le vecchie bandiere venivano
ammainate. Pareva rappresentare un eccentrico epilogo – fuori dal suo centro
vitale, nella capitale cattolica, dunque nella estrema periferia del mondo
industriale – alla maggiore epica dei tempi moderni. Non conteneva nessuna
solidarietà bolscevica quella bandierina che in pochi notarono, annunciava soltanto
che la campana a morto per il socialismo dell’Est suonava anche per quello
dell’Ovest. Noi non fummo i cani da guardia dei patti di Jalta – pareva
ricordare come una lapide su una tomba – ma ci aspetta la medesima sorte. Una
sconfitta di tal fatta comportava la catastrofe per tutti coloro che avevano
agitato qualcosa di rosso.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Chi si
richiama alla Rivoluzione ormai (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">anno
1995</i>) lo fa più che altro per un atteggiamento dello spirito, senza
sentirsi per questo un funzionario politico, un «rivoluzionario di professione»
come si diceva un tempo. Generico disprezzo per il punto di vista conservatore
e generica predilezione per il tempo nuovo, costante <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ereignis</i>, l’evento heideggeriano, mescolato all’ottimismo
insufflato dalla réclame<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>consumista.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LO
STATO ESTINTO - Contrappasso alla statolatria tedesca. L’unico paese
occidentale che ha visto per<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ben due
volte a distanza di pochi decenni scomparire lo Stato in virtù di un decreto è
stata la Germania. Non
soltanto infatti la DDR
– ossia la vecchia Prussia e i suoi dintorni restaurata dai carri armati di
Mosca e abbattuta nel 1989 –, già nel 1947 una ordinanza dei vincitori
stabiliva: «Lo Stato prussiano è sciolto con tutto il suo governo e le sue
strutture amministrative».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PURGATORI
- I cristiani in tutte le sfumature protestanti e perfino una parte dei
cattolici considerarono le aberrazioni del socialismo incarnato in Russia come
dei peccati veniali rispetto a quelli che si commettevano nella dovizia
occidentale. Dal momento che l’opulenza era annoverata tra i frutti satanici,
quelle società miserrime e puritane, incatenate alla purezza del quanto basta,
risultavano un esperimento «interessante». Non mancarono le critiche alle
«offese alla dignità umana», linguaggio curiale per dire di campi di lavoro
forzato e di corpi seviziati in stanze nascoste, ma la sostanza era
accettabile, ammirevole l’ascesi sociale senza Dio. Di questo dettaglio non si
diedero pena, non sembrava pensassero che a quei derelitti avevano tolto anche
il premio celeste.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PATRIE
- Una volta tanto la parola d’ordine da gridare nelle piazze conteneva un fondo
di verosimiglianza soprattutto se coniugato al passato: «Il proletariato non ha
nazione…». Non aveva infatti case resistenti al tempo, dimore amate, tombe di
famiglia, un passato dolce da custodire e talvolta da rimpiangere, ricordi di
nonni imperiosi, di campagne dorate e indolenti, di infanzie vanitose, di
antichi sogni. I suoi eredi, tra qualche decennio, per difendere l’onore di
villette senza storia scopriranno forse una forma di nazionalismo spurio nelle
battaglie con gli africani sbarcati da poco.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">(2. - <i style="mso-bidi-font-style: normal;">continua</i>)</span></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-57583200717687434982015-05-08T15:15:00.001-07:002015-05-11T15:24:36.090-07:001989<span style="color: #999999;">~<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>DIARI LONTANI </span>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">PER CERCARE IL BANDOLO </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">DEL SECOLO SCORSO ~</span><br />
<span style="color: #999999;">~<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>I PUNTATA ~</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;"> </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br />
<div style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">È il centenario della nostra Grande Guerra e
101 anni dall’avvio del primo conflitto sul teatro del mondo intero, anche se
la violenza portata in Europa e fuori d’Europa da Napoleone già aveva un
carattere globale. Un secolo di guerra intestina e contro tutti, ovvero quando la Modernità depose il tono
mondano della belle époque ottocentesca e mostrò il volto di Medusa. Ora siamo
distanti circa mezzo secolo dal furioso 1968 e un secolo appunto dalla prima
Guerra mondiale, cosicché è assai facile capire come, in quell’anno fatidico
della giovinezza dei vecchi attuali, la guerra delle trincee che pareva di
altri millenni, faccende di nonni bellicisti, produceva più o meno l’effetto
che la insurrezione dei nonni pacifisti asserragliati nelle università può
produrre sui ragazzi di oggi. Ovvero le varie facce della Mobilitazione Totale.
E poi c’è un altro numero magico, il 1989, doppiamente magico dal momento che
rievoca l’anno della Rivoluzione francese e quello che dissolve la Rivoluzione russa e le
sue conquiste militari in mezza Europa, il frutto più innovativo della guerra.
Abituati dalla ossessiva attualità a uno sguardo da miopi, ci si dimentica di
un tempo, non troppo remoto, in cui queste date hanno fatto tribolare il genere
umano.</span></i></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Càpita che per una specie di ‘pulizie di
Pasqua’, estese anche al pc, si rinvengano diari lontani, taccuini di appunti,
che nei pressi dell’Ottantanove e del lustro successivo provavano a riflettere
in forma di frettolose annotazioni su quel secolo a cui siamo ancora così
attaccati. Le trascriviamo senza correggere nulla col senno di poi, anche se il
raro lettore forse si stupirà di toni e riferimenti eccentrici rispetto a
quelli che si trovano abitualmente su questo «Almanacco».</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">REDENZIONE
LIBERTY - Nei contorni sfumati di un passaggio d’epoca, all’alba del XX secolo
e nel suo avvento segreto, si sviluppò una strana attesa di una prossima
redenzione che si accompagnò ai tumulti socio-politico-militari. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tikkun</i> è il termine cabalistico
variamente tradotto con redenzione, appunto, restituzione, riparazione,
riforma, ristabilimento dell’armonia perduta. Quest’ultimo intento farà da
sottofondo al volontariato guerriero di molti giovani squisiti nel 1914 (si
veda per esempio quanto scriveva Franz Marc intorno alla necessità del
sacrificio per ricomporre l’Europa). Fino ad allora il termine ‘redenzione’
aveva designato in Occidente, fuori dal campo letterario, soltanto l’impresa
divino-umana di Gesù Cristo. Finì nei libri dei marxisti per indicare
l’indicibile dell’impresa esclusivamente umana. Un’altra variante, del resto,
«Regno di Dio», passò via Hegel alle utopie politiche. La vibrazione spirituale
che muoveva si materializzò nelle forme sfatte, monumentali e livide dell’Art
Nouveau. L’immagine della Grande Madre –<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>sfuggita dalle bizzarre ricerche di Bachofen e coniugata con le rivolte
di donne come con le paure di Weininger – diventa un altro mito lunare che
consolerà i moribondi della Grande Guerra, gli artisti tedeschi, i più puri
giovani mediterranei. Redenzione femminile dall’oppressione paterna, dalla
schiavitù prussiana, dalla famiglia borghese. Le teorie freudiane ne faranno
una faccenda ebraica di padri usciti dal ghetto e diventati troppo rigidi per
avere introiettato la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Kultur</i> germanica,
eccesso di zelo degli emancipati. In </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Die
Schlafwandler</i><span style="color: black;"> (I sonnambuli) Broch delineò questi
passaggi, in </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Der Tod des Vergil</i>
(<span style="color: black;">Morte di Virgilio) diverranno il tema di un infinito
poema sinfonico, che prende la forma di romanzo, svolto in chiave dolente.
Kafka fu il profeta: la fine del mondo dei padri stava arrivando. L’universo
prussiano della precisione era in panne. Da quei meccanismi inceppati verranno
fuori immagini mostruose.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">C’era
chi al prussianesimo contrapponeva la dolcezza cattolica dell’Impero asburgico.
Dopo il grande fratricidio europeo, nel 1918 già si rimpiangeva l’autorità
femminile di Vienna. Un maestro dell’avanguardia come Schönberg – finito
esiliato in California – confidava a un Brecht incontrato al supermercato la
sua speranza di una restaurazione dell’Impero. L’altro profugo, con i suoi
slogan lirici, non lo capiva. Ma ancora nei Cinquanta Broch avrebbe voluto
ricostituire lo Stato asburgico sulle macerie dell’Europa sconfitta. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
cultura occidentale – dopo le singole e potenti fiammate cattoliche dei primi
decenni del XX (Péguy e Chesterton per dire dei più popolari) – abbandonerà le
chiese cristiane e si accosterà sempre più, in modo esplicito, alla gnosi.
D’altronde, con l’irruenza del soggettivismo che conquista l’epoca moderna si
finisce tutti gnostici, si fa della gnosi senza saperlo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Con la
complicità delle filosofie e delle religioni orientali, importate come antidoto
all’industrialismo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una utopia
ricorrente fu quella della «Terra che torna amica». I maestri esoterici si guardavano
bene dai corrivi esotismi: «il pericolo che minaccia il mondo è l’induismo… C’è
oggi una specie di acqua di rigovernatura religiosa, mista di ingredienti
cristiani e indiani», sosteneva per esempio Stefan George in un colloquio. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Un
opuscolo come </span><i>Die verfluchte Kultur </i><span style="mso-bidi-font-style: italic;">(</span><span style="color: black;">La civiltà maledetta) – invettiva di
Theodor Lessing che si accanisce contro la civiltà europea, colpevole di
distruggere la natura, l’ambiente umano, per avidità di progresso, per fede cieca
nel tempo lineare dello sviluppo – è un esempio della nuova religione
apocalittica nell’Occidente anni Venti, carte di un duello con la tecnica nella
«Germania degli ingegneri», dando il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">la</i>
a tanta filosofia teutonica anche assai distante dagli auspici dello scrittore
ebreo. Scriveva Lessing: «Da quattrocento anni il cosiddetto uomo caucasico è
in procinto di assoggettare la terra […]. Da molto tempo è stata spazzata via e
fatta scomparire l’intera fauna europea. […] Oltre a questo contro gli animali
quale altro inaudito delitto contro il prato e il bosco […]. La Società per azioni di
Copenhagen per l’esercizio economico della pesca alla balena macellò
nell’ultimo anno 300.000 balene […]. Si uccidono ogni anno milioni di foche…».
Nulla di nuovo sotto il sole di questo secolo. Alcune di tali litanie
diventeranno più tardi discorsi ‘politici’.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Ultimi
giorni dell’umanità: è stata questa la sensazione ricorrente per buona parte
del secolo. Una esperienza terribile quanto esclusiva, almeno dopo il
millenarismo medioevale, dove hanno sguazzato le culture estreme e le
sottoculture più popolari. E intanto, linea tremolante all’orizzonte, la
riconciliazione annunciata, la «Terra che torna amica», che si apre mollemente:
nasce da qui quella voluttà funerea di sepoltura accogliente che si accompagna
ai desideri liberty di liberazione. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Regno
delle Madri spostato da Vienna a Mosca, dalla Dublino joyciana alla Oxford
esoterica degli <i style="mso-bidi-font-style: normal;">happy few</i>. A
Gerusalemme invece il sionismo strappa i legami materni che resero pavidi i
figli del ghetto nella diaspora. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SOGNI
RICONGIUNTI - «Per ‘rinnovamento’ non intendo in alcun modo un cambiamento
graduale, la somma totale di piccole modificazioni: intendo qualcosa di
improvviso e di enorme, qualcosa che non sarebbe in alcun modo assimilabile a
una progressione, ma piuttosto a una trasformazione, a una metamorfosi» (Martin
Buber). «Senza la tentazione di ‘fare violenza al regno dei cieli’ il futuro
non è affatto un futuro ma solo un passato trascinato per una lunghezza
infinita e proiettato in avanti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Infatti
senza questa anticipazione l’istante non è eterno, bensì qualcosa che si
trascina perennemente oltre sulla lunga strada maestra del tempo» (Franz
Rosenzweig). E, con minimalismo, Lukács nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Teoria del romanzo</i> cerca di redimere almeno la letteratura:
«L’ironia dello scrittore è la mistica negativa delle epoche senza Dio». C’è
una idea apprezzabile di ‘novità’, passiva e poco enfatica,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che si ritrova in Kokoschka: «La maggior
parte di coloro che venivano per farsi un ritratto erano ebrei. Si sentivano
meno sicuri che il resto dell’establishment viennese e quindi erano più
disponibili alla novità e più sensibili alle tensioni e alle pressioni che
accompagnavano il decadimento del vecchio ordine…». Insicurezza, paura. Il
trapasso era segnato dalla catastrofe. Un cambiamento ancor più del solito
sotto l’egida della morte. Impensabile all’epoca dei Lumi e anche nel gaudente
Ottocento. La redenzione liberty che sostituirà la fede religiosa richiede non
un semplice atto di assenso, esige il sacrificio della vita, l’etica del
sacrificio. La Rivoluzione
mitica getta milioni di cadaveri in pasto alla Storia. Una rivoluzione che ha i
colori del socialismo, anche nelle sue vesti nazionaliste, di «destra» estrema.
«Destra» e «sinistra» rivaleggiavano in fatto di anticapitalismo, di
rappresentanza dei salariati. I teorici di ambo le parti erano fieri di
ripetere che nel loro schieramento si trovava il migliore socialismo. Oggi
simili miti sono usciti di scena. Mancano parole e pensieri per definire l’onnipotenza
del mercato mentre le ricette socialiste, dopo la disintegrazione del modello
bolscevico, appaiono fuori corso. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Quanta <i style="mso-bidi-font-style: normal;">impazienza</i> rivoluzionaria nella destra
europea, quanta accondiscendenza letteraria d’ogni parte verso questa
impazienza simbolo di giovinezza, contrapposta al calcolo degli odiati
politici, quanto estatica ammirazione, sull’altro fronte, per la forza pagana
dei bolscevichi capace anche di strappare il vecchio mondo dalle sue radici
religiose. I rivoluzionari d’ogni colore puntavano al rischio supremo. Una
guerra da combattere in città, distruggendone il cuore antico, le sue abitudini
rilassate, una bella guerra dell’arte, del gusto, una crociata contro le
vecchie delizie della vita, le dimore tranquille, le prose lente, i gesti
solenni.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">I
conservatori erano i nemici, non come figura sociale ma come atteggiamento
dello spirito. Irritava quel loro vivere nel presente, senza proiezioni nel
futuro. Bottegai grandi e piccoli, come si diceva con fastidio per il
commercio, per lo scambio (Hermes, colui che separa per ricongiungere
diversamente, rottura della comunità, conflitto, spada mercuriale, spirito
penetrante; questa sequenza nutrì pure l’avversione per gli ebrei – l’alato ai
piedi sembrava la più semitica delle divinità olimpiche), salvo poi arruolare
sotto le proprie bandiere i più incarogniti commercianti. Secondo lo schema, i
conservatori potevano sopravvivere soltanto nella prosaica e perfida
Inghilterra (ignorando il duro spirito aristocratico che animava e lustrava
l’imperialismo dei suoi mercanti, quello che conquistò il globo terrestre). <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Così la guerra culturale per il trionfo della
tradizione, in nome della fedeltà alle radici e al sangue, passava per una
rivoluzione come mai se ne videro. Céline non profetizzava altro che stragi
stragi stragi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Dopo la Seconda guerra mondiale,
il sentimento liberty parve resistere soltanto tra i letterati: si appoggiò al
pauperismo delle ultime plebi e in Italia si contrappose per lo più alla
religione ufficiale che allora si rinvigoriva nelle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i> uscite sbandate dalla sconfitta. Trascinò con sé le utopie
delle origini, il naturalismo, le affezioni ‘verdi’, la rivolta delle donne, il
gusto femminile, il cristianesimo eretico, il pathos dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">omoios</i> in tutte le sue declinazioni, a cominciare dall’omofilia. L’estetismo
fu sempre il suo sigillo. Ci volle un sentimento struggente per resistere alle
suggestioni del presente, alle comodità dell’epoca con cui si tentava di
dimenticare il sangue versato, che offriva una quantità sconvolgente di merci,
che coniava il termine ‘benessere’ per quasi tutti in Europa. Novelli monaci di
fronte alle sataniche tentazioni del più rapido arricchimento della storia,
alla sospetta epifania della opulenza. La redenzione liberty, benché logora,
restava sullo sfondo con il suo secolare tono ascetico. Addestrava ancora a
fissare il lato negativo del mondo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La Rivoluzione</span><span style="color: black;"> si fece bella con il gesto mitico, «il cambiamento in sé
diventando quel che conta» (Valéry). Per chi è immerso nell’inferno qualsiasi
segnale di metamorfosi sarà rincuorante, ma una simile politica di disperazione
conduce i suoi militanti a misurarsi ripetutamente con la roulette russa. E a
ogni tentativo ci si aspetta un proiettile in testa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
sensazione che i giorni apocalittici siano imminenti si trascina per un secolo.
Come capitò ai primi cristiani che attesero di giorno in giorno Gesù vindice,
mentre si consumavano generazioni e generazioni. La luce opaca trapassava nel
buio. Né il vociare dei veggenti rischiarava il futuro prossimo. Anni dopo anni
si ridusse a «doxa sinistrorsa», come la definì Foucault, maestro della piccola
scolastica parigina.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Stili
di vita e di lotta: la trasgressione come gradino nella scala dell’ascesi.
Pierre Klossowski scruta con i suoi occhi luciferini la metafisica della
sessualità: «non si può essere trasgressivi nell’atto carnale se questo non è
vissuto come atto spirituale». Per secoli la Chiesa di Roma si opponeva a un tale uso
disinvolto dei doni dello Spirito Santo finché, negli ultimi tempi, per semplificazione
dei teologi contemporanei, il Paraclito è scambiato con lo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Zeitgeist</i>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La Rivoluzione</span><span style="color: black;"> si rivela ormai come una fiammata, una giornata frenetica sempre
sconfitta il giorno dopo dalle abitudini prosaiche. In una pagina Heine seppe
tirare fuori tutta la mestizia di questa conclusione: le armate napoleoniche
avevano interrotto per un giorno l’eterna calma della Germania di allora, ma
all’indomani «si tornava a scuola». Contro la Rivoluzione francese e
le sue tante appendici si muoveva invece un rivolgimento sotterraneo e disteso
nel tempo lungo, formato di momenti impercettibili, senza squilli di tromba né
tribunali né vendette né giorni di gloria. Non confondeva, quel procedere dei
conservatori, l’Apocalisse con la politica, la fine del mondo con la propria
depressione psichica. Si perdeva il passaggio cruciale, rischiando di affogare
nella monotonia apparente. Ci si affidava però allo sguardo che sapeva cogliere
crepe sottilissime quanto vertiginose. L’autentico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">novum</i> non era il negativo del presente. Al termine delle
innumerevoli digressioni dell’odissea politica anche Itaca appare
definitivamente cambiata. Nella letteratura fiabesca la formula «e vissero
felici e contenti» doveva tentare di esorcizzare il lavorio del tempo che qualsiasi
racconto avrebbe reso evidente.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">L’artificio
a cui ricorre la
Rivoluzione – secondo la riflessione di Burke –, alla lunga
non regge più: la natura, questa potenza reazionaria, si affaccia in aria di
sfida. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
tabula rasa apocalittica appare nel caso politico un trucco retorico.
Tocqueville riteneva che al successo rivoluzionario avessero contribuito «dieci
generazioni», ma allora gloria al lavoro secolare e spesso anonimo delle dieci
generazioni piuttosto che alla concitata giornata del 14 luglio.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il suo
carattere di unicità che la consacra giorno festivo, giubilare, tempo
carismatico, impedisce per ciò stesso di parlare di «rivoluzione permanente»,
impossibile incatenare un evento speciale al tempo ordinario. Ma, per un
secolo, permanente fu l’attesa. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il
malcontento cosmico oggi sembra rientrato (o degenerato in piccole voglie).
Resta Armageddon, la minaccia nucleare (che corrisponde come potenza al raduno
di tutti gli eserciti profetizzato da Giovanni) ma non è più immagine né letteratura
e, silenziosa, clandestina, non riesce più a incutere terrore, fa parte degli
album nostalgici dei Cinquanta, con i manifestanti anglosassoni in fila
educata, buffi con i loro cartelloni contro la
Bomba H. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">UNA
SPECIE DI NEMESI - Gli eroi dell’ultima guerra schierati con la parte
vincitrice sono stati visitati in vecchiaia dalle Gorgoni della Storia che, con
le sue riscritture, vuole riordinare le passioni degli umani. Nessuno, neanche
il tempo, toglie il merito a coloro che oltre a battersi con valore salvarono
donne, bambini e vecchi dagli oltraggi, ma pare che l’epos risuoni meno
trionfale. A furia di raccogliere testimonianze, l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">indicibile</i> viene detto, e perciò banalizzato. Negli scaffali
finiscono anche i libri dell’altra parte<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>e addirittura in Israele si pubblica <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mein
Kampf</i>, reso innocuo dalla diversità del mondo attuale. Accadde lo stesso,
negli anni Sessanta, ai vecchi che da giovani erano stati in trincea. Talvolta
venivano irrisi per avere partecipato alla Grande Guerra, criticati come
patriottardi, talvolta magari sbeffeggiati semplicemente perché inattuali, ma
più in generale era il nemico austriaco che aveva perduto ogni credibilità in
fatto di ferocia. Nel migliore dei casi, c’era imbarazzo per l’ossessivo
insistere dei vecchi su una questione che, per quanto tragica, appariva
superata per sempre. I nipotini, invaghiti di Klimt, non davano peso al più
grande duello con la morte della storia moderna, duello affrontato dai loro
nonni screditati. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">SCHIAVI
- «Nel capitalismo? Tutto è schiavitù», confidò Kafka in un colloquio. Ma nelle
pagine-chiave del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Capitale</i> Marx: «… i
vecchi organismi sociali [quelli pre-capitalistici] sono, sotto il rapporto di
produzione, infinitamente più semplici e più intellegibili che la società
borghese, ma essi hanno per base l’immaturità dell’uomo individuale, di cui la
storia non ha, per così dire,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ancora
tagliato il cordone ombelicale che lo unisce alla comunità naturale di una
tribù primitiva, o a condizioni di dispotismo e di schiavitù». In ogni caso,
osservazioni di altre epoche, come quelle che mettevano in luce la brutalità
demoniaca dell’America nella storia di Rossmann. Ormai il capitalismo sembra
diventato una potenza naturale. E in molti, soprattutto tra i marxisti di un
tempo, sembrano rimpiangere i rapporti di produzione «più semplici e più
intellegibili».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">BILANCI
- Dice l’uomo della strada o la donna del bus: «Questo secolo ha avuto tante
cose brutte ma anche tante belle scoperte…», mai collegando le une alle altre,
mai subordinando le prime alle seconde in un rapporto di causa ed effetto.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">NOVECENTO
- Anche il migliore illuminismo del secolo fu agitato da maghi neri,
febbricitanti, stregati dal mistero, beffardi: Kraus, Valéry, Jung… </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">ARTE
FUNESTA – Ancora Klossowski, in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Un si
funeste désir</i>, libro volto ad arruolare Sade tra gli arcangeli velati,
parla dell’abbandono da parte dell’Occidente del «regno del Logos» e della
conseguente «rottura dell’equilibrio a spese della vita e della fecondità, a
favore delle potenze della morte rappresentate dall’arte e da una dissociazione
tra sentimento e linguaggio». Le «potenze della morte» celebrate nel culto
estetico segnano in modo speciale questo secolo. Da Mallarmé in poi l’arte
diventa liturgia funebre per essiccare la vita in un rito primitivo,
cannibalico.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA PAURA</span><span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>- «Le nostre
opinioni su quanto ci circonda, ma anche su noi stessi, cambiano tutti i
giorni. Viviamo in un periodo di transizione. Forse, se noi non affrontiamo
meglio di quanto abbiamo fatto fino a ora i nostri compiti più profondi, questo
periodo durerà fino alla fine del mondo. Eppure, quando si sta nello stanzino
buio, non bisogna, come i bambini, mettersi a cantare per la paura. Fingere di
sapere come dobbiamo comportarsi quaggiù è appunto cantare per la paura: puoi
sgolarti da far cadere il soffitto, ma è paura e nient’altro! D’altronde io
sono persuaso che stiamo correndo al galoppo» (Robert Musil). Affinità con
quanto andava dicendo con il suo tono professorale il fondatore della
psicoanalisi: «Sappiamo bene quanta poca luce la scienza abbia potuto
proiettare sin qui sull’enigma di questo mondo, ma tutto il chiasso dei
filosofi non può farci nulla […]. Quando il viandante canta nell’oscurità
smentisce la sua paura ma non vede perciò più chiaro». Jung, in una lettera del
1945 al pastore Buri: «la ringrazio di cuore per avermi inviato il Suo scritto
sul superamento della paura mediante la religione. […] La creatura che perde il
sentimento della paura è destinata alla morte. I primitivi che sono ‘curati’
dai missionari per la loro paura dei demoni, naturale e giustificata,
degenerano. In Africa ne ho visti parecchi, checché ne dicano i missionari. Chi
ha paura ha sempre i suoi motivi. Ci sono non pochi pazienti in cui bisogna
infondere la paura che, per un intorpidimento dell’istinto, li ha abbandonati. Una
persona che non ha più paura si trova sull’orlo del precipizio. Si possono
curare le persone senza causare dei danni solo quando si trovano in uno stato
patologico di paura eccessiva. In secondo luogo, per quanto riguarda le
religioni, in parte esse liberano dalla paura, in parte la generano, come fa
persino il cristianesimo, ed è giusto che sia così, perché alcuni uomini in
questo mondo hanno troppo, e altri invece troppo poco. Liberarsi semplicemente
dalla paura è una vera e propria assurdità. […] Come terapeuta non tento mai di
liberare i pazienti dalla paura. Al contrario, li conduco sino al motivo
profondo che spiega come essa sia giustificata. […] Il far derivare la paura
dalla rimozione è una costruzione nevrotica, apotropaica, inventata a beneficio
di tutti i vili: è una mitologia pseudoscientifica, in quanto considera
inadeguato un istinto biologico fondamentale…».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Canetti
aveva visto giusto quando parlava di Céline come di un impaurito: quei racconti
tremebondi, il balbettio che produce puntini e puntini di sospensione, la
processione degli agonizzanti che si snoda nei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">passages</i> della Parigi ormai solo capoluogo del secolo, secolo della
paura che non ha più un nome, dei pavidi privi di protezione, delle audacie di
massa effimere che poi suscitano tanti rimorsi… </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA SALUTE</span><span style="color: black;">
DI</span><span style="color: black;"> GOETHE - Come Montaigne,
per Sergio Solmi, incarna la nostra nostalgia della salute (forse solo dalle
paludi del decadentismo, nel febbrile stato di disordine, si può <i style="mso-bidi-font-style: normal;">invocare la salute</i>), così Goethe,
estremo classico nel moderno, attento curatore del proprio ruolo di magister
vitae, si presta in maniera altrettanto superba all’ufficio asclepieo. Paraclito,
consola i moderni, fa il demonologo delle nostre angosce, a cominciare da
quelle della vecchiaia, che lenisce con galanteria settecentesca: «’Lustrum’ è
una parola straniera! / Ma se diciamo: abbiamo portato / otto o nove ‘lustri’/
e goduto e vissuto / e qualche volta amato / chi ansioso cerca l’uguale / sarà oggi
dei nostri». Goethe eccelle tra i poeti, che in genere distendono il velo nero
del rimpianto, ed elogia invece la longevità, amerebbe raggiungere il secolo,
trova che «a ottant’anni possiede vantaggi che non vorrebbe cambiare con quelli
dell’età meno avanzata» (ricorda in un saggio Curtius), si spinge ad abbracciare
i millenni, ragiona per secoli piuttosto che<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>per decenni. Alla sua scuola Ernst Jünger sembra averlo superato ed
eccede – come tutti gli epiloghi anche se di rango –, spingendosi fino alle ère
geologiche, negli scenari dove la sua figura si impicciolisce al punto che
perde ogni dolore umano e ogni morale (affine come funzione terapeutica a
quella del dottor Benn), ma poi nei bilanci del novantesimo compleanno (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">nell’anno 1985</i>) sembra ossessionato
dalla durata della sua fama:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si conforta
con la gloria postuma<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che gli deriva
dall’avere dato il proprio nome a un insetto che resisterà dunque «tanto quanto
il sistema di Linneo», più a lungo della celebrità letteraria; si preoccupa
della possibile fine di Omero: pochi millenni: niente. E se Omero scompare dalla
memoria umana, figuriamoci Jünger. Una disperata fiducia nella sopravvivenza
affidata a un’opera, a un nome. Materialismo magico per consolare dello sbiadirsi
della gloria. Altri elementi terapeutici: le soffitte «dove il tempo passa più
inavvertito», gli orologi a sabbia… Ma farmaci furono anche il distacco dal
pathos storico ostentato nei Diari dell’occupazione di Parigi. Gli esercizi di
stile che permettono di non soccombere alla febbre devastante: l’eleganza è
tonificante e abbassa la temperatura. La salute di Jünger: chi scrive in modo
davvero algido raggiunge i cento anni e li oltrepassa. A Venezia qualcuno vuole
rovinargli la festa forse infastidito dalla sua condanna di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">tutti</i> i massacri. Ancora nel 1979 un
buon germanista fiorentino, pur diretto allievo di Heidegger, si indignava per
l’accostamento jüngeriano della macelleria tedesca con quella del «dispotismo
asiatico» che il professore chiosava con preoccupazione: «si tratta – diceva
con linguaggio di quei tempi – del campo socialista». Nella bizzarra festa in
Laguna un vecchio senza tempo sbucato dal tunnel degli orrori del secolo
potrebbe essere attaccato dagli appassionati del «dispotismo asiatico», tanto
pateticamente innocenti da non possedere neanche un briciolo di quella crudeltà
che pure li esalta.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Un altro professore,
un saggio antichista di Bari, pretende da Jünger una pubblica ammissione delle
stragi germaniche a danni del popolo ebraico. Ma nei Diari si trovano numerose
testimonianze di prima mano sull’argomento, e tutte fornite spontaneamente,
senza alcun ricatto od obbligo di legge, perché l’autore si voleva fedele alle
regole militari cavalleresche che quelle stragi violavano. I suoi libri così
sono la migliore smentita a chi mette in dubbio i tentativi di sterminio. Vi si
racconta che in alcuni villaggi polacchi, perfino dei tedeschi, finiti nei
ghetti ad acquistare a buon prezzo le case degli ebrei ma sbagliando forse i
tempi, furono scambiati per discendenti di Mosè e avviati ai campi delle
carneficine. Alle loro veementi e poi tragiche proteste i militari avevano
risposto: «Da queste parti tutti negano di essere ebrei». Quanto a un non
lontano incontro pubblico tenutosi a Roma e a cui allude il professore, chi
ebbe la ventura di esserne testimone ricorda bene le parole del letterato
tedesco: a Parigi venne a sapere della eliminazione degli ebrei in corso «nelle
zone orientali»; tra gli altri, disse con aria grave, suo figlio – l’amato
figlio perso sulle scogliere di marmo italiane, in una impresa punitiva con cui
pagò una eroica denuncia –<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>gli aveva
scritto in proposito da quei luoghi infernali…</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">LA PAURA</span><span style="color: black;">/2 - «Con le altre paure terrestri getteremo lungi da noi
anche la paura del tempo: il presente diventa per noi sempre più misterioso e
chiaro invece il presagio di una presenza superiore»: Hofmannsthal riassume e
intreccia le questioni della paura, del tempo mitico e della redenzione. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">L’AVVENIRE
SCANDINAVO - Se da ragazzo si obiettava che nel Nord d’Europa c’erano dei
sistemi politici che evitavano il sangue e le cattive maniere, trattando in fin
dei conti abbastanza bene i cittadini, in famiglia ribattevano con il luogo
comune conservatore: quanti suicidi lassù! Un sistema che produce tanti morti
di noia, di vuoto, di routine, di piattezza borghese (che scandalizzava
Kierkegaard), di socialismo pantofolaio, di materialismo soffocante che fa
arricchire gli psicoanalisti… I morti di eroina, anche nelle stamberghe di
Palermo, erano di là da venire. Si replicava in quei lontanissimi tempi: alla
luce della ragione sobria (non dei Lumi, generica clarté) si trovava non tanto
un paradiso scandinavo quanto un giardino d’inverno, un modello da prendere in
considerazione, un posto da preferire agli italici purgatori se non inferni. Poi
le critiche conservatrici alla sicurezza sociale ben si adattarono ai gusti
adolescenziali per il precariato e prepararono il terreno alla feroce irrisione
comunista della socialdemocrazia. Domani, di moderatismo in moderatismo, si
potrebbe arrivare a costruire un adattamento mediterraneo di quella gabbia di
sicurezza sociale. Addio ai sogni, coltivati in provincia, di sconvolgere il
mondo con il ‘caso italiano’? Al macero la irriducibilità machiavellica, il
realismo cattolico, la teatralità meridionale, l’ideologia della dolce vita? </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">PASCAL
PATRONO DEL MODERNISMO - I nani scalzano i giganti: «la nostra vista ha
maggiore estensione [di quella degli antichi che] non conobbero<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quanto noi che vediamo più di loro»,
sosteneva Pascal. Il cristianesimo prende definitivamente coscienza della sua
importanza storica, il Nuovo Testamento si contrappone all’Antico, gli
evangelisti smentiscono Bernardo di Chartres, scendono dalle spalle dei profeti
e camminano sulle proprie gambe. È solo un problema di occhi, dunque, non di
punto di vista da cui si guarda. Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">novum</i>
è davvero il cristianesimo? L’Eternità si incarna così nel Moderno, nelle mode,
nella effimera spazzatura dei grandi eventi. Talvolta lo stile arcaicizzante è soltanto
una forma di pudore.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">DRAPPELLI
SULLA SPIAGGIA - La concezione militare dell’«avanguardia», rilanciata al
cabaret svizzero dei dadaisti, fatta propria dalla strategia bolscevica in
parallelo con la guerra estetica degli artisti del Novecento, si perpetua nelle
comitive elette che frequentano le migliori stazioni balneari del Mediterraneo.
La coscienza di anticipare i tempi, di avere ragione contro le smentite del
presente, porta questi militanti sui generis a prediligere un motto: «Il tempo
sarà dalla nostra parte» (versione laica di quella divisa che si fregia di Dio
al posto del tempo). Certezza di incorporare, benché occultato, un qualcosa di
sacro, forse l’anima segreta della storia che un giorno o l’altro verrà fuori e
stupirà gli ignavi. La religione del futuro (niente a che vedere con il
Futurismo) che diventa l’oppio del presente. L’illusione che le chiacchiere
sulla spiaggia spostino le pesanti faccende del mondo.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">BIG
BANG - Le origini povere, sembra, del pomposo ateismo moderno: stadio supremo
dell’Illuminismo o scarto delle procedure tecnologiche? Comunque un simile
affrancamento dalle potenze celesti avviene senza un libro basilare, Marx e
Darwin trattano la faccenda in modo marginale. Neppure una data quindi che
segni la presunta emancipazione del genere umano, il trionfo dell’opera di
Prometeo. Date, libri e pensatori espliciti ce ne sono a schiera per l’avvento
del teismo mentre per il più impegnativo ateismo ci si deve accontentare di
personaggi minori, di allusioni, di frammenti da ricostruire come nelle
rivelazioni religiose. L’ateismo occidentale (lasciamo da parte quello
orientale, imposto con la forza dallo Stato e precipitato poi con esso) sembra
allora essersi affermato come un movimento di opinione, una fede generica che
in pochi saprebbero argomentare dignitosamente, una pigrizia mentale, forse
conseguenza della faciloneria morale in voga. Un tedesco ha scritto che la
strada che porta a Dio nei nostri tempi si è persa «in una smisurata
lontananza». Una specie di sentiero del bosco, tracce difficili, impenetrabili
alla storia. E già questa rappresentazione mette in crisi il cattolicesimo che
si vuole dentro la storia degli uomini. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">(1. - <i style="mso-bidi-font-style: normal;">continua</i>)</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-63135151470468798892015-04-19T16:56:00.001-07:002015-05-15T12:57:54.271-07:00L'avvenire d'oltretomba<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #999999;">~ </span></b><span style="color: #999999;">IL MONDIALISMO E
LE MACCHINE </span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">AL POSTO DEI «MERCENARI DELLA
GLEBA»</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="color: #999999;">NEI MÉMOIRES DI CHATEAUBRIAND <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">~</b></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black;">Era il 1841 quando, nel XLIII </span></i><span style="color: black;">Livre<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> dei </i>Mémoires
d’Outre-tombe<i style="mso-bidi-font-style: normal;">,</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Chateaubriand muoveva ai progressisti alcune obiezioni che paiono abbozzare
i caratteri del mondo attuale o quantomeno le sue tendenze più perniciose. Appena
delle domande appuntate, delle frecce di realismo che colpiscono le utopie
uscite dalla Rivoluzione e alla base della futura ideologia di sinistra. Un titoletto
dei capitoli da cui si cita è «L’avvenire - Difficoltà di comprenderlo». Lui lo aveva afferrato bene, lui
«l’incantatore», come lo chiamavano in famiglia, non si era lasciato incantare
dalle promesse della sua epoca. Gli tornava insistentemente nella mente la
vecchia madre in prigione, il fratello e la cognata che finiscono sul patibolo,
ghigliottinati, la morte crudele dei familiari dunque, le teste che rotolano per la
gloria del progresso impediscono di credere alle «magnifiche sorti» che ancora
abbindolano i nostri contemporanei. Una curiosità: il Visconte citava l’esempio
di Omero per esaltare la individualità letteraria quando i suoi confratelli
romantici ricorrevano ai poemi omerici come a una testimonianza eccelsa della
creatività collettiva.</i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quando la macchina a vapore sarà
perfezionata, quando unita al telegrafo e alla ferrovia, avrà fatto sparire le
distanze, non saranno solo le merci a viaggiare ma anche le idee. […] Supponete
che le braccia siano condannate al riposo per la molteplicità e varietà delle
macchine; ammettete che un mercenario unico – la materia – rimpiazzi i
mercenari della gleba e della domesticità, che ne farete allora del genere
umano disoccupato? […] L’uomo è meno schiavo dei suoi sudori che dei suoi
pensieri. […] La percezione del bene e del male si oscura man mano che si
rischiara l’intelligenza. […] Il mondo attuale, il mondo senza autorità
consacrata sembra posto tra due impossibilità: l’impossibilità del passato e
l’impossibilità dell’avvenire. […] Nel mondo materiale gli uomini si associano per
il lavoro, una moltitudine arriva prima, e attraverso strade diverse, alle cose
che cerca; delle masse di individui innalzeranno le piramidi […]. Ma nel mondo
morale accade forse la stessa cosa? Si coalizzino pure mille cervelli, non
comporranno mai il capolavoro che esce dalla testa di Omero [...]. La follia
del momento è di arrivare alla unità dei popoli e di trasformare l’intera
specie umana in un solo uomo, e va bene; ma una volta acquisite le facoltà
generali non verranno forse a mancare i sentimenti privati? Addio alle dolcezze
domestiche. Addio agli incanti della famiglia […] L’uomo non ha bisogno di
viaggiare per crescere, già porta dentro di sé l’immensità. […] chi non
possiede dentro di sé questa melodia, la cercherà invano nell’universo.
Sedetevi sul tronco d’albero abbattuto in fondo al bosco: se nel profondo oblio
di voi stessi, se nell’immobilità, nel silenzio, non troverete l’infinito, sarà
inutile smarrirvi sulle rive del Gange. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Che cosa sarà una società
universale senza singoli paesi, né francese, né tedesca, né inglese,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>né tedesca, né spagnola, né portoghese, né
italiana, né russa, né tartara, né turca, né persiana, né indiana, né cinese,
né americana o, meglio, che sarà di volta in volta tutte queste società? Che ne
risulterà per le sue intelligenze, i suoi costumi, le sue scienze, la sua arte,
la sua poesia? Come entrerà nel linguaggio questa confusione di bisogni e di
immagini prodotti sotto diversi cieli [,,,], sotto quale legge<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>unica se ne starà una simile società? Come
troverete posto su una terra ingrandita dalla potenza dell’ubiquità e
ridisegnata nelle piccoli proporzioni di un globo sondato dappertutto? </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Stanchi della proprietà privata,
volete fare dello Stato un proprietario unico che distribuisce alla comunità,
divenuta mendicante, una parte misurata sul merito di ogni individuo? Chi
giudicherà dei meriti? Chi avrà la forza, l’autorità, di fare eseguire gli
arresti? Chi farà valorizzare questa banca di immobili viventi? Tenterete
l’associazione del lavoro? Che cosa apporterà il debole, il malato, il pigro,
lo sciocco nella comunità gravata dalla loro inettitudine? […] Al fondo di
questi diversi sistemi rimane un rimedio eroico, esplicito o sottinteso […].
L’uguaglianza [assoluta] condurrebbe non soltanto alla servitù dei corpi ma
anche alla schiavitù delle anime: si tratta niente di meno di distruggere
l’ineguaglianza morale e fisica degli individui […]. Chi non ha proprietà non è
indipendente […]. La proprietà in comune fa somigliare la società a un
monastero alle porte del quale degli economi distribuiscono il pane […].
L’eguaglianza completa, che presuppone la sottomissione completa, riproduce la
più dura servitù.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
(capp. 2-6, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">passim</i>)</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-341874430225210142015-04-11T16:41:00.002-07:002015-04-19T16:37:58.526-07:00Colore viola<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">~ SE UNA
VOLTA ALL’ANNO VELASSIMO</span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">LE
IMMAGINI E BENEDICESSIMO I SENSI <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">~</b></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span><span style="color: black;"> </span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span><br />
<br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: 12.0pt;">Se il cristianesimo è tra gli ‘inventori’ del
tempo lineare, nel segno dell’attesa lancinante del ritorno di Cristo, c’è
tuttavia in questa religione un tempo ciclico, ed è quello dove le feste
ritornano, e con esse la divinità si manifesta nelle sue distinte forme, e con
esse i fedeli la celebrano nelle sue distinte forme, tali feste coincidendo con
le stagioni dell’anno e con le ore del sole; talvolta, come per stabilire dove
cada la Pasqua,
anche con le facce, le fasi, della luna. L’anno liturgico è frutto di questa
concezione. Quando, come di recente accade, la liturgia viene umiliata,
sottoposta cioè all’attualità più caduca, perde quel confortevole simbolismo
dove anche la natura e le sue metamorfosi partecipano al sacro calendario. Però
il risveglio di primavera, il rifiorire della natura nei giorni della Pasqua, è
appena un ornamento armonico, una bella illustrazione del mistero, un
privilegio del vecchio continente dove il cristianesimo elaborò il suo
messaggio, ché l’evento pasquale si rinnova pienamente anche tra i ghiacci
perenni, anche agli antipodi del nostro emisfero.<span style="color: black;"> </span></span></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="color: black;">Nella Settimana santa
appena conclusa, in quella che si sta svolgendo nel culto ortodosso, nel cuore
cioè dell’anno liturgico cristiano, si addensano i simboli e viene a
congiungersi l’Antico e il Nuovo Testamento, l’annuncio messianico, la morte
del Dio fatto uomo, la vittoria sulla morte del Dio fatto uomo. Si muore un po’
tutti nel triduo pasquale, si sperimenta un corpo a corpo con la morte, insieme
a Cristo si vince il duello. Ecco un tempo ciclico che non somiglia
all’eternità malvagia immaginata dai pagani. La luce pasquale è quella
lietissima che, come nei migliori sogni degli umani, si accende nelle
paradisiache scene di Dante e del pittore domenicano, dell’Angelico, con i
giardini di quaggiù che si perfezionano nel cielo, là dove si viene accolti da
una folla di angeli e beati, musica circolare, contrappunti vertiginosi, sante
e santi bellissimi, toni soavi e discorsi mirabili, acuti ma senza
alcunché di oscuro, e incontri, continui incontri di antenati, fino a gradi
sconosciuti, in tutti ritrovando però un segno, una somiglianza commovente, se
la parola non fosse lassù inopportuna, comportando lacrime sia pure figurate…
La festa di Pasqua apre a tali mondi. Vane le critiche di parte bizantina alla
liturgia cattolica per un presunto ‘eccesso di dolorismo’. C’è il dolore e c’è
la gloria, il modo minore e il modo maggiore.</span></span></span><br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="color: black;">La mania attuale di
smussare ogni asperità della religione, la rilettura del Vangelo «alla luce del
mondo», in luogo del confronto tra la luce evangelica e le tenebre del mondo,
distrugge anche quegli elementi che proprio i mondani cercano invano: il
riflesso metafisico nell’universo corporale. Digiuni e atti penitenziali,
esercizi ascetici, frugalità che si alterna alla pienezza, astinenze dalle
carni per potere consumare in altri giorni gli agnelli senza sentimento di
colpevolezza, colore viola e colore bianco. Tempi di mortificazione e tempi di
resurrezione. Anche i bambini nei loro giochi si impongono la penitenza per
compensare l’errore, il peccato che ha violato l’ordine ludico. Nulla
osterebbe, neppure le disposizioni postconciliari in proposito, che la vecchia
usanza di velare le immagini venisse ripresa anche nelle chiese dove si ha in
uggia il latino. Sarebbe come minimo un’opera di bonifica. Pierre Klossowski
prima di tutti, aveva scritto che l’iconoclastia contemporanea non distrugge le
immagini, le moltiplica all’infinito. Avrebbe aggiunto Baudrillard: ne
distrugge perciò il senso. Una pausa nell’anno, nella nostra fantasia, nella
nostra percezione, sarebbe allora un rito collettivo in grado di aiutare a
cogliere il senso della pittura e della scultura occidentali, a marcarne i
confini. Forse tornerebbe utile anche agli illustrissimi porporati che
preannunciano padiglioni vaticani per le fiere dell’arte aniconica, quasi si
fosse obbligati ai precetti veterotestamentari e coranici, dimentichi di quanto
hanno predicato loro stessi sulla centralità del corpo nel cattolicesimo. </span></span><span style="font-size: small;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;">Tutto l’anno ormai
l’immagine viene ferita e offesa dalle pratiche estetiche contemporanee, il
rito cattolico propone invece una cancellazione provvisoria, penitenziale,
limitata ai giorni del massimo lutto, affinché se ne goda con maggiore
consapevolezza nella gioia pasquale. E così per la musica: le armonie e le
polifonie e la sonorità, perfino quelle delle campane e dei campanelli, si
sospendono il giovedì santo per riapparire nella notte del sabato, rompendo
finalmente quel lungo e terribile silenzio. Nel nichilismo della musica colta
di oggi il silenzio si impone sempre, eterno lutto dei sensi, il cattolicesimo
lo trasforma in un esercizio spirituale, in un'opera di misericordia, in una
meditazione sul vuoto che ci attornia e su come l’arte ci possa ancora consolare.</span></span><br />
<span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;">
</span></span></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-22026858511351064752015-04-04T04:09:00.000-07:002015-04-04T04:09:33.030-07:00Il guerriero<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt;"> </span><span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">~ LETTERA DA
ROMA NEI GIORNI</span><br />
<div class="MsoBodyText" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 28.3pt; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: grey; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">DELL’AGONIA
DI KAROL MAGNUS ~</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 28.3pt; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<i><span style="color: black; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">‘Lettere dimenticate nel computer’ è una
specie di rubrica che in qualche occasione l’«Almanacco» ripropone tirando
fuori e pubblicando emails rimaste nella memoria del nostro elettrodomestico.
Dieci anni fa, il 2 aprile, moriva Giovanni Paolo II e questo scritto, in prima
persona e con i caratteri della conversazione, anche della confidenza, racconta
a un interlocutore lontano l’atmosfera di quelle ore in cui tramontava uno
dei più lunghi pontificati della storia bimillenaria della Chiesa. </span></i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">… L’altra sera, proprio mentre cominciava l’agonia del
romano pontefice, a cena quel poveretto ripeteva le banalità sul papa
‘conservatore’ (ma Emanuele Severino: il papa non può non conservare, ordinare,
Giovanni Paolo si è spinto al massimo nell’apertura…), sul ‘ritorno a Trento’,
come fosse possibile <i>tornare</i> anche solo a Pio IX. Inutile ripetergli che
il cattolicesimo della mia infanzia era già irrepetibile, Pio XII non avrebbe
capito che le folle dei papaboys, con lo spirito e le forme protestanti e un certo
candore, diciamo così, nordico, appartengono ormai alla Chiesa di Roma. Di
fronte alla star mondiale polacca, Eugenio Pacelli, pur proteso verso il mondo
dolentissimo, in posa tra le macerie di San Lorenzo, con la veste bianca
macchiata di sangue, a farsi icona delle rovine della guerra, o ad atteggiare
la figura ieratica per cartoline popolari, e pur ricevendo quotidianamente alla
sua corte i principi veri del mondo e quelli cinematografici, i divi dello
sport e i divi ancor più effimeri della politica, secondo antiche gerarchie (ai
suoi funerali, gli eredi dell’Impero austro-ungarico verranno prima dei capi di
Stato al potere, prima di ogni altro sovrano), si concedeva alle folle con
sapiente parsimonia. Moltissima radio, rari cinegiornali, televisione una volta
all’anno. Pontefice neobarocco, qualche volta assisteva alle messe solenni (a
Natale e a Pasqua, ma non sempre), rarissimamente celebrava di persona. Da
bambino mi capitò di andare con mio padre in Vaticano, era la mia prima volta,
attraversammo i cortili rinascimentali, poi una serie di corridoi, dove gli
svizzeri e altri gendarmi ci sbarravano il passo (eravamo in ritardo), infine
scostammo una pesante tenda verde (è successo più di mezzo secolo fa ma
l’immagine resta netta) e mi ritrovai nella Cappella Sistina. Sicuramente sarò
stato preparato a questo singolare luogo, all’arte di Michelangelo, ma io fui
colpito da altro: lì tra i ceri e l’incenso, tanto incenso, c’era un magrissimo
papa, vedevo il papa, che era come dire vedevo Dio. Il <i>Giudizio</i> dipinto
non mi si fissò in mente quel giorno. Il vicario di Dio celebrava messa e al
celebrante una volta tanto si addiceva il troppo abusato aggettivo di
carismatico. In vita mia, due ne ho visti di veramente dotati di carisma: papa
Pacelli e padre Pio quando celebrava messa, ma anche quando allontanava le
donne ciarliere come un eremita del deserto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Nel 1982, quando l’Italia vinse a calcio la Polonia,
molta gente dei quartieri nei dintorni di piazza san Pietro si recò in moto e
in auto con i tricolori a rumoreggiare davanti alle auguste finestre dei sacri
palazzi. Uno sfottò da Don Camillo e Peppone, roba da curati di campagna,
il papa non era più impenetrabile, altro che i faraonici flabelli
che si agitavano, ancora nei Cinquanta, accanto al trono del sommo
pontefice, ventagli di bianche piume di pavone issate su aste dorate a
simboleggiare la gloria. In una parrocchia di periferia vidi Wojtyla
abbracciare con slancio la signora delle pulizie del mio palazzo, donna operosa
che trovava il tempo di far parte del consiglio parrocchiale. In confronto
anche il suo predecessore lombardo, il Montini della piccola nobiltà bresciana,
era un Giulio II quanto a sprezzo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Tanto distanti cerimoniali, Pierluigi da Palestrina
sciaguratamente sostituito da canzoncine orride, non impedivano la continuità
della tradizione apostolica. Del resto, anche l’agonia del severo Pacelli finì
in pasto ai media, con il suo archiatra stoltissimo (tutti i medici dei
pontifici del Novecento non sembrano granché, un tempo si ricorreva ai medici
della comunità ebraica romana, gesto di reciproca fiducia) che scattava foto a
Pio XII in pigiama e le vendeva ai magazines Usa. Simbolico evento, cui si
aggiunse l’imbalsamazione riuscita male che produsse l’esplosione della salma,
nella notte, sul catafalco seicentesco a San Pietro: il corpo esibito di fronte
al mondo, il corpo dolorante, il corpo cadaverico (e in quel caso anche
disintegrato). Che cosa c’è di più cattolico? In un’epoca in cui gli
spiritualismi d’origine protestante avevano già preso piede nel mondo, i papi
cattolici ricordavano in prima persona la fisicità di questa religione. Pio XII
e il Polacco. In mezzo, si riaffermarono gli angelismi conciliari che erano
l’altra faccia dell’umanesimo ateo (Pascal docet). L’arte non paga di aver
sostituito la religione, adesso si permetteva di istruire i padri conciliari.
Kandinskij era più popolare di Tommaso d’Aquino. Al massimo – si
concedeva – i cattolici carezzavano maggiormente i simboli, ma con
diffidenza, ci si raccomandava, perché un teologo protestante come Bultmann, in
gran voga, metteva in guardia: «Per la fede cristiana l’idea di bello non ha
alcun significato formativo della vita; essa vede nella bellezza la
tentazione di una falsa trasfigurazione del mondo…» (appunti da <i>Glaube und
Verstehen</i> che mi ritrovo in tasca). E poi Kandinskji e il suo astrattismo,
era l’icona della modernità, dell’aggiornamento come si diceva allora, e
nessuno idolatrò tanto una idea di moda quanto i monsignori degli anni Sessanta
e Settanta. Venne Giovanni Paolo II e brandì la croce nella prima cerimonia in
piazza san Pietro, a rivederlo ora sembra uscito da un film russo, un pope
guerriero. Avanzava verso la folla, ruppe i cordoni della polizia, con il
pastorale a forma di croce agitato come un bastone, finché con pianeta e
mitria, incontrò il suo pubblico… La Chiesa stava in una situazione peggiore
che al momento della scissione del monaco sassone. L’eresia luterana era
penetrata nella Curia. Un terzo dei preti e delle suore aveva abbandonato i
conventi, spesso per qualche misero accoppiamento che si voleva benedire con un
matrimonio riparatore. Quanto insistettero i cortigiani perché il papa polacco
acconsentisse al superamento della castità sacerdotale, o comunque permettesse
i matrimoni dei preti che volevano restare cattolici: altrimenti, si diceva,
scapperanno tutti. Un quarto di secolo dopo, è vero il contrario, restando
fedele alla tradizione ha ritrovato il consenso maggiore. Ma allora i teologi
si lasciavano incantare dagli umanesimi più ovvi, dal pansessualismo freudiano,
dalla sociologia. Il cosiddetto ecumenismo mascherava una idea fissa: Lutero
aveva ragione, la Chiesa di Roma torto. Su tutta la linea. Perfino l’ateismo
aveva maggiore credito della tradizione cattolica. E questo non tra i fedeli
smarriti, ma tra i cardinali e i vescovi. Ci si dimentica facilmente di
quell’epoca. Nell’anno santo del 1975, per esempio, si discusse a lungo se
tenere o meno il giubileo, ci si vergognava di simili celebrazioni. Paolo VI si
impuntò, ma un filosofo cattolico ufficiale come Jean Guitton – uno dei due
laici ammessi al Concilio – scrisse una pessima profezia: probabilmente tra
venticinque anni non ci saranno più dei giubilei (tra le righe si capiva che
non ci sarebbe stata neppure più la Chiesa di Roma). Era sensazione comune che
la Chiesa si sarebbe dissolta nel culto dell’umanità preconizzato da Auguste
Comte. Oggi, rozza, polonizzata, un po’ meno romana, ma ancora gigantesca, la
Chiesa cattolica riafferma, grazie a Wojtyla, la sua vittoria sulla eterna
gnosi. Il corpo è più che mai al centro della religione derivata dall’ebraismo.
Proprio per questo le differenze sessuali vengono marcate a dispetto degli
spirituali che tutto vorrebbero annullare (omosessualità, donne sull’altare: è
il sacerdozio universale di Lutero, la Parola interiore e suprema che cancella
l’aspetto fisico), proprio per questo si assiste all’insistente, esasperante
attenzione per feti, cellule staminali, ecc. Lì è il sacro, il consacrabile, il
kasher, guardatevi dall’eclettismo in nome dell’anima, parola che non esisteva
nella lingua di Gesù, sembra dire la Chiesa wojtylana. Anche questa agonia sta
a ricordare che spirito, nella tradizione giudaico cristiana, è anche il soffio
vitale che esce dalla bocca umana, fisico anch’esso. Quando il camerlengo
batterà i colpi del suo martelletto sulla fronte del pontefice, quando nello
specchio il fiato non apparirà più, vuol dire che, come Gesù sulla croce, egli
ha emesso il suo spirito. Non resta che la resurrezione dei corpi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Dunque, prima affinità con il papa aristocratico, lo
spettacolo del corpo. Il vangelo è già una forma di divulgazione di massa, di
spettacolare messa in scena della promessa più intima di Dio ad Abramo,
l’ebraismo annunciato alle genti del pianeta. Ecco perciò quel civettare con i
media, che ha valenze teologiche. Ieri sera il critico tv del «Corriere della
Sera» nonché docente cattolico all’università proponeva un suggestivo schema:
appena pochi decenni fa, concepivamo il corpo di carne e di sangue da una parte
e, dall’altra, la sua rappresentazione. Ora il duplicato della rappresentazione
si confonde con il corpo fisico, lo scambio è quasi totale, affidato alla
riproduzione anonima del digitale. Un altro trionfo dei corpi, si potrebbe
dire, che tanto esaltava il teorico cattolico Marshall McLuhann. Lui, che
andava a messa prima delle sue lezioni, sapeva bene della cattolicità di questi
media e avrebbe potuto annunciare il papa polacco come un destino delle sue
analisi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Seconda affinità: la lotta al comunismo che voleva
distruggere la Chiesa. Uno la iniziò, l’altro la vinse.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Terza affinità: gli ebrei, la 'vicinanza' con gli
ebrei. Oggi si dice che Giovanni Paolo sia stato il primo papa a pregare in una
sinagoga. Ignoriamo se Simone detto Pietro non frequentasse più (non aveva
l’avversione di Paolo per i suoi ‘correligionari’ di un tempo), e resta una
questione importante. Sappiamo però che nella cattedrale cattolica di Berlino –
regnante Pio XII – si pregava ogni pomeriggio, durante lo sterminio, per gli
ebrei perseguitati, e tali preghiere provocarono l’arresto e la deportazione
dei celebranti. Sappiamo che von Galen, il cardinale fieramente antinazista che
predicava dal pulpito contro le teorie hitleriane, era un missionario di Pio
XII e, qualche settimana fa, ho scoperto che Wojtyla lo stava per
canonizzare…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 10pt; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Tra poco, ci sarà l’annuncio alla città di Roma che il
suo vescovo è morto. L’Urbe deve essere ancora la prima, la città privilegiata,
la nuova Gerusalemme. Stanotte era chiaro che la cultura latina, nonostante le
architetture vaticane, si è molto imbastardita. Una influenza europea-orientale
ben maggiore di quella fiamminga sotto papa Adriano, l’ultimo papa straniero,
quando pure i pittori della sua corte disegnavano il Colosseo goticheggiante
perché così lo percepivano. Ma l’imbastardimento (non il sincretismo) è il
segno più sicuro del cattolicesimo, è la commistione delle razze che trionfava
nella Roma imperiale e in quella papale, suscitando anche nei tempi moderni lo
sdegno di Chamberlain, genero di Wagner, luterano senza più cristianesimo…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif";"><o:p> </o:p></span></div>
</div>
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"></span>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-25226276647461971622015-03-28T17:43:00.001-07:002015-03-28T23:51:44.305-07:00La lunga epochè<!--[if gte mso 9]><xml>
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<![endif]--><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">~</span></b><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> NEI GIORNI DI MORTIFICAZIONE</span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">E IN
QUELLI DI GLORIA.<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> ~ </b></span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"></span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">DIGRESSIONI
DI QUARESIMA <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">~</b></span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Gli umani si industriano
nella vita per risolvere il problema della morte. Per rimuoverlo, allontanarlo
o almeno occultarlo. Magari soltanto distrarsene. Chi riempie la casa di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">pacotilla</i>
e l’esistenza di fatuo non teme forse tutto quanto evoca lo spazio vuoto? O su
un piano più alto, i letterari che costruiscono le storie per dipanare le sorti
(degli esseri romanzati) a loro piacimento, non provano appunto a dominare
quell’osceno vuoto? Proprio come tremila anni fa, si ha paura e si tessono
inganni per vincere la morte alla maniera di Odisseo, come tremila anni fa si
tenta di manipolarla alla maniera di Omero, o chi per lui, che distribuisce
vittorie e sconfitte, violenza e sangue, hybris e capitolazioni, quasi
l’artista delle parole fosse un dio potente che dall’Olimpo rimesta i destini
degli sventurati umani. Così anche noi, comuni mortali, giochiamo oggi a
passare dal ruolo di personaggio a quello di drammaturgo, e viceversa.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Strada facendo si sono
persi però i contorni della fine corporale (ne ha scienza tutta sua solo la
casta sacerdotale dei medici). Una lunga epochè. O meglio, una specie di anestetizzazione
anche della curiosità del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">dopo</i> (perfino
dove non lo si nega). Definitivo seppellimento di tale curiosità è segnato dal
pensiero heideggeriano che condanna la creatura a questo limbo, che detta la finitudine
sinistra, che spegne le ultime resistenze vitali, arrovesciando come certe
religioni orientali la vita nella morte. Ci si inebria di quell’angoscia che ci
farebbe provare davanti alla morte il medesimo sentimento del sublime davanti
alla rovine della storia o meglio davanti allo spettacolo drammatico della
natura. Pare un cristianesimo monco, un tetro e continuo ammonimento
quaresimale senza che mai sopraggiunga la Pasqua. Raccontano
che il giovane Heidegger tentò di entrare in un noviziato gesuita e fu assai
deluso di non essere accolto nella Compagnia, ma quel ‘cristianesimo senza la Pasqua’, anche per l’influsso
che il filosofo ebbe sui suoi ripetitori teologi, sui mancati suoi confratelli
nell’ordine ignaziano, che peraltro abbondano nel versante esistenzialista, diventò
nel nostro tempo la cifra di un malinconico magistero cattolica. Non si predica
più la Pasqua
dal momento che non si annuncia più nelle omelie la resurrezione dei corpi, non
ci si gloria per la sconfitta della morte. Resta il gaudio dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Exultet </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e di altri inni liturgici e testi biblici che
benché recitati in vernacolo, quanto spesso in modo fiacco, privi di commento
come sono o addomesticati nelle prediche alle peggiori banalità, non colpiscono
l’immaginazione del popolo di Dio. Subentra un soffuso docetismo per cui anche
i cattolici adesso si intimidiscono a parlare delle sofferenze fisiche di
Cristo, e la Passione
si trasfigura in un progressivo distacco dalla carne. Certo questo silenzio non
è solo frutto equivoco del pensatore di Messkirk, da prima del suo avvento la disperazione
luterana che evita l’articolazione razionale nelle domande decisive era diffusa
in Occidente ed eclissava la gioia radiosa del tomismo. Dimenticato il santo
domenicano che spiega come la vita sulla terra abbia il suo senso in quella
celeste, la sua giustizia, le sue vittorie. In quell’architettura, il corpo fa
parte dell’essenza dell’uomo, non può sparire come fosse un dettaglio.</span><br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span>
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Nulla di più scontato del
fatto di morire, almeno per chi ti sopravvive. Si ripete il gesto che tutti gli
umani prima di noi hanno compiuto. Ma nulla di più eccentrico del fatto di morire per chi lo
esperimenta in prima persona. Non gli era mai capitato in vita e mai più gli
capiterà. Vorrebbe che almeno il mondo intero riecheggiasse questo istante
cruciale mentre, soprattutto in un ospedale, nessuno ci fa caso, anzi se lo
aspettano, lo hanno previsto, forse anche favorito, talvolta per non vedere
soffrire perfino i familiari se lo augurano. Fuori dall’architettura tomistica,
la solitudine della morte è estrema, la fine corporale necessariamente
violenta.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Lontanissimo dai pensieri
dell’Aquinate, un giovane di venticinque anni conosceva però in modo precoce la
terribile verità del dolore, il fatto di come esso ti renda «incapace di
svolgere dei pensieri» ma «ti riveli molte cose. L’obbrobrio di tutte le cose».
Da qui il rifiuto del mondo, l’evangelico rifiuto del mondo, e la scelta del
Cristo in lotta con la morte. Con questa sapienza dolorifica scriveva dunque
Sergio Quinzio delle martellanti lettere al fratello, poi uscite in stampa con
il titolo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Diario profetico</i>, dove
troviamo una specie di scommessa pascaliana benché priva dell’elegante distacco
proprio dell’aristocratico scienziato francese, anzi con mistici accenti che
infastidirebbero i teologi: «La conquista del regno è un salto che si deve fare
per disperazione, in quel punto in cui non avendo più nulla al mondo su cui
contare si è costretti a contare solo su ciò che è opposto al mondo. […] Il
punto in cui non ci sostiene più nessun valore e appoggio umano, neppure un
cieco e vago sogno esitante. Solo Gesù Cristo, solo l’abbandonato, il senza
sangue, il senza amici, il senza Dio, è la consolazione promessa: ‘Venite a me,
voi che siete stanchi e oppressi’ (Mt, 11, 28)». Un simile giovanotto non
poteva credere alle favole moderne sulla morte raccontate dagli scienziati, dai
filosofi, dagli artisti contemporanei e perfino da preti troppo sensibili ai
mali sociali (insensibili all’avvertimento che «il Regno non è di questo
mondo»); favole concepite per sedare, in modo che non si urli più come nei
secoli bui per quel decomporsi della vita terrena, implorando Dio con il
terrore negli occhi affinché gli fosse risparmiata la terribile prova, secondo
quanto fece lo stesso Cristo tra gli ulivi alla vigilia della sua Passione,
mostrandosi invece docili e ragionevoli, succubi delle spiegazioni illuministe,
della ‘morale’ di simili favole. Cosi provò allora Quinzio a definire la somma
pena umana: «La morte non è il ‘naturale’ e pacifico epilogo della vita e non è
una delle infinite tranquille peregrinazioni da pianeta a pianeta. È un oscuro
dramma e una maledizione nella putrefazione, come l’intuito sente, o sentirebbe
se non fosse distratto dalle molte piccole inutilità quotidiane» (nell’edizione
Adelphi, pp. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>65-75 <i style="mso-bidi-font-style: normal;">passim</i>). È con il tono fosco dei profeti dell’Antico Testamento che
Quinzio copre di abominio le formule attuali della morte quale conclusione
naturale, della macchina che si consuma e si rompe, o della morte
fantascientifica che si apre a reincarnazioni in altre epoche, a metempsicosi dei
buddismi alla moda; urla perciò come i personaggi biblici, prima delle
traduzioni greche, platoniche, le ragioni dei corpi, scommette sulla loro
vittoria in durissime battaglie, tutto al contrario delle visioni facili degli
spiritisti che evitano con i peggiori <i style="mso-bidi-font-style: normal;">escamotages</i>
di pensare alla corruzione fisica. Il tempo di Quaresima prova a fare a meno
delle «piccole distrazioni quotidiane» ma non per essere dannati alla
solitudine della morte, agli eroismi senza virtù e con molte parole dei
nichilisti moderni, al rifiuto preconcetto delle domande sull’«ora della nostra
morte». Si conclude infatti con la promessa della Pasqua, la grande
consolazione della Pasqua: ecco il vero eroe che solleva il marmo tombale ed
esce vincitore secondo l’immagine di Piero della Francesca.</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-18532407581875892522015-03-18T03:01:00.004-07:002015-03-19T00:10:26.986-07:00Jünger il prognostico<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">~ BEN PIÙ
TERRIBILI DELLE DUE GUERRE MONDIALI</span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">SONO I CAMBIAMENTI
CON I QUALI <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>LA TECNOLOGIA </span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"></span><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">STRAVOLGE LA VITA E LA MORTE ~</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Si erano appena
consumate le stragi della Guerra mondiale n.2, e già gli schieramenti in campo
si andavano riformando nella società civile. Almeno nella parte occidentale
d’Europa, ché in quell’altra i carri dell’Armata rossa procedevano alla
occupazione militare, ridisegnando le carte geografiche, disdegnando le magne
carte costituzionali, reprimendo le chiacchiere parlamentari e private. A Ovest
invece si chiacchierava molto. Grandi speranze alimentavano discorsi e scritti
che, a seconda delle fedi, puntavano alla vittoria finale planetaria o, tra i
vinti, alle vendette della storia, ai corsi e ricorsi. Pareva così che fosse
all’ordine del giorno, in Italia come in Francia, il bolscevismo affermatosi in
Russia e uscito vincitore al suo primo scontro internazionale,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>oppure l’americanizzazione definitiva che
avrebbe instaurato per sempre la democrazia nell’aristocratica Europa, o il
cattolicesimo neobarocco (il primo a dissolversi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">repente</i>), e più in generale il successo dello scientismo sul pathos
cruento del primo Novecento, la pace in terra o la catena delle faide che non
doveva finire mai. Qualcuno in Italia si attardava su temi già secolari come
monarchia e repubblica mentre nei paesi si radunavano le folle in piazza per
assistere ai duelli verbali tra un prete e un professore marxista su ateismo ed
esistenza di Dio.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">E simili aspettative dominarono
i decenni successivi fino a invadere il tardo Novecento, ad apparire come unico
orizzonte nel quale ci formammo e maturammo, confondendoci alquanto, noi e le
generazioni dei nostri padri e dei nostri figli. Finché quel vociare ormai
rituale andò a sbattere sul muro che segnava la frontiera dei secoli,
accorgendosi così, quasi tutti, che il Novecento era proprio finito, secolo
lunghissimo nella seconda parte, interminabile, ripetitivo, ruminante slogan,
strascicando intere esistenze per agitare all’estremo temi di un’ideologia già
sepolta a Jalta. <span style="mso-spacerun: yes;"></span> </span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Neppure tra i reduci
napoleonici e i loro avversari durò tanto, anzi sarebbe suonato ridicolo in
quel secolo borghese e pratico mettere in scena negli anni ottanta
dell’Ottocento un antibonapartismo militante o vedere britannici, tedeschi e
russi concelebrare solennemente la vittoria di settant’anni prima a Waterloo (e
il rientro a Parigi della salma dello sconfitto, vent’anni dopo, era un
funerale di fantasmi). Peggio ancora, sarebbe risultato inimmaginabile un
giovanotto del secondo Ottocento guardare al proprio mondo con gli occhi del
generale còrso. Invece, come se la guerra civile europea del Novecento si fosse
conclusa prima del previsto, nel XX secolo avanzato la si proseguiva in altre
forme, senza fine, dal momento che la violenza giustizialista non può trovare
un aggiustamento, una pace, considerata sempre iniqua. In pieno Novecento,
dunque, parve rinascere il romanticismo politico (che non era mai morto,
naturalmente), e già nel 1945 cominciarono ad attendersi rinascite d’ogni
genere. Una riforma agraria nel Sud d’Italia era vissuta come la palingenesi,
una indipendenza nazionale nell’Africa e nell’Asia erano altrettante
palingenesi, la democratizzazione forzata d’Europa, con marchio Usa, appariva la
più pop e festosa delle palingenesi.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Invece un combattente
valoroso, un eroe delle due guerre mondiali – nelle trincee e negli assalti in
quella della gioventù; saggio Ulisse che preparava la pace in quella della
maturità –, autore di romanzi cavallereschi che incantavano il tempo e lo
sospendevano, prosatore classico delle piante dei cristalli e della zoologia studiata
a Napoli, memorialista delle innumerevoli battaglie vissute e interprete della
nuova violenza, tornato al suo villaggio e dismessa la divisa della Wehrmacht,
si applicò a confrontare la propria intelligenza e il proprio sapere con le
questioni di quel tempo ma in modo così acuto che oggi siamo noi i primi a
sorprenderci: le vecchie palingenesi si sono sgonfiate, il mondo degli storici
e degli storicisti, degli statalisti e dei liberali è come scomparso, i temi
agitati per più di mezzo secolo rotolano impiccioliti e insensati verso
l’abisso del nichilismo, mentre certe pagine di Ernst Jünger trattano di quello
che appena comincia a prendere forma davanti ai nostri occhi.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Aveva invero già dato
prova di saper decifrare il moderno. I suoi saggi raccolti in <i>Das
abenteuerliche Herz</i>, Il cuore avventuroso, 1929, fissavano il mondo
nell’epoca della riproducibilità tecnica. Tre anni dopo ritraeva la figura
nuova che tutto dominava: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Der Arbeiter</i>.
Nel dopoguerra prese a riflettere sul ciclo che si apriva – come Vico e come Spengler
parlava di cicli – e non soltanto per effetto del conflitto mondiale, ben più
ampie erano le voragini che inghiottivano la tradizione, si intravedevano paesaggi
‘nietzscheani’: era la meditazione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">An der
Zeitmauer</i>, Al muro del tempo (lo citeremo nella traduzione Adelphi, 2000).
Jünger sintetizzava Spengler: «‘a partire dal Duemila’, dovremo vivere allora
in un’epoca di pace mondiale, in città smisurate […].<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per la prima volta ci sarebbe una sola mano a
reggere il globo terrestre; non esisterebbero più ‘margini’, nel senso antico»
(p. 77). E aggiungeva che non si trattava solo della impressionante
accelerazione subìta dalla storia nell’ultimo secolo e mezzo, era inquietante «constatare
come questo accumularsi di fatti presenti senza dubbio anche una sfumatura di
qualità. Le cose divengono in tale misura sorprendenti che mancano di eguali»
(p. 78). Di fronte a questi avvenimenti <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mai
visti</i>, che si accumulano nello spazio ridottissimo di un anno, quando una
sola novità vagamente simile richiese decenni, viene il sospetto che la durata
stessa cambi misura, che cambi anche il «tempo del destino». In tali prodigiosi
mutamenti, Jünger mette in guardia quanti non si rendono conto di quel che sta
accadendo, di chi si ostina a sognare il nazionalismo o l’internazionalismo, la
lotta di classe o di razza, l’umanesimo integrale o l’economicismo assoluto:
non avete notato come «la specie cominci a trasformarsi visibilmente, sia in sé
sia nel rapporto fra i sessi, e in un modo inusitato tanto nella diacronica
storica quanto nella sincronia etnografica» (pp. 78-79)? Altro che i femminismi
folcloristici delle suffragette britanniche rivenduto con la democrazia a tutti
i popoli d’Europa. La tecnologia sta modificando ruoli millenari.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Nonostante la versione
Adelphi si rifaccia a quella tedesca del 1981, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Al muro del tempo</i> fu pubblicato la prima volta nel 1959, scritto
tra il 1956 e il 1958. Impressionante: negli anni cinquanta bonari e
familistici (almeno in Occidente), mentre i marxisti hegeliani si accanivano
con quelli kantiani, i cultori della dialettica svergognavano i neoempiristi, i
seguaci del mito erano ghettizzati dai razionalisti, e in quella che era stata
la patria dell’arte si giostrava tra neorealisti ed astrattisti, Jünger parlava
della procreazione tecnologica, della fecondazione artificiale, dei figli senza
padri, della onnipotenza della scienza medica, delle radiazioni, della vita e
della morte sottratte alla natura. Erano questioni, dirà, ben più gravi, ben
più sconvolgenti delle stragi belliche appena concluse. «Cominciano a diventare
ingannevoli anche le parole che costituivano il fondo inalienabile dell’agire
umano e dei contratti – come ‘guerra’ e ‘pace’, ‘popoli’, ‘Stato’, ‘famiglia’,
‘libertà’, ‘diritto’» (p. 85). Il racconto storico diviene parzialmente
impotente e ha bisogno di appoggiarsi alla teologia, alla mitologia, alla
demonologia.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">«L’uomo non dovrà forse
compiere sacrifici ancora maggiori di un tempo, non sarà costretto a lasciarsi
alle spalle qualcosa di ancora più grande – e, da ultimo, la sua stessa
umanità?» (p. 100). Senza il compiacimento di Foucault per la dissoluzione dell’uomo
nelle pagine finali di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Les mots et les
choses</i>, il diagnostico tedesco avverte che la nuova èra in cui siamo
entrati richiede sacrifici umani.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Le visioni apocalittiche
spaventavano e consolavano al contempo. In chiave religiosa, «la prospettiva
della ‘fine di tutte le cose’ può suscitare un grande sollievo, un potente senso
di liberazione». Per i cristiani significava che il Regno di Dio stava per
realizzarsi. Ma «all’atmosfera da fine dei tempi, così come si è sviluppata ai
nostri giorni, manca qualsiasi adeguato contrappeso» (pp. 148-149). «Ben triste»
è la fine del mondo senza una metafisica, quando la «fantasia è già atrofizzata»
(pp. 152-153). In quel tempo, nel nostro tempo, «anche l’arte vedrebbe sciolto
quel nodo che la lega alla libertà, potrebbe diventare prodotto della tecnica»
(p. 167). Il senso che qui Jünger presagiva – in anni in cui da noi ci si
scontrava nelle Osterie di Piazza del Popolo tra i seguaci di Guttuso e quelli
di Turcato – adesso è visibile in ogni museo contemporaneo. Ma questo è un
discorso che qui merita solo un cenno.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Finalmente il trattato tocca
gli argomenti che diverranno politici mezzo secolo più tardi e che allora erano
appena noti agli scienziati della ricerca segreta nei laboratori. Facendo
tesoro dei primi segni, scrive: tutti questi «esperimenti – trasfusioni,
trapianti, trasformazioni – non solo si estendono fino ai rami superiori
dell’albero genealogico, ma hanno anche conseguito importanza pratica. Abbiamo
giardini che non solo vengono irrorati d’acqua ma altresì irradiati, al fine di
produrre mutazioni. Si incomincia a esercitare le dita con la genetica, sia
pure da principianti, così come le si esercita sulla tastiera di un pianoforte»
(pp. 225-226). Nazisti e bolscevichi avevano già strimpellato su quel
pianoforte. Nel dopoguerra sono i primi sintomi di una inquietante tecnologia
biologica. Mettendo sotto la lente tali sintomi ne scorge subito le conseguenze
per l’uomo e per le concezioni umaniste. «Oggi la ragion di Stato viene
considerata qualcosa di abietto, anche là dove la si mette in pratica, mentre
alla ragione che si basa sull’esperimento non si pone resistenza alcuna. Oggi
la legge ci difende con maggior vigore da una perquisizione domiciliare che non
da una radioscopia totale» (p. 228). Soltanto dalla vecchia Chiesa di Roma
venne subito, già con Pio XII, un incoraggiamento alla resistenza verso «ciò
che è degradante».<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«La natura è in procinto
di infrangere anche le barriere del diritto; sempre più frequenti sono i casi
in cui considerazioni tecniche e biologiche prevalgano su quelle giuridiche»
(p. 226). Se non fosse stato per la barriera innalzata dal cattolicesimo, in
modo particolare da un papa polacco, il diritto si sarebbe limitato a
registrare le pretese della ingegneria genetica con argomenti dell’apologetica
illuministica che pure appare un oggetto di antiquariato rispetto ai frutti
abnormi della scienza attuale. In quegli anni cinquanta in cui si agitavano le
bandiere di una libertà ingenua per salvaguardarsi da soprusi ottocenteschi,
Jünger mostrava tra i primi le minacce tecnologiche ai nostri corpi.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Quando sopraggiunse la
stagione delle interminabili Dionisie, in cui la politica si faceva araldo
della sessualità, la parodia colpiva la politica classica, la critica provava a
smontare la scienza onnipotente, e i corpi venivano in primo piano, insomma
quando ci si volse alla cosiddetta «sfera della vita», al prefisso «bio», piuttosto
che al denaro, ai salari o alle proprietà, si sfiorò per forza di cose il tema
che intesseva Jünger, ma lo si riportò alla questione delle rivendicazioni
(ancora vendette, come vuole l’etimologia), ai pianti sulle discriminazioni e,
su questa china, si diventò paradossalmente apostoli della tecnologia,
mitizzata come la forza capace di riportare giustizia, di compensare le
disparità imposte dalla natura. Erano del resto quelle feste di piazza, quegli
assembramenti eccitati, quelle adunanze violente, liturgie senza religione,
paganesimi che pretendevano fare a meno del sacrificio, che anzi ambivano a
dissacrare, mancando loro proprio la terribilità del sacro.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Nella «terra senza
confini», esposta freddamente dallo scrittore tedesco, nella globalizzazione
universale dove vengono strappate le radici, gli scienziati costruiscono l’uomo
nuovo. Non si tratta però dell’antico sogno dei rivoluzionari, dell’uomo che
taglia i ponti con la borghesia, dell’uomo che dimentica le abitudini ciniche
dell’arricchimento per affratellarsi a tutti gli sventurati della terra, né
dell’eroe che si ribella all’appiattimento democratico e neppure di chi
rovescia i millenari valori cristiani per affermare un egoismo dispotico; è
l’uomo che viene fecondato artificialmente, che si rende autonomo dalla natura,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lo spettro che agita l’Occidente. La
paura che provoca è tuttavia compensata dalla autorità prestigiosissima della
scienza, per cui l’opposizione che suscita è «più debole e disorientata di
quanto si potrebbe supporre». Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">nomos</i>
stesso, la legge e il legiferare, vi si piega confuso. Eppure «il principio che
anima questo nuovo tipo di riproduzione […] è più gravido di conseguenze, per
il nostro destino, di quanto non lo siano state due guerre mondiali,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>prodottesi nel medesimo arco di tempo in cui
si cominciò a praticare» la fecondazione artificiale (p. 231). Mezzo secolo
dopo, cioè adesso, quando già i bambini che frequentano la scuola sono talvolta
un frutto di tale intervento, i libri di storia e gli insegnanti la fanno lunga
sulle guerre e si guardano bene dal mettere al centro di questa nostra epoca la
questione della vita e della morte trasformate dalla tecnologia. Un tabù
sotterraneo magari impedisce di parlarne, più probabilmente manca la capacità
di percepire il colpo decisivo inferto all’umanità da un simile mutamento della
specie.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Non è solo un problema
di stato civile, di certificati, benché su quelle carte comincino ad apparire
forti contraddizioni. Sensibili ai diritti di tutti, compresi quelli assai
dubbi degli animali, non ci accorgiamo delle scandalose diseguaglianze
dell’epoca. «Il diritto ad avere un padre – spiega Jünger – precede quanto si
ha il diritto di esigere da un padre. Un diritto questo, sancito non solo dalla
legge ma anche dalla natura. […] a essere in gioco qui non sono né bontà né
cattiveria, né legittimità né illegittimità del padre; a essere in gioco sono,
in assoluto, il padre e il suo atto di procreazione» (p. 234). In luogo delle
leggi di natura, la tirannia dei desideri senza alcun freno, dell’egoismo
individuale che gioca con i possenti strumenti degli scienziati (messi magari a
disposizione dalla sanità pubblica). Se finora si nasceva dall’amore o quanto
meno dall’eros, adesso è la volta della sperimentazione al servizio del
desiderio. Pare poco generoso verso i bisogni fisici e sentimentali degli
adulti solitari riflettere su questi temi: «ogni essere umano vuol sapere da
chi discende. […] Negargli l’informazione o, addirittura, dargliene una falsa
non è lecito» (p. 234). Quanti osano ripetere simili osservazioni all’amica che
ha deciso di farsi inseminare da uno sperma senza uomo o alla coppia di maschi
che schiavizzano un utero per fecondare un essere umano figlio del capriccio?</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Jünger non era un esteta
del trionfo del nulla, non raccontava, a maggior gloria dell’espressionismo, il
romanzo del fenotipo e i bagliori che fuoriescono dai laboratori di genetica,
come il medico-poeta Gottfried Benn, e non era neppure un profeta, non chiamava
alla conversione (profeta era Ivan Illich), non si poneva problemi morali,
riteneva che spettasse al saggio annunciare quanto stava accadendo, descrivere
l’«inquietante» che scuoteva il genere umano, il giudizio sarebbe venuto
successivamente. Ora però il mondo preferisce evitare anche la descrizione del
mutamento genetico, limitandosi a celebrare la licenza sconfinata resa
possibile dall’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">artificiale</i>.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Osservando pittura e
scultura del suo tempo, Jünger sapeva cogliere quello che sfuggiva alla critica
fatua: «nell’arte contemporanea l’avversione nei confronti della testa ricorre
con tale frequenza che è lecito annoverarla tra i sintomi generali» (p. 239). Anche
qui insomma si riverberava il disumano, l’orrido dell’epoca tecnologica. </span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 28.3pt; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span>
</div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-2494174258982580292015-02-24T14:15:00.006-08:002015-02-25T00:00:21.049-08:00Anticlimax<span style="color: #999999;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;">~ </b>ISTINTI GENERALI DELLA
SOCIETÀ:</span><span style="color: #999999;">
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999;">IL SETTECENTO TRA GODURIE LIBERTINE</span><br />
<span style="color: #999999;">E FURORI MORALISTICI. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">~ </b>APPUNTI
SPARSI <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">~</b></span></div>
<span style="color: #999999;">
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Pathos contrapposto a Bathos,
pietà, compassione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">versus</i> riso di
scherno, comunque scadimento, anticlimax (nel senso moderno dell’accostamento
dissacrante alto/basso, ossia dal sublime al ridicolo). Nel 1764, William
Hogarth aveva intuito molto del moderno. Soltanto un inglese poteva creare
un’icona così potente come l’opera appunto titolata <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Bathos</i>, con le stigmate precoci delle vignette dei comics e dei
cartoons; nella parte inferiore della scena, collezioni di oggetti, antiquariato
di strumenti dell’arte del passato finiti nella polvere, quasi spazzatura. Una
atmosfera <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>apocalittica ma prosaica, «un
modo di affondare», come recita il sottotitolo, di scivolare nel baratro. Del
resto, l’altro titolo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Finis</i>,
alludeva sia alla prossima morte del disegnatore (fu la sua ultima incisione) sia
alla fine del tempo che il moderno – dissolvendo la tradizione – comporta. E un
altro artista inglese, Joshua Reynolds, poteva vantare la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Parodia</i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> della Scuola di Atene </i>(1751), dipinto
romano che precede di qualche tempo la ripetizione estenuante delle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stanze</i> di Raffaello da parte di pittori
pellegrini del Grand Tour. Al posto dei filosofi c’era il consesso dei borghesi.
Ma il trionfo del contemporaneo richiede di trasformare lo sfondo: in luogo
delle raffaellesche architetture classiche le forme ogivali, l’universo gotico, l’ambiente dove si eleva l’uomo nordico,
l’uomo moderno. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Le tombe di Canova rovesciano
quelle di Bernini. Nel Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria, le figure
si avviano alla soglia fatale, entrano in uno spazio buio, dove il nero, in contrasto
con il candido marmo, inghiotte<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i
personaggi. Ade di gusto massonico come la piramide che lo inquadra. Invece, nel
sepolcro ideato da Bernini in memoria di papa Alessandro VII,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per esempio, fuoriesce la Morte nel drappo di marmo
rosso. La terra e gli inferi – oltreché naturalmente il paradiso – sono nel
Seicento delle figure piene di dettagli e noi possediamo immagini ‘realistiche’
dello spirituale. Questa è la testimonianza cattolica, l’evangelo barocco che
viene tradito definitivamente dopo l’Ottantanove. Talvolta anche da Canova,
massima autorità artistica della Roma dei papi.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ricominciare da capo, ossessivo
Leitmotiv sulle ceneri della tradizione. «Se mi si ordinasse un nuovo universo,
avrei la follia di intraprenderlo». Giovan Battista Piranesi sfidava proprio la
follia nel generoso progetto. Nessuno gli diede alcun incarico, il geniale
architetto dovette accontentarsi di disegnare sogni e una chiesetta esoterica
sull’Aventino. Una qualche affinità con Nietzsche che scontava in solitudine la
sua volontà di rifare l’uomo. La <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ricostruzione</i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> futurista dell’universo</i> ne era una
tarda e rumorosa appendice.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Il Settecento fu straziato al cavalletto (lo
strumento di tortura, non quello di pittura), squarciato tra godurie libertine e furori
moralistici. Gotico e Classico, Romano e Greco, indeterminatezza del sublime e
chiarezza del disegno ‘italiano’, mistero e illuminismo, forma piena e forma
ascetica. Piranesi li raccolse tutti in una medesima immagine, si trattasse dei
camini o delle architetture fantastiche. Schinkel fece soltanto l’eclettico. Intanto,
tra i pre-raffaelliti d’ogni scuola, la ‘perfezione’ rinascimentale doveva
essere depurata dalla corruzione del virtuosismo (che loro reputavano) senz’anima;
la ‘rozzezza’ medievale arricchita dal platonismo (che loro reputavano)
raffaellesco. Comunque, anche per ragioni più generali, per sottile avversione
dell’epoca, rifiutavano o mettevano tra parentesi o meglio ancora correggevano
vistosamente la prospettiva com’era stata codificata nel Rinascimento italiano.
Pre-raffaellismo infatti significa anche questo.</span></div>
<div class="MsoBodyText">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Delightful
horror</span></i><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">.
Il brutto, il rude, l’adiposo, lo smisurato entravano nell’estetica del
sofisticato Settecento: il macigno Shakespeare era rotolato fuori dell’isola
britannica, e nel Continente, in primis nella Francia ancora classica, aveva un
effetto dirompente. E naturalmente, la scoperta del Bardo a distanza di secoli
dalla sua morte produceva anche molti equivoci.</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Schiller spiegherà nel saggio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Intorno al sublime</i> che dentro una simile
esperienza estetica c’è «dolore e godimento»: ecco una delle prime
teorizzazioni dell’algolagnia (sfuggita al trattato di Mario Praz). Collocando
la polarità <i style="mso-bidi-font-style: normal;">dominazione/sottomissione</i>
su un piano storico, si può schematizzare: assolutismo del Settecento, pieno
dominio su cose e persone:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sade ne è
l’epitome.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il piacere visto dalla parte
della classe dirigente dell’ancien régime. Democrazia dell’Ottocento, soggetto
kantiano (imputato, giudice e boia al contempo): Sacher Masoch ne è l’epitome.
Il piacere visto dalla parte della folla. Il sadismo era in qualche modo legato
al mondo della tradizione, «un bastardo del cattolicesimo» lo chiama Huysmans
in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">À rebours</i>, ma quando il
cristianesimo era ormai irriso e ridotto a rito mondano. All’opposto, il primo
masochismo, che ancora non si chiamava così, è confessato timidamente da
Jean-Jacques Rousseau, padre del nostro evo volgare, apostolo della democrazia:
«L’essere alle ginocchia di un’amante imperiosa, l’obbedire ai suoi ordini,
l’aver motivo di chiederle perdono erano per me dolcissimi godimenti…».
Nell’epoca laica, positivista e anonima il dottor Masoch predicherà senza
rossori il culto dell’assoggettamento. «Un istinto generale della società», per
usare la terminologia di Leibniz. Hans Sedlmayr ricostruirà in campo artistico
questa attrazione umana per la degradazione, il piegarsi alle forme più basse,
il rifiuto dell’esercizio aristocratico del potere per inginocchiarsi poi,
atterriti, davanti a ogni suo feticcio (cfr. il suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Perdita del centro</i>).</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Philipp Otto Runge dice esplicitamente che nella
pittura vuole evadere dalla religione «nata» dal cattolicesimo così come si
guarda bene dalla Storia. Quindi istituisce in arte il culto del paesaggio. E
torna a contemplare la natura, come sempre quando le rivoluzioni falliscono.
Però nella degenerazione rivoluzionaria si vuol mantenere saldo il sacro
principio ispiratore e quindi resta una profonda attesa: dalla natura verrà la
soluzione messianica che gli uomini non seppero darsi. Poi il paesaggio, ovvero
il teatro dei pantesimi, la scena prediletta del sublime, l’infinito in cui
affogare in mancanza di Dio, diventano man mano scenette riposanti e
pittoresche per interni di case Biedermeier.</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Paesaggi con rovine. Al progressismo illusorio dei Lumi si
oppone il dato di fatto che sta avanzando solo il numero dei morti tumulati su
questa terra, le tombe appesantiscono il nostro globo, si moltiplicano gli
scacchi all’orgoglio umano. Appena un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">escamotage</i>
sarà quello di incenerire i corpi. </span></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">«Paganesimo delle immagini» era la vecchia
accusa di tutti gli iconoclasti alla Chiesa di Roma, però la vera idolatria si
ha quando l’arte, liberata da ogni vincolo, si erge come una nuova religione,
religione idolatrica, appunto, politeista.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Secondo alcuni è Goya a lasciare da parte a un certo punto i
grandi condottieri nelle scene belliche per occuparsi, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>primo artista, delle anonime vittime.<span style="font-variant: small-caps;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ouverture</i> del Novecento, della sua
seconda parte, quando in seguito ad avvenimenti più criminali che guerrieri, si
mise al centro la figura della vittima, si fece storia delle vittime, lasciando
scendere un’ombra sui vincitori. Affondava così l’impianto classico. Non più le
ragioni dei potenti, il modello della storiografia romana. Sopraggiungeva il
‘classico colpevolizzato’ degli ultimi decenni del secolo appena tramontato.
Per rappresentare le vittime, piuttosto che l’arte del periodo aureo, ci
vorrebbe quella paleocristiana, l’umiltà dei bassorilievi catacombali. Anche la
letteratura classica è sospetta. Un sonetto o un romanzo sono quasi un delitto,
solo lo sperimentalismo ha il diritto dalla sua parte, si sosterrà. Spariscono
i trionfi, le architetture imponenti, i templi per il Deus Dominus. La Chiesa di Roma rinuncerà
alla sua millenaria liturgia gloriosa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
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</xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]>
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<![endif]--><span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; mso-bidi-font-weight: bold;">I dipinti di Goya dedicati
ai vinti si limitarono a celebrare i fucilati, i matti, i mostri. Fino ad
allora le vittime anonime erano glorificate in quanto martiri della fede:
soffrivano quaggiù i peggiori tormenti ma, mentre i loro aguzzini erano ancora
al lavoro, si aprivano i cieli fulgidi per accoglierli in trionfi sontuosi,
incoronati con le palme della vittoria. I martiri moderni, da Goya in poi
appunto, risultano maggiormente dolorosi, senza alcun premio, senza neppure
l’aldilà gaudioso. Inquietanti. </span>
</div>
<h3 style="text-align: justify;">
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Times,"Times New Roman",serif;"><span style="font-weight: normal;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; mso-bidi-font-weight: bold;"> </span></span></span></span></h3>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-24951454412804861782015-02-04T16:24:00.001-08:002015-03-19T00:50:37.339-07:00Buffoni<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #999999;">~ </span></b><span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">PICCOLI
DUBBI SULL’ONNIPOTENZA </span><br />
<span style="color: #999999; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">DELLA SATIRA<b> </b></span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #999999;">~</span></b><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 10.0pt;"> </span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span><br />
<br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 10.0pt;">«Ben sogliono gli uomini
schernire quello che non intendono»</span><br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 10.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>J. W. Goethe, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Faust</i></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"> </span><br />
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Circa un mese fa, l’Occidente
segnava con molta enfasi la sua estrema trincea dove si asserraglia, dove fissa
il suo intoccabile caposaldo, il suo tabù, quel che resta del sacro: la
buffoneria. La linea della civiltà si arrocca dunque sulle pernacchie. Chiama
libertà la licenza di sghignazzare su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">quasi</i>
tutto; che cosa c’è di più nichilista e corrivo? Nel «quasi» si nasconde
l’inganno: libertà assoluta di bestemmiare la divinità, avendo perduto il timor
sacro, ma assoluta proibizione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di
sfiorare i nuovi idoletti laici. Provate a celebrare per burla la mafia, o a
dire semplicemente davanti a quei criminali paesani e arcaici un «chi sono io
per giudicare?». Subito si invocherà una legge apposita che commini anni di
galera per una simile opinione o tentennamento ideologico. E sarebbe difficile travestire
quegli apprezzamenti sdruccioli come satira perché lo statuto di questa, come
tutta l’arte e la letteratura contemporanee del resto, è sfuggente, ovvero
sottomesso alle mode e alle politiche vincenti. Chi imbrattasse il patetico
Diario della sventurata Anna Frank o dietro alla elastica nozione di satira
ripetesse ogni giorno attacchi virulenti alla democrazia fino a impiccarla alle
sue contraddizioni sarebbe criminalizzato senza attenuanti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nella gara meschina tra la blasfemia da una
parte e gli infiniti temi che ogni fantasia malata può elaborare contro il
pensiero unico dall’altra, si rasenta la idiozia compulsiva, niente a che
vedere con la libertà.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">A milioni, in generosa
partecipazione mossa dal cristiano buonsenso per una strage incommensurabile
con l’impertinenza, si è fatta di un giornalino una bandiera. Che il giornalino
contenga la Trinità
raffigurata in un atto di sodomia è accettato e smuove risatine anche tra i
preti. Ah, ah, che sbellicamento. Cacchette sparse su quanto fino a ieri era
considerato più prezioso al mondo. La fase escrementizia dell’infanzia, secondo
il dott. Freud. Un americano immette sul mercato estetico molto proficuo un
Cristo immerso nella orina, scandaletto facile, seguito comunque da
elucubrazioni e tormenti, onde strappare qualche dollaro in più e uno status di
artista (atei e nichilisti sì ma sempre tanto invidiosi di quel ruolo quasi
divino). Gli occidentali non soffrono più per tali offese, sono cristiani <i style="mso-bidi-font-style: normal;">adulti</i>. Hanno elaborato anche una teoria
assai zoppicante sulla faccenda confusa della satira: sarebbe il caso di
ricorrere alla violenza polemica soltanto quando questa attacca i potenti e i
simboli dei potenti. Dimenticano che per ogni parte in conflitto i potenti sono
semplicemente gli avversari. Dimenticano soprattutto, quando enunciano questi
escamotages, che la vittima per eccellenza, la vittima divinizzata è Gesù
(dimenticano o nascondono il pensiero di René Girard a tal riguardo). Se la cavano
con la spiegazione che la divinità cristiana è ben al di sopra degli scherzi, che
non si lascia toccare dagli insulti e in ogni caso certi teologi contemporanei non
vogliono più saperne delle ferite al Dio incarnato, della passione di Cristo,
della sofferenza del Dio umanizzato che si rinnova al di là del tempo. Con
questi trucchi intanto, la satira prende il posto dell’arte, diventa
onnipotente, e i buffoni sono i nuovi sacerdoti, i nuovi maestri di morale, i
nuovi commentatori di Dante e nunzi a modo loro del bello, i nuovi politici, le
nuove guide. Si ascoltano filosofi celebrare la sacralità della libertà
d’espressione (in un mondo in cui non viene riconosciuto altro sacro
inviolabile), l’espressione santa essendo ormai solo quella dell’arte comica. Oggi
la satira è critica più o meno feroce in nome della demagogia, i comici pantocratori
sono maestri di populismo come nessun altro tiranno mai.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’attuale culto della satira dichiara inutile
perdersi nella riflessione, nel ragionamento, nella elaborazione filosofica,
basta uno sberleffo, una parolaccia, un insulto, una bestemmia che, come un
sorso di vino di troppo, una sniffata di cocaina, faccia venir giù il mondo. Il
pensiero che si impone al nostro tempo sempre a quell’obiettivo mira: annullare
il creato, renderlo indifendibile, infondato.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">I disegnetti degli ilari
bestemmiatori, infatti, sono roba da osterie d’antan, sgorbi osceni sui muri
delle periferie, rozzi pensieri, forme ancora più rozze. Un satirico italiano, intervistato
appo i fattacci parigini, celebra l’immediatezza delle vignette del suo giro, loda
il taglio del nodo gordiano verbale, rammenta la ricerca spasmodica e mistica
di un colpo che faccia a meno di pensieri e logica, che spezzi sintassi e
concetti, che prescinda da ogni criterio, e così enumerando pare evocare
proprio quella sventagliata di mitra che taglia la testa al toro e agli umani,
che è più veloce di ogni battuta, più eloquente, più diretta di ogni schizzo
caricaturale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Prima ancora di
discettare sull’islam però, sarebbe il caso di riflettere sulle cose sacre che
restano nel nostro mondo. Non si parli di scontro di civiltà, e neppure di
incontro, dal momento che ogni giornalista televisivo vi spiegherà con aria di
sufficienza che la civiltà è una sola. Ohibò. Civiltà unica che si specchia nel
pensiero unico. Nella religione unica, quella laica. Guai a chi provi a restare
fuori a questa unicità. Guai a chi non rida delle vignette dei martiri. A chi
non si identifichi con la loro stupidità. Si può discutere, e ridicolizzare beninteso,
il pensiero di Tommaso d’Aquino, il pensiero di Ibn Arabi, di Maimonide, si può
decostruire la cultura occidentale, si può mettere alla berlina <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la
Bibbia e il Corano, duemila anni di cattolicesimo con i suoi
dogmi, più di duemila anni di formalismo farisaico, ma non si può non piegarsi
a quell’atto di libertà che sarebbe lo sberleffo dei buffoni.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Civiltà unica, pensiero
unico. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Rigidità impressionante. Neppure
nel medioevo imperiale, teocratico e assoluto, erano proibiti i varchi come
nell’Occidente democratico e laico. Apparvero così scandalizzati dal discorso piano
del papa teologo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a Ratisbona, adesso lo
ripetono in versione commerciale. L’islam si deve laicizzare, grida il
direttore del giornale più modaiolo d’Europa. In Occidente non è più ammesso il
sacro. Che si convochino le processioni laiche come quella di Parigi che pareva
la versione postmoderna del giacobino culto dell’Essere Supremo. Le religioni
risultano ormai sanguinarie. Un vecchio semiologo che scrive romanzi di
successo propone senza remore l’abolizione delle religioni. Se i cattolici provano
vergogna come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quasi tutti gli occidentali
a difendere l’aspetto sacro del cristianesimo che spendano una parola almeno
per quello dei nostri diretti concorrenti che si richiamano al Libro (sacro,
appunto), non sproloquino solo per il loro benessere fisico e per i loro salari
e diritti vari (la Chiesa
di Roma non è un sindacato).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Sempre volgarizzando al
massimo il discorso di Ratzinger si parla di illuminismo come si trattasse dell’accumulazione
del capitale che permette di accedere alla rivoluzione industriale. Resta in
ombra il fatto incontrovertibile che la critica illuminista nasce in seno alla
civiltà cristiana, alle sue distinzioni tra sacro e profano, tra clero e laici,
tra umani fatti a immagine di Dio. Ci si deve invece mettere in fila – impone
l’opinione pubblica – e acquistare anche a caro prezzo il biglietto per
diventare in breve tempo illuministi. Nel prezzo c’è la distruzione delle
singole culture, della tradizione familiare, della propria storia. Naturalmente
nelle chiacchiere giornalistiche si ignora la dialettica dell’illuminismo, la
ricostruzione a opera di Adorno e compagni della faccia totalitaria dei Lumi,
dell’annientamento di etnie, culti e culture che tentano di resistere alla sua
ideologia progressista. Nessuno osa più ricordare alla maniera dei pensatori
francofortesi che la luce abbagliante dell’illuminismo produsse le ombre
dolorose nel Lager.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">La coabitazione forzata
tra popoli e culture distanti, che la globalizzazione economica impone (con
mascherature a vario titolo filantropiche), riduce l’illuminismo a un corso
rapido di desacralizzazione del mondo, di cancellazione delle immagini della
rivelazione divina a favore di un sincretismo astratto su cui già si era cimentata
la massoneria borghese. Resta l’adattamento più o meno forzato al vuoto, il
protestantesimo del tutto laicizzato cui si dovrebbero piegare anche i popoli
del nord-Africa e del medio-oriente. Perché meravigliarsi della attrattiva per
i più giovani della lotta cruenta, delle armi pesanti? La sociologia la fa
lunga con la disoccupazione nelle periferie, non sa nulla di queste ferite al
cuore ben più gravi, dello scoramento in solitudine senza il conforto del
paradiso.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Si dice candidamente medioevo
quando si parla dell’islam, come se fossero speculari i secoli del nostro
feudalesimo o dei Comuni e i secoli del Califfato arabo. Nella civiltà unica e
appiattita è infatti poco corretto sottolineare il sorriso che segnò da noi la
letteratura e l’arte, proibito poi ricordare lo spirito di tolleranza del
cristianesimo pre-illuminista per cui già allora sarebbe apparsa aberrante una strage causata da uno scherzo stupido. Abituati a battersi il petto in quanto
occidentali, a vedere il bicchiere mezzo vuoto, a scandalizzarsi proprio in
quanto occidentali e cristiani per le teste tagliate (piuttosto che trovare
motivo di vanto di essere usciti per primi dalle crudeltà religiose), si
abbandonano all’oblio tante cose. Per esempio Giovanni Boccaccio, narratore di
storie mondane, che parlava nelle chiese o anche, sulla sua scia,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Racconti
di Canterbury</i> in cui i pellegrini criticavano preti e frati. O <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Dante che poteva mettere all’Inferno il papa
regnante, non impiccare soltanto il profeta Maometto con le sue budella.</span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 28.3pt; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-37984435589967090042014-12-26T05:44:00.000-08:002015-03-19T00:40:30.906-07:00Natale 2014<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Intercettazioni
involontarie. Camminando per una strada di Roma giunge alle spalle la voce
concitata di una coppia che litiga con la tensione accumulata nel tempo di
festa, quando il tempo di festa è gestito dai mercanti che spingono
all’ossessione dell’accaparramento di cose inutili. E le minuzie provocano
sconquassi. Lei: «io ci tengo al mio diritto a essere felice…». Lui risponde in
un romanesco frusto e cinematografico: «allora torna <i style="mso-bidi-font-style: normal;">para para</i> alla tua indipendenza». Così scivolò nel grottesco la
pomposa dichiarazione dei diritti proclamata al tramonto incandescente del
Settecento. Così l’Illuminismo finisce in parodia triviale. Così gli attuali
ripetitori di quelle pretese, i catechisti delle umane prerogative, tra cui
papi e concili moderni, si ritrovano a smerciare «diritti alla felicità» senza
riderci su.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;">Tutto il contrario di
quanto contempliamo nel presepio. Il rovesciamento delle gerarchie umane per
opera divina avviene senza forza, senza politica, senza contratti né dunque
cartigli di diritti e di doveri. Un miracolo del dono. Un gesto generoso di Dio
che è persona e non astrazione spinoziana. Un sacrificio dello splendore divino.
Una scelta dell’«umano troppo umano» nell’oscurità del popolo minoritario per
eccellenza, dei miseri, degli impolitici, degli arcaici: ebrei, pastori. Nel
cuore del mondo, nel luogo politico supremo, nell’Impero di Roma Dio si incarna
– secondo il Vangelo – ma tra gli estranei allo spirito del tempo. Nessuna
agitazione sociale, nessun chiacchiericcio dei diritti. La favola della
felicità su questa terra è estranea alla scena del presepio. Vi si intravede
invece, come molti artisti dipinsero espressamente, la croce del sacrificio. È
solo attraverso la morte di Dio che tutte le creature risplendono di una luce
che arroventa e incenerisce ogni carta delle regole, che toglie fondamento a
ogni giustizia umana, che abbacina i credenti nella legittimità del moderno. La
luce della vittima, direbbe Girard, che smentisce il dogma del pensiero unico
per cui tutte le religioni hanno uguale dignità.</span></div>
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12.0pt;"></span> <div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-74229551652654899622014-11-24T10:47:00.000-08:002014-11-24T11:01:27.793-08:00Illuminismi<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><span style="color: #999999; font-size: small;"><span style="font-family: Georgia;">~ A</span>PPUNTI SU DISVELAMENTI E DESENGAÑOS.
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999; font-size: small;">PROVANDO AD ANTICIPARE DI UN
SECOLO</span></div>
<span style="color: #999999;"><span style="font-size: small;">LA FILOSOFIA DELLA
LUCE E DELLE TENEBR</span><span style="font-family: Georgia; font-size: 12pt;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-size: small;">E</span> </span>~</span></span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Chi ha detto che il migliore
illuminismo sia comparso nel XVIII secolo? Mostrare ai fratelli-lettori, ai
complici più o meno ipocriti, gli inganni della vita, del tempo, delle
passioni, della carne, le torture del dolore, i disvelamenti dell’agonia, le
crudezze che nessun evangelo laico può cancellare: questa è musica barocca,
cioè i migliori discorsi del XVII secolo. Si citi Lorenzo Magalotti. Si legga
con sgomento il verso di Francisco de Quevedo: «Ehi, della vita! Nessuno
risponde?». Che l’eccelso suo traduttore, Vittorio Bodini così chiosa: «Par di
vedere e sentire [Quevedo] battere alle nude porte dell’esistenza». Le
piacevolezze del Rinascimento sventrate, il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">desengaño</i>
dell’umanesimo sceneggiato magistralmente. Dopo, nel secolo successivo, si
indirizzò la lampada su questioni ben più meschine, si fece luce su contrasti
domestici, liti tra servi e padroni, si snodarono questioni tra mortali. Un
soggetto umano gonfiò il petto in modo ridicolo. E il filosofo lo illuminò
compiaciuto. Bastava non lasciarsi stordire da quelle illuminazioni improvvise
nelle spesse tenebre: i primi ‘illuministi’, i seicenteschi, si erano misurati
con l’immenso potere della Morte, i successori su quelli redimibili di un
sovrano mortale anch’esso. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Con il Settecento va in pezzi l’umanesimo
cattolico e si affaccia lentamente un teismo strisciante che fa saltare il
compromesso romano: ecco affermarsi la divinità astratta, il corpo dei
libertini senza Dio e un Dio senza corpo.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Cade così l’intero ordine universale, la salda gerarchia al sommo della
quale dominava Dio di cui l’uomo diventava metafora sulla terra, governando la
natura, il creato visibile (animali e piante). Dio astratto e uomo astratto si
guardano ora a distanza, pallidi, spolpati. Nasce in quel tempo il culto della
natura, la deificazione di una forza oscura. Nel ritorno alla<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>religione antica, l’uomo perde i suoi poteri
e viene sottomesso ai suoi istinti. Non bastano tutti gli artifici
settecenteschi a fare da diga, l’istinto selvaggio, la forza naturale si
impone. Religione antica dei villaggi, paganesimo secondo ragione filologica.
In effetti sempre la religione latina (e greca) celebrò i boschi e le divinità
che lì si nascondevano, mentre dall’Oriente viene il legame con<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il deserto biblico, l’altare di Jahweh privo
di fronde, la spoliazione delle divinità boschive. Il grande compromesso, allora,
faceva convivere a Roma religione pagana e cristianesimo, equilibrio tra i due
poli del bosco e del deserto, dei miti e dei riti, mediazione di Cristo, che è
visto al contempo come Apollo e figlio di Jahweh.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche questa nuova fede nelle
«grazie della selvatichezza», che si affermerà nell’evo moderno, e che fungeva
da contrappunto ai Lumi, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>aveva avuto un
profeta seicentesco. Quando il conte di Shaftesbury introduce al nuovo culto
della natura e vagheggia un ambiente incontaminato, rifiutando Bernini e considerando
Pietro da Cortona «corruttore del gusto» (per estasiarsi davanti all’‘orrido’
di Salvator Rosa), non solo riporta in auge la religione dei barbari che già
nel nord Europa protestante aveva ripreso forza, ma aggiunge un altro elemento
distruttivo: dal bosco sacro è scomparso il nume, né Apollo né Diana vi si aggirano
più, né s’incontra il cervo con la croce sul capo che apparve a sant’Eustachio,
adesso è la natura stessa, la forza selvaggia, a essere onnipotente. Un panteismo
che schiaccia l’essere umano: da allora la creatura dovrà piegarsi a questo
potere misterioso, alla matrigna che non parla il linguaggio razionale, alla
despota misteriosa, senza altra finalità che la sua crescita insensata. I poeti
troveranno un ruolo: agghindare la forza bruta. In luogo dell’artificio si
giocherà all’artificiosissima naturalezza (Rousseau diverrà il maestro di tali
imbrogli). Ma per interpretare la divinità oscura c’è bisogno di una tecnica
altrettanto anonima: la scienza, unica via per capire (diagnosticare) i
risultati di una potenza divina senza <i style="mso-bidi-font-style: normal;">nous</i>.
L’uomo allora si trasforma in servitore-interprete, creatura agitata da una
forza oscura. Non solo perde lo status di figlio di Dio, ma anche il
conseguente ruolo di coordinatore dell’universo, di rappresentante di Dio in
terra (se il papa infatti ne era il vicario supremo, l’autorità politica ne
rappresentava il potere terreno, e così via fino al padre che riecheggiava il
sole divino nella famiglia). In tal modo viene a mancare il patto biblico, la
certezza che i poteri umani abbiano un fondamento al di là del tempo e dei suoi
capricci, la possibilità di costruire una tradizione. La morte dell’umanesimo,
dell’atteggiamento cattolico cioè che rifiuta l’annullamento (bizantino e
gotico) della creatura davanti al creatore, che riprende il braccio di ferro
con l’angelo della tradizione ebraica e il gusto terreno dei pagani, trapassa a
un certo punto nella divinizzazione dell’uomo che è tutt’altra cosa. Bisogna
attendere che si srotolino il Settecento e l’Ottocento, sperimentare tutta la
miseria dell’umano senza più la controparte del Dio unico, con il bosco sacro
ormai svuotato degli dèi e ridotto a contraltare del mondo meccanico,
l’accumulo di dati scientifici che quanto più si applica alla natura tanto più lascia
insoddisfatti sulle domande ultime, quelle che maggiormente contano; bisogna
avere intrapreso in massa la corsa verso il nulla, immersi in continue
distrazioni organizzate per non vedere quello che ci aspetta, bisogna avere
sciolto i legami con la natura (venerata insensatamente nel weekend come
incontaminata, come vergine) e con il cielo (abbandonato con iattanza) e
soffrire di solitudine cosmica, bisogna avere sceso tutti i gradini della
abiezione per poter finalmente, con un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">coup
de théâtre</i>, procedere alla deificazione dell’uomo. Ma è un dio
ottocentesco, risibile ed eclettico, mascherato, travestito in tutti i ruoli
mitici. Un dio che si è candidato e autoproclamato, come nelle repubbliche. Un
dio impotente, parodia delle debolezze di Cristo. La kenosis regalmente scelta
dal Cristo-Dio diviene nell’uomo triste necessità. Ma un dio bizzoso: gran
parte dei fiumi di sangue del XX secolo scorre su altari laici per i<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>suoi puntigli. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Profeti confusi. Il ritorno di
Zarathustra apre la via ad altri profeti. Esortano soltanto, tutti. Predicatori
come nelle sètte protestanti. La questione morale da due secoli tende a ridurre
la religione a un faccenda etica. E già Félicité de Lamennais si lamentava
(prima dell’apostasia): «Può concepirsi una religione nella quale non si sappia
<i>positivamente</i> né ciò che si deve credere, né ciò che si deve praticare?
Una<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>religione, insomma, che non abbia né
simboli né comandamenti? Una religione che, come regola di condotta e di fede,
dica agli uomini: ‘Io non so <i>positivamente</i><b> </b>se esiste un Dio, se
gli è dovuto un culto, né qual culto gli è dovuto. Non so positivamente se
l’anima è immortale, se la giustizia divina le riserba in un’altra vita pene e
ricompense, né quale sarà la durata di queste ricompense e di queste pene, la
natura delle quali m’è completamente ignota. Io non so positivamente se il
creatore dell’uomo, chiunque esso sia, gli abbia imposto dei doveri o l’abbia
lasciato totalmente padrone del suo credere e delle sue azioni. Io non so
positivamente se esiste qualche cosa di reale in ciò che si chiama delitto e
qualche cosa di reale in ciò che si chiama virtù» (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Saggio sull’indifferenza in materia di religione</i>). Nel frattempo
non soltanto i critici della religione positiva lasciavano inevase queste
domande ineludibili, persino la gerarchia cattolica, i catechismi e i
confessori glissavano tra i terribili interrogativi. Ci si consolava con il
ritornello delle incertezze, con la glorificazione del dubbio e la dannazione
del dogmatismo, facile escamotage per ridurre anche il cattolicesimo romano ad
ordinaria, umana, saggezza.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La divinizzazione dell’uomo subentra
perché l’ateismo radicale è insopportabile. Ci si incorona da soli, sulla
falsariga di Napoleone imperatore. Ma almeno quel gesto fu ratificato
solennemente, la cerimonia consacrata dalla presenza (sia pur forzata) del <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>papa, mentre la deificazione dell’uomo – che
detronizza il Dio-uomo – avviene alla chetichella, senza nome, con numerosi
eufemismi, manca perfino della data. C’è poi un continuo tirarsi indietro,
grandi rifiuti, ‘non sumus digni’, non abbiamo forza, fragili siamo, non ci
inganniamo, creature impaurite, che nascondiamo i timori con le forme divine.
Poco più poco meno di due secoli fa. Ora siamo alle dimissioni di massa. Il
fascino, l’orgoglio di esser Dio si è perso da tempo, suona ‘ottocentesco’,
resta il privilegio di autoassolversi da tutte le responsabilità. Ma anche qui,
che immani sensi di colpa, soprattutto dopo che la «morte di Dio» ha prodotto
la «morte di Satana». L’uomo resta solo a inorgoglirsi di piccoli successi come
di piccole colpe. Un ex abate di san Benedetto scrisse qualche anno fa, avendo
strappato la veste monacale, un librino sull’inesistenza del diavolo. Aveva
condito lo scritto di dotte citazioni della patristica come della cultura
contemporanea, ma quello che sfuggiva all’ilare monaco era il senso del male:
gli stermini storici gli sembravano frutto di scandalose nequizie sociali; non
si rendeva conto che ogni morte, la più ‘naturale’, è già un male
insopportabile. Nessuno dovrebbe accettare come naturali morte e malattie.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’altro è nel frattempo diventato
l’ossessivo specchio della desolazione di ciascuno. Aiutare il prossimo a
risolvere i suoi problemi sperando così di superare i propri: a questo si
riduce l’atteggiamento religioso del nostro tempo. Sempre più confuso con
l’azione sociale e la politica, meglio: una politica ridotta ad azione sociale.
In una conversazione con i suoi allievi del dicembre 1930, Wittgenstein tagliava
corto: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>«Bene è ciò che Dio ordina» (<i>Lezioni
e conversazioni</i>). Ma poi la sua filosofia agli antipodi di quella tomistica<span style="color: green;"><span style="font-family: Georgia;"></span></span> non
avrebbe saputo indicare come capire e seguire gli ordini divini.</div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-88970999696179321452014-11-03T06:53:00.001-08:002014-11-24T05:09:44.241-08:00I morti<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><span style="color: #666666;">~ NELLA MISERIA DELLE
TOMBE</span><span style="color: #666666;">
</span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="color: #666666;">E NEL TRIPUDIO DEI
CIELI ~</span></span><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il mistero
dei morti non riceve luce dal progresso, resta intatto il velamento nel
precipitare dei millenni (casomai viene mascherato e vilipeso dal moderno), è
affare precipuo della tradizione. I più ci sono già passati, interi popoli,
miliardi di ogni èra, i fenici come i russi della rivoluzione, gli indios antecedenti
la conquista come i figli dell’epoca carolingia, le etnie lontane, così lontane
che le ignoriamo, e gli amici più cari dell’oggi, i parenti più stretti; noi
stessi – l’almanaccatore che scrive – siamo lì, i prossimi anni o tra un’ora (somma
misericordia del Supremo Reggitore consiste nel nasconderci la data decisiva; anche
il condannato dagli umani alla pena capitale può sperare in un rinvio). La
saggezza cattolica ha occupato due giorni della stagione dell’occaso (con un
corteo dell’intero mese di Novembre), quando anche la natura pare muoversi al
pianto, per dedicarli a una folla sterminata, la più grande massa di umani che
la mente possa concepire: i morti. Gli affini, antenati o discendenti (secondo
un imperscrutabile ordine per cui talvolta i più giovani precedono i più vecchi)
che veneriamo nei ricordi e sulle tombe, hanno un nome, una figura, almeno un
profilo, un’andatura; c’è poi la massa anonima, chi non fu conosciuto dalla
storia e chi addirittura non conobbe le facili consolazioni della storia. Segno
di morte è perdere il nome. Invano le tombe lo ripetono inciso in materiali
duraturi: viene sempre il giorno nel quale anche i marmi si sbriciolano e
quell’alfabeto non si conosce più. L’oblio somiglia alla vittoria della morte.
Alla fin fine, alla fine della storia e delle storie, sembra di esser passati quaggiù
tutti invano. </span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Inutili
i cimiteri, gli affettuosi addobbi, senza nome e senza più tracce, anche la
cenere ben presto diventa altro. Con il moderno tanto impregnato di effimero
l’anima muore subito, basta una manciata d’anni per sembrare nient’altro che
‘fuori moda’, buffi i souvenir, a cominciare dalle prime fotografie a colori
che già appaiono stonate, poveri morti con gli occhialoni di plastica anni
Settanta imposti ai volti contadini dei nostri nonni. In ogni caso, anche nel
più nobile, cioè nel più antico apparato funebre, triste risulta l’alludere a
teschi e a scheletri, sparite le carni sode, l’opulenza della vita, il colorito
solare, restando il pallore abbacinante. Atroce il buio della lunga notte,
delle tenebre che illanguidivano i mortiferi romantici. Il silenzio assoluto, l’anonimato
definitivo. Il trionfo della cenere. Il prezzo del peccato adamitico. Questo
dice la liturgia del lutto. Con magrezza ascetica i pii pastori indicavano quell’indicibile
che le distrazioni del mondo fanno di tutto per occultare. La meditazione sul
destino di morte riservato alla stirpe di Adamo era già in voga secoli e secoli
prima delle scoperte filosofiche di Heidegger. Per fare esperire questa umana
finitudine i migliori predicatori mettevano in mostra il corpo loro. In
conclusione della sua esistenza il sommo John Donne salì ormai cadaverico sul
pulpito della cattedrale londinese e tenne il suo sermone sulla morte, il
celebre <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Death’s Duel</i>. Aveva tradito
il cattolicesimo familiare, aveva rivestito gli abiti dei consacrati anglicani,
ma manteneva nell’orecchio il suono terribile e ammaestrante del <i>Dies Irae</i>.
Non avrebbe capito l’edulcorare del rito intrapreso dai postconciliari, tanto
inumani da togliere il colore nero dagli abiti di una sì lacerante cerimonia, umiliando
i simboli, istupidendo pure la morte con canzoncine squinternate, con
discorsetti frusti, con chiacchiere familiari senza guida. Ancora più cupa
della predica di Donne morto-semivivente fu quella di Jacob Taubes che passò
gli ultimi giorni di vita rosi dal cancro a esporre il suo corpo sfinito al
gelido pubblico cristiano di un seminario protestante. Interminabile discorso di
tre giorni in cui il rabbino insegnava la teologia politica di Paolo mostrando
ai concilianti ignari come l’apostolo aprisse un abisso tra l’annuncio nuovo e
la religione degli ebrei. Né i cristiani né gli ebrei dialoganti sui dettagli
sembrano aver fatto tesoro di questo insegnamento. Solo Carl Schmitt, giunto al
termine di una lunga vita, aveva chiamato con insistenza rabbi Taubes a casa
sua per leggere e decifrare insieme certe righe dense dell’ultimo apostolo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Cadaveriche
figure, ossuti celebranti, pallidi oratori, spenta luce del giorno decrescente
che sta per arrivare al termine nel vicino solstizio d’inverno: così la cultura
cattolica abituò a commemorare i morti, a consacrarli nonostante l’anonimato,
ad affidarli al cielo anche se la terra ne aveva consumato pure le ossa.
(Cadendo quest’anno di domenica, giorno della festa piena cristiana, la memoria
del due di Novembre viene spostata al giorno successivo dal Vetus Ordo,
sensibilissimo al linguaggio dei simboli e alla loro ratio. Fuori così dal
clamore laico, dalle appendici folcloristiche, resta solitaria e straordinaria la
celebrazione della Chiesa che si protende verso i defunti.)</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Schegge
impazzite di quella materna cultura cattolica sono rintracciabili nel culto di
fantasmi e folletti partoriti dalla fantasia protestante e dai resti del
paganesimo nordico che si vendettero al supermercato delle mode per un mini-satanismo
disneyano, per una ridarella tremebonda intorno al tabù dei morti. Alla
centralità della morte nel mondo tradizionale, che ancora Benjamin guardava con
nostalgia, si sostituisce la corsa affannosa al suo mascheramento. La
preoccupazione del filosofo ebreo per i morti, per la loro condizione fragile,
lo portò a riflettere sul cinismo dei moderni: «da molti secoli si può
constatare come, nella coscienza comune, l’idea della morte perda
progressivamente la sua onnipotenza e icasticità. Nelle sue ultime fasi questo
processo si svolge in maniera accelerata. E nel corso del secolo decimonono la
società borghese, con istituti igienici e sociali, pubblici e privati, ha
ottenuto un effetto secondario che è stato forse il suo scopo principale
inconscio: quello di permettere agli uomini la vista dei morenti. La morte, che
era già, nella vita del singolo, un evento pubblico e sommamente esemplare /(si
pensi ai quadri del Medioevo dove il letto di morte si trasforma in un
trono,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>intorno a cui il popolo affluisce
attraverso i battenti spalancati della casa del morto), la morte, nel corso
dell’età moderna, viene progressivamente espulsa dal mondo percettivo dei
viventi. Una volta non c’era casa, non c’era quasi stanza, dove, un tempo, non
fosse morto qualcuno. (Il Medioevo sentiva anche spazialmente ciò che, come
sentimento del tempo, rende così significativa la scritta di una meridiana di
Ibiza: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ultima multis</i>). Mentre oggi,
in vani ancora intatti dalla morte, i borghesi ‘asciugano le pareti’
dell’eternità, e, avviandosi al termine della vita, sono cacciati dagli eredi
in sanatori e ospedali, ma sta di fatto che non solo il sapere e la saggezza
dell’uomo, ma soprattutto la sua vita vissuta – che è la materia in cui nascono
le storie – assume forma tramandabile solo nel morente». Il pensatore tedesco
conclude questa pagina sulla catena della tradizione spezzata con una frase
magistrale: «La morte è la sanzione di tutto ciò che il narratore può
raccontare» («Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov» in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Angelus novus</i>, Torino. 1962, pp. 245-246).
Naturalmente l’occultamento della morte è confermato <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dall’evento mediatico del suicidio in diretta
di queste ore, fenomeno spettacolare dell’onnipotenza della connessione
universale. L’impero delle merci può offrire prodotti tecnologici per il
trapasso e perfino oggetti per i defunti (la nuova e ingenua usanza popolare di
lasciare un telefono cellulare nella bara, equivalente del cibo che i pagani
mettevano nella tomba), fa ascendere alcuni trapassati nello start system dei
venditori post mortem, impone anche un furbo galateo che obbliga a scivolare intorno
alle parole ai pensieri e ai gesti sul buco fatale del suo sistema, esclude
comunque dal <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>discorso progressivo il
senso della fine terrena, tanto contraddittoria con il lavoro, la produzione,
la ricchezza. Nel nostro occidente regna del tutto nudo il Macabro.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Qualcuno
in rete ricorda opportunamente i versi di Giovanni Pascoli, mondo contadino lontanissimo
dalla metropoli benjaminiana: «Oh! i morti! Pregarono anch’essi,/ la notte dei
morti, per quelli/ che tacciono sotto i cipressi» (da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Myricae</i>).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In margine a
quella lettura si resta turbati: oggi la catena si è interrotta, i vecchi non
pregano e quelli che verranno con grande probabilità pregheranno ancor meno.
Dove è la Chiesa
che unisce morti e viventi? Dove è la
Chiesa che salva le anime dalle pene espiatorie? Le
indulgenze permangono, gli anni concessi, secondo il metro umano del tempo, fino
alla cancellazione totale della pena, all’amnistia: l’indulgenza plenaria è
validissima anche nella Chiesa postconciliare e i parroci più antiquati la
ricordano, aggiungendo magari «alle solite condizioni» (che i fedeli non
conoscono più), ma quanti danno credito a tale condono prezioso che fa
ascendere un defunto alla beatitudine senza più tempo? Il ministero petrino non
contempla il ruolo di imitatore del funzionario Onu, non quello di sociologo,
di intrattenitore di gran rispetto, né di teologo sottile; compito del
successore di Pietro è quella della misericordia estrema, di sciogliere cioè i
legami quaggiù perché siano sciolti nei cieli, di liberare i morti dalle pene
comminate dalla giustizia divina. Ma se nessuno crede più alle indulgenze, che
resta del cattolicesimo? A che pro la misericordia? Perché far capriole
teologico-filosofiche onde assolvere la sodomia in nome dell’amor (profano) se
poi il gran perdono non si ricollega all’aldilà? Se non si crede al Purgatorio
e naturalmente alla possibilità dell’Inferno, se l’eternità non è quel che più
conta, l’unica dimensione cui vale sacrificare il presente, le concessioni
generose della Chiesa in tema di peccati servono soltanto per consacrare nuove
abitudini mondane, con la
Chiesa che diventa una istituzione esclusivamente terrena
come neppure ai tempi bizantini, che si agita per gli ecumenismi con altre
consociate, per la pace e la guerra, la fame e le malattie, cose umane troppo
umane, e il papa si trasforma in un annunciatore onorifico della new age.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">L’eternità
si rispecchia – specchietto umano, certo – nei lavori lunghi, diceva Valéry,
nell’arte come metafora del superamento della gabbia contemporanea. I cieli di Dante
e di Frate Angelico e quelli seicenteschi di Gaulli raccontavano dei fondamenti
della vita, davano luce – una luce unica – alle nostre vite, rendevano concreta
la speranza, sostanziavano e orientavano desideri e fantasie degli umani. I
barocchi presero in prestito la luce del mito romano, le processioni ovidiane
dipinte dai Carracci in casa Farnese, la goduria dei banchettanti, delle danze
sul Monte Olimpo. Sontuosissimo apparato, gaudio, gloria. Teatro dell’anima,
palestra della felicità, promessa fatta ai corpi e annunciata dunque in un
linguaggio sensuale. Le commemorazioni dei giorni di Novembre sono immagini
speculari di una unica figura, l’umanità trapassata, dentro vi sono anche i
bagliori di quei Paradisi. In un giorno piangiamo i morti per come son stati
ridotti dal tempo, per quel poco e sempre meno che ci resta di loro, per la
miseria della loro situazione terrena, per l’approssimazione del concetto di
sonno, per la stoltezza degli eufemismi che usiamo, per gli auspici impotenti, retaggio
pagano, sulla terra lieve, sul riposo senza turbamenti (Sergio Quinzio non
amava neppure la parola ‘requiem’, gli sembrava estranea alle promesse
bibliche). Insomma, il cattolicesimo invita a meditare sulla bruttezza della
morte. Ma nello stesso tempo invita a contemplare il mistero della elezione,
della felicità dei salvati, della festa inaudita per la sconfitta della morte,
per la bellezza senza fine. Il due Novembre versiamo lacrime sui morti ma già
il primo ci siamo confortati con i santi, noti e ignoti, eroici e nascosti, i
santi canonizzati direttamente da Dio nell’alto dei cieli.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Come si
vorrebbe che un papa santo ammaestrasse il mondo su tali questioni che toccano
il cuore dei viventi invece di dilapidare il tempo e il prestigio della
Cattedra di Pietro per titillare la ideologia terrena. Un arguto ha scritto
sulle orme magrittiane che «questo non è un papa, solo un Dario Fo». Ma la Catholica non può cedere
agli scherzi surrealisti. È un papa sì, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un papa in soggezione nei confronti del mondo
come ce ne furono altri. Per un Leone I che difende la sua diocesi e ferma
Attila con la sua maestà se ne hanno schiere di poco eroici. A cominciare da
Pietro che abbandona il suo gregge a Roma e se ne vorrebbe tornare a casa. Per
finire con Giovanni XXIII allegro bonario e sempliciotto mentre perseguitavano
le sue pecore cristiane nel mondo orientale, nei Lager che lì si chiamavano
gulag, senza che lui osasse dire una parola. E lo hanno fatto pure santo,
quindi c’è sempre grande speranza nella Chiesa di Roma. I cattolici non
scomunicano il loro pontefice, non fanno scissioni, non se ne vanno in cerca di
un nuovo guru. I cattolici dovrebbero saper ricorrere all’orazione. Qui fecit
coelum et terram può anche trasformare un rozzo pastore sudamericano che
diffonde il pensiero mercificato dei mass media in un santo che illumini con la
favella di papa Gregorio Magno il nostro tempo funereo, facendo intravedere
perfino attraverso il linguaggio digitale le promesse meravigliose (e i rischi
davvero infernali) della Chiesa cattolica per i suoi morti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"> <span style="mso-spacerun: yes;"><br /></span></span></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-54589703785507112002014-07-10T14:20:00.001-07:002015-02-25T00:06:29.968-08:00«In opprimente beatitudine»<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><span style="color: #666666;">~
QUANDO LA CAPITALE CATTOLICA</span><br />
<span style="color: #666666;">SI
OPPONEVA AL MONDO / 2<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>~</span><br />
<span style="color: #666666;">~ DAL
DIARIO DI KARL EUGEN GASS ~</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Più che
un viaggiatore fu uno studente in Italia, Karl Eugen Gass (1912-1944), allievo
prediletto di Curtius, venuto a completare le sue ricerche alla Normale di Pisa
e successivamente a Roma per lavorare come bibliotecario di eccellenza a
Palazzo Zuccari presso la
Hertziana; infine strappato alla città eterna dalle vicende
belliche e spedito dalla Germania nazional-socialista a combattere nel Nord
Europa dove perse la vita.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Ma non
scendeva nella penisola soltanto per perfezionare i suoi studi di romanistica o
per calcare le orme dei grandi tedeschi. Nelle prime pagine del suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pisaner Tagebuch</i> (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Diario pisano, 1937-1938</i>, a c. di M. Marianelli, Pisa 1989) lo
aveva scritto esplicitamente in una specie di programma: «qui in Italia sarà
mio compito specifico riflettere su quella realtà che è la Chiesa nel nostro mondo
d’oggi» (p. 9). Lui era protestante ma, nel contrasto tra «il mondo d’oggi» e
il cristianesimo bimillenario, alla Chiesa cattolica anzitutto guardava.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Del
resto così sintetizzava l’umanesimo che venerava e che tentava di ricostruire
storicamente: «l’intento pio di non lasciare inutilizzato nulla di quella
preziosa eredità che nel breve respiro della nostra storia i migliori e i più
giusti tra noi hanno accumulato, per restituirla come possesso vivo all’epoca
attuale» (p. 36). Chi meglio della Chiesa di Roma – affermò una volta
Hofmannsthal – sarebbe stato l’aureo tramite tra l’antico e l’attuale? L’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Andreas</i> hofmannsthaliano era uno dei
due libri iniziatici del suo pellegrinaggio. L’altro scritto che guidava Gass
in questo regno del passato era il saggio di Borchardt sulla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Villa</i>, il mai troppo celebrato
discorso che introduceva le distinzioni fondamentali sulla natura in Germania e nella Penisola (alla luce di una religione venata di paganesimo latino): <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Villa</i> e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Andreas</i>, i due <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>testi che
meglio introducono nel Novecento l’animo tedesco all’italico approdo. In quel
tempo, Borchardt lavorava, a modo suo, a una «scienza del medioevo» che
nell’animo del giovane bene si accordava con il «medioevo latino» del suo
maestro alsaziano, ma l’eccentrico ebreo-tedesco disse subito, nel loro primo
incontro, di conoscere appena il nome di Curtius.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Sugli
italiani, Gass rovesciava critiche e giudizi taglienti, come capita ai giovani
che guardano con occhio acuto un mondo ammaliante quanto alieno. Talvolta
esagerava, secondo il solito andazzo tedesco per il quale, anche sotto le bombe
che distruggevano la Germania,
Curtius sosteneva che solo i tedeschi fossero capaci di «pensare in senso
storico», mentre Heidegger riteneva addirittura che solo i tedeschi sapessero
pensare; Gass si limitava ad argomentazioni polemiche come quando, per
avversione a Croce, accusava la filosofia italiana di «astrattezza», quasi
dimenticando che l’Idealismo fu invenzione tedesca e altrettanto germanico è il
vocabolario filosofico moderno, vòlto a tradurre l’‘indicibile’, anche nel
gergo che si vuole ‘esistenzialista’; più tardi comunque renderà omaggio al nostro filosofo (e a sua volta Croce lo gratificherà con una recensione siglata con le
iniziali «b.c.» su «La Critica»,
recensione, </span><span style="color: black;">in verità alquanto
maligna, </span><span style="color: black;">del testo di una conferenza tenuta all’Hertziana dal giovane studioso [anno 1940, n. 38]). Qua e là
tornava infatti il vizio teutonico per cui l’Italia è adorabile ma gli italiani
costantemente da correggere, per cui meglio sarebbe affidare il Belpaese alle
mani dei tedeschi quasi che la penisola germanizzata potesse mantenere in tal
contorto modo quel fascino che i tedeschi sono i <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>primi ad apprezzare. Curtius stesso glielo
ripeteva spesso: Roma ma non gli italiani (non c’era che Hofmannsthal a rivendicare
l’onore dell’italianità e un po’ di sangue lombardo). Se filosofi e politici
arrivarono a concepire teoricamente una simile conquista del Sud, i letterati
non vantavano primati e non auspicavano occupazioni militari, pretendendo
soltanto di sottoporre alla propria scienza quei poeti e artisti italici che
altrimenti sarebbero stati incomprensibili, a parer loro, nell’arruffato,
dilettantesco, impressionistico pensiero degli indigeni. Insomma, ormai i
tedeschi sembravano essere gli unici in grado di comprendere i grandi italiani.
Anche i francesi, benché «amabili» e scintillanti, non fosse altro per via dei
venerati Rivarol e Baudelaire,
apparivano a Gass comunque confinati in un girone inferiore: a loro, nonostante
«la buona volontà, certe esperienze debbono restare inaccessibili» (p. 44). Non
restava che la Germania,
l’ultima arrivata nel gran teatro culturale d’Europa, a perfezionare l’eredità
tramandata nei millenni: la poesia tedesca del suo evo migliore, il mezzo
secolo tra 1780 e il 1830, poteva – dirà l’allievo di Curtius – arricchire
incomparabilmente i latini in fatto di umanità.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Questo
andava elaborando nelle sue carte, distaccandosi da quella eletta schiera dei
normalisti italiani che di lì a poco rifulgeranno nelle maggiori università
dell’Occidente, fiutando però la levatura di Contini, compiacendosi di
romitaggi romantici, di confraternite germaniche, di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Bruderschaft</i>, piuttosto indifferente davanti a quelle stanze
progettate dal Vasari e offerte generosamente in prestito agli studenti benché più
simili a una augusta dimora che a un collegio universitario. Anche nell’arte
italiana, intorno alla quale mostrava subito un notevole intuito, cercava
percorsi personali e solitari (sebbene molti siano i nomi warburghiani) . Ma
Pisa, le città e i paesaggi italiani, e soprattutto Roma trasformeranno i suoi
pensieri, le teorie della scuola di Curtius perfino, la sua stessa vita.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">A
Firenze, nella chiesa dell’Annunziata, assiste a una messa solenne della notte
di Natale. Il latino che vi risuona, il ruolo ieratico del sacerdote, lo
portano a impegnarsi per fare «della sua stessa vita un servizio divino» (p.
121). Appena entrato nel tempio fiorentino, si lamenta, come spesso i tedeschi,
per la freddezza dell’architettura italiana, mancando delle decorazioni che
tanto incantano i nordici, alla maniera dei viennesi che, al termine del più
gustoso pasto, pretendono come piccoli golosi il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">décor</i> dei dolcetti finali, un poco di panna lì, un poco di stucchi
qui. Si interroga pertanto sulla sontuosità dell’Annunziata e «su che mai
questa chiesa» potesse rappresentare per un ragazzo povero «di precoce
sensibilità o per una ragazzina forse cresciuta in un ambiente totalmente privo
di bellezza, nel gelo, nella sporcizia, nell’indigenza. Certo, un interno come
questo deve comunicar loro una sorta di rapimento mistico e insieme la
convinzione che esista un mondo più nobile e soprattutto più bello, dai colori
più smaglianti, dai profumi più intensi, che sta oltre il mondo di fuori, oltre
la lugubre strada invernale percossa dal vento freddo e così pungente. E quale
mai dovrà apparire ai loro occhi l’ordine delle sfere, e la realtà del mondo spirituale!
Senza dubbio saranno cose ben diverse da quell’interiorità protestante che in
nome della purezza del divino rifiuta ogni forma di trasfigurazione di questo
nostro mondo creaturale, rigetta ogni possibilità di potenziare, di
spiritualizzare questa nostra potente esistenza terrena, fidando, in tutta
schiettezza e in tutta umiltà, nell’opera redentrice della pura fede.
Sviluppandosi, gli istinti si divaricheranno necessariamente e nessuno potrà
più ignorare se lui stesso o i suoi antenati si siano inginocchiati davanti al
fulgore scarlatto di una corona di candele o davanti a uno spoglio altare di
legno. Solo perché era cattolico Baudelaire potrà scrivere le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fleurs du Mal</i>» (pp.150-151). [Come nel
precedente articolo di questo «Almanacco», ritroviamo Baudelaire frutto della
liturgia cattolica:<a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/2014/06/resistenza-romana.html"> qui</a>]. Rapida metanoia in una mezzanotte santa: tra l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Introibo</i> e il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Deo gratias</i> di una messa di Natale, le iniziali preoccupazioni
degli eterni pauperisti, quelle preoccupazioni che discendono dal puritanesimo
protestante, trovano nello splendore del millenario rito le più vivide
risposte. Una pagina, sia detto tra parentesi, che dovrebbe esser consigliata
all’attuale capo della Chiesa cattolica affinché sia liberato dalle più
estenuanti credenze nei luoghi comuni imperanti. Si eviterebbe così anche di
strappare ai popoli meridionali la loro più immarcescibile fede nel fasto e
nelle processioni taumaturgiche benché intrise di paganesimo e talvolta di
peccaminose abitudini, affinché per presunzione di adunare una comunità
angelica, eticamente corretta e soggetta alle laiche leggi, non si uccida, nei
tormenti dell’umana natura, la residua speranza cristiana di salvezza.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Viandante
in Italia come si è tutti viandanti nel breve soggiorno su questa terra, Gass
giunse a Roma. Se il maestro in umanesimo aveva poca dimestichezza con la città
dei suoi studi, la ammirava prevalentemente nei libri e si era lasciato
prendere di tanto in tanto dagli estetici sortilegi fascisti, l’allievo che qui
venne a soggiornare, a studiare e a lavorare considerava la romanità fascista
una violenza alla tradizione, solo quella cattolica essendo l’erede della
civiltà imperiale e medioevale. Iniziava il suo diario romano secondo le
prescrizioni di Winckelmann, volgendo cioè gli occhi al cielo, raccontando quindi
ai compatrioti che non avevano mai valicato le Alpi i colori incredibili dell’atmosfera
locale, la luce unica. Questi «Appunti degli anni romani. 1939-1942» sono
contenuti in un volume di traduzioni che contiene l’epistolario con Curtius, le
lettere alla moglie, gli appunti sparsi, i diari di guerra, una sorprendente
raccolta di articoli sulla letteratura italiana del suo tempo e un raro
ritratto dell’autore schizzato dal primo dei due curatori: E. R.
Curtius - K. E. Gass, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Carteggio e altri
scritti</i>, a cura di Stefano Chemelli e Mauro Buffa, La Finestra editrice, 2009
(un prezioso volume che deprediamo copiosamente e raccomandiamo ai nostri pochi
lettori insieme all’intero catalogo delle nobili edizioni che si apparecchiano
nella tridentina Lavìs).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">«La
verità, che davanti a me sta l’unica città europea nella quale si può parlare
di una unità della nostra storia», così s’apre il suo diario, celebrando
quell’unità «fruttuosa» più alla periferia che non al centro. Però «non si sta
seduti come uno spettatore davanti a una ribalta, ma ci si sente sopraffatti,
al centro di un ambito di scene in costante pericolo…». Sopraffatti, in
pericolo: provare a raccontarlo oggi ai turisti compiaciuti! Né il ventenne
tedesco contrappone al canto della gloria passata il grido di spavento, come accadde
ai padri fondatori della scienza delle emozioni, a cominciare da Jung che
crollò atterrito alla stazione di Zurigo appena acquistato un biglietto
ferroviario per Roma. Con tono fermo Gass afferra i caratteri dello scontro in
atto: «La preferenza dei tedeschi per Roma è difficilmente comprensibile poiché
c’è appena una seconda città che impersona così tanto tutte le forze
antitedesche» (p. 159). La battaglia tra Roma e la Germania, il cattolicesimo
come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il vero avversario della violenza
imperiale: possiamo leggere in questa chiave l’ostilità del nunzio Pacelli e
poi papa con il nome di Pio XII verso il
socialismo tedesco che vuole dominare l’Europa?<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Ostilità di un dotto uomo latino che ben conosce l’avversario. Già Pio
II, ben prima della ribellione luterana, teneva d’occhio la continua rivolta
della cristianità germanica ammaestrando sul carattere fruttuoso del potere
romano proprio per la periferia nordica.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">In quella medesima epoca novecentesca
Carl Schmitt scrutava le forme del dominio cattolico, il fenomeno del conclave
per cui il «pastore abruzzese» democraticamente eletto diviene il signore
assoluto dell’universo spirituale, sottolineando soprattutto quel perenne umore
antiromano che si respirava più che mai nel mondo moderno, quella insofferenza
per la forma.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Aggiungeva
Gass, subito dopo la messa in scena del nuovo scontro Chiesa e Impero
germanico, che proprio del presente stava parlando: «La tensione fondamentale
carica del peso del destino della storia recente, tra l’antica tradizione che
continua a vivere e la forza del popolo germanico tendente al dominio, diviene
solo a Roma un problema che si autoimpone. Visto dalla Germania e da ogni
giovane nazione il conflitto non ha mai una realtà pienamente valida, sebbene
venga conosciuto dolorosamente nei suoi effetti, poiché l’antichità sembra
qualcosa di morto, passato, superato, e tutto il diritto vitale viene assegnato
ai popoli del nord. A Roma invece il mondo antico si mostra nella sua potente
realtà che non è tramontata perché la sua concezione politica, l’impero romano
[…] ha trovato nella chiesa cattolica un esponente del suo bene spirituale.
L’originale sentimento del luogo a Roma è quello del centro» (160). Ne consegue
che se quel «centro» viene sottoposto alla periferia del mondo non si tratta di
una santa umiliazione o di un francescanesimo arrabattato, bensì dello
sconvolgimento della teologia politica, della distruzione dell’universalismo
cattolico. Postilla infatti il visitatore della Roma anni trenta: «In esso
[centro] alberga l’unità e la durata, alla periferia appartengono le molteplici
forme della testimonianza. Chi si dedica all’universale è di casa a Roma: il
sacerdote e l’artista. Invece Mussolini e la sua politica nazionale si trovano
in una Roma fittizia del tutto eccentrica. […] Da nessuna parte si fa
riferimento in maniera così forte al nucleo religioso di tutta la filosofia
della storia, nel punto sul quale la storia diventa tribunale» (p. 160).
Passando al crepuscolo accanto al Colosseo, anche in autobus, ne proverà la
soggezione sublime e allo stesso modo con cui aveva parlato di «sopraffazione»
e di «pericolo» dirà<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quasi in un verso:
«L’ora lascia battere il cuore in opprimente beatitudine» (p. 165).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il
Venerdì santo si trova ad assistere ai preparativi di una cerimonia in
gregoriano nella chiesa fine ottocento di Sant’Anselmo all’Aventino, un’abbazia
benedettina fondata sul sogno restauratore di un nordico visionario, il belga
dal nome germanico, Ildebrando. «Nella vuota neomoderna spoglia chiesa sta un
monaco nero davanti al pulpito e canta il testo in modo antico e modulato. A
parte nel banco siedono un anziano maestro, un secondo scolaro e un religioso
che gusta la scena con un sorriso pieno di comprensione. Di tanto in tanto il
maestro interrompe per correggere, per dare suggerimenti tecnici, o anche per
cantare egli stesso con una voce magnifica. Ẽ un tedesco. Il volenteroso
scolaro dopo un po’ viene congedato con poche parole di incoraggiamento, con
cortese urbanità ma anche con tutta la durezza di un’elaborata disciplina. Ẽ
come se mi fosse stato tolto improvvisamente un velo e l’essenza spirituale
della vita dei religiosi e dei monaci, per un attimo, mi è visibile» (p. 166).
In quella stessa chiesa dove Gass vedeva plasticamente il rapporto maestro
allievo che fonda l’umanesimo, tre decenni dopo una donna illustrava
magistralmente la disciplina liturgica ancora in auge, e per l’ultima volta,
tra quei monaci: Cristina Campo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
domenica di Pasqua spettava alla basilica di San Pietro. Gass era capace di dar
nome a quella possente calma che si respirava nelle forme ‘classiche’ di
Michelangelo e di Bernini: «un sentimento di felicità che è miracolosamente
reso possibile con una sicura <i style="mso-bidi-font-style: normal;">consapevolezza
di sovranità</i>» (corsivo nostro). Qui avvertiva «la sensazione che il tesoro
conservato nella chiesa con i suoi beni spirituali e religiosi è
insostituibile, una ricchezza che spero nessuno dissipi a cuor leggero» (p.
167). Il ragazzo preoccupato per il dissolvimento della tradizione simbolica e
materiale che adesso si realizza con il plauso della allegra opinione pubblica
veniva da un paese che sarà successivamente considerato d’estrema barbarie. Si
deve essere davvero ostinati per continuare a credere al progresso.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Capiva
quel ragazzo che «gli italiani a differenza dei francesi hanno un gran gusto –
hanno in tutte le idolatrie della forma il senso<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sopra</i>
e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">sotto</i> per la costruzione del
tutto, senso universale religioso-metafisico» (p. 168). I francesi infatti, i
moderni per eccellenza, aboliscono le frontiere sopra/sotto, i romani, i fedeli
alla Chiesa di Roma, ne restano gli eterni custodi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il
soggiorno nella capitale cattolica si interrompe per via della guerra. Gass che
aveva concepito pur nella massima tensione morale la vita come «festa continua»
si prepara alla morte per la patria. Strada facendo un altro maestro, forse più
adatto a quell’avventura, si fa avanti: Ernst Jünger.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma Roma non scompare. Diviene talvolta un
sogno. O il modello.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">In giro
per l’infernale Europa bellica, «se si viene da Roma, è penoso constatare come
quasi tutte le costruzioni siano delle imitazioni, qui la cupola di San Pietro,
là una del Borromini» (p. 251), avrebbe potuto aggiungere l’onnipresente
Pantheon.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">In una
pagina del «Diario di guerra»: «Sentita ora un’inquieta nostalgia per l’Italia,
come se lì ci fosse una patria, non oggetti d’arte in particolare, bensì
l’essere mediterraneo. Conosciute là le nobili radici della vita, la sua
semplice e però dotta bellezza» (p. 199). Conosciute là, a Roma, «la città
nella sua più sensorea realtà, colori, odori, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>gusto che davano uno sfondo all’esistere, come
non c’è più in Germania» (p. 211). «Da quando l’antichità è divenuta a Roma
così evidente, ancor più della letteratura mi parla la sua presenza» (p. 205).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Il 4
giugno 1944, gli anglo-americani entrano a Roma. Gass scrive alla moglie il 10
dello stesso mese: «Davanti a me c’è la tua lettera di lunedì, scritta dopo che
hai saputo la notizia della presa di Roma. Mi ha molto toccato che ti abbia
colpito così tanto. Innanzi tutto è consolante che la città sia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>risparmiata. Di fronte al suo patrimonio, chi
la possiede per un periodo è quasi indifferente: il suo più grande mistero è
quello di durare nel tempo. La città circondata dalle sue mura è come una
potente urna attraverso la quale la corrente del tempo scorre eterna e senza
fine. Di fronte a questa potente esistenza, antichissima e appena attenta al
piccolo animale umano, c’è la malinconia delle rovine private di ogni sgomento:
la cosa singola è caduta e passata, la connessione del tutto rimane tuttavia
inviolata. Perciò Roma è un tale simbolo sacro della nostra patria europea […].
Come si spiega il mistero che il paesaggio romano ti instilla una tale
nostalgia di casa, come nessun’altra città può? Sta di fatto che a Roma ogni
pietra ti spinge fuori del piatto grigiore quotidiano: si vive in un mondo per
il quale valgono misure diverse dalle solite, quelle di una più alta,
benedetta, umanità. […] Ci sono posti su questa terra nei quali la dimensione
degli dèi e dei loro eroi è diventata realtà» (pp. 292-293). Due giorni dopo,
in un’altra lettera alla moglie, raccontava di una Roma che tornava a visitarlo
in sogno, su un tram «sporco e sconquassato» che usciva da Porta del Popolo e
percorreva la Via Flaminia
tra ville rinascimentali e gli «squallidi edifici sontuosi della Roma umbertina»…</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">In un
altro scambio epistolare con Ilse, la donna che aveva sposato nella capitale
cattolica: «Devo ancora riflettere su quanto per noi Roma fosse piena di
presente» (p. 304). Ultima immagine che lo sottraeva per degli istanti al
trionfo della morte tra i ragazzi europei. Qualche settimana più tardi restava
ucciso in Olanda.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;"></span><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-18909989624469433382014-06-19T02:34:00.000-07:002014-06-19T04:28:22.773-07:00Resistenza romana<span style="color: #666666;">~
QUANDO LA CAPITALE</span><span style="color: #666666;"> CATTOLICA</span><br />
<span style="color: #666666;">SI
OPPONEVA AL MONDO </span><span style="color: #666666;">~</span><br />
<span style="color: #666666;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>~ DAL
DIARIO DI JULIEN GREEN ~</span><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<!--[if gte mso 9]><xml>
<w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156">
</w:LatentStyles>
</xml><![endif) }
</style>
<![endif]--><!--[if gte mso 10]>
<style>
/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
</style>
<![endif]--><span style="color: black;">Nel
paludoso terreno del Nuovo Mondo fondato principalmente sulle fortune
pecuniarie anche la Chiesa
cattolica, e già molto prima del pasticcio conciliare – lo si è visto nel
precedente articolo dell’«Almanacco» con il reportage anni Trenta di Mario
Soldati – cedeva ai sincretismi, ne pareva quasi costretta dai meccanismi della
modernità. Però va pure sottolineato che, nei medesimi anni, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’alma città di Roma restava eroicamente al di
sopra della mischia del Novecento. Nonostante che, dal 1870 in poi con l’invasione
italiana del più antico stato d’Occidente, l’Urbe si spaccasse in due, nonostante
la convivenza forzata della città santa con la città dei massoni prima e con la
città dei fascisti dopo, nonostante l’annacquamento dell’universalismo
millenario per il veleno nazionalistico iniettato nelle sue vene urbane, la Roma più piccola per estensione, asserragliata nella valle dove fu sepolto Pietro, era quella a cui si guardava da tutto il pianeta.
Svettava sulle miserie dell’epoca, mostrava autorità, bellezza, saggezza, sapienza.
E una dignità unica con la quale resisteva alle cadenze del nuovo, alle
attrazioni del precipizio. La capitale della forma era, allora, del tutto
indifferente agli espressionismi montanti.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Roma
restava avvolta dal mistero e si ammantava di oscuri significati simbolici. Ne
approfittavano anche importanti letterati, pronti a scendere nei sotterranei
vaticani per evocare ed equivocare quei segreti dell’eternità, speculandoci
romanticamente, giocando in modo facile sull’accostamento del sublime al
tenebroso, al complotto sinistro, magari per mano gesuita o di monaci arcaici, come
già avevano fatto, sia pure<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con maggiore
rigore, gli autori primo Ottocento del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Viaggio
in Italia</i>, a cominciare dal magico Hoffmann nel suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Elisir del diavolo</i>. Manteneva, inoltre, l’oppido cattolico forti
legami con le antiche religioni pagane, dal momento che i sagaci padri della
Chiesa avevano strappato le cose buone alle credenze idolatriche per
accoglierle nel patrimonio apostolico. In pieno Novecento, dunque, capitale del
culto, corte degli emissari del trascendente, incaricati dal Dio incarnato di
tenere i rapporti tra Cielo e Terra, di rappresentare quella incarnazione nella
storia, di ospitare il vicario del Verbo fatto uomo, ovvero colui che ne
continua l’opera sua su questo mondo, nella lunga attesa del suo ritorno,
disbrigando gli affari correnti e straordinari, talvolta atroci, dell’umanità,
cancellando e perdonando il male umano, indicando il culto angelico,
anticipando quaggiù, sulla tomba del «Principe degli Apostoli», come si amava
ancora dire, le liturgie del Paradiso. Che effetto poteva fare tutto ciò a un
letterato parigino turbato dal mistero della carne? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Convertitosi
a sedici anni dal protestantesimo alla religione di Roma, cattolico entusiasta
fu Julien Green, eroico come molti convertiti; eppure a venti se ne allontanò, l’attrazione
omosessuale parendogli più prepotente. Ci mise del tempo per rientrare nell’alveo
cattolico, per misurarsi con le proprie tentazioni, per vivere in modo
aristocratico l’omofilia, per conciliare il gusto dell’universo maschile con la
morale di Roma. Quando nel 1935 scende sulle rive del Tevere è dunque <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>critico verso la rigidezza di questa religione
fedele ai precetti biblici. Diffidente verso la veneranda istituzione. Eppure
se apriamo il suo <i>Diario</i> al volume che va dal 1935-1939 (traduz. italiana di
Libero de Libero, Mondadori, 1946) leggiamo il racconto di una seduzione.
All’epoca del viaggio, il mondo si incamminava nella via crucis del nuovo conflitto mondiale, il secondo in pochi anni. Basta qualche riga del suo taccuino per
ritrovare col senno di poi le anticipazioni di quel suicidio europeo. Notiziole
che precedono leggere il rimbombo della più devastante guerra mai combattuta su
questa terra. «<i>6 febbraio 1936</i>. - <i>Ciapaiev</i>, film russo che si proietta al
Panthéon. Episodio della guerra fra russi bianchi e rossi. Il pubblico applaude
con trasporto il massacro dei soldati bianchi. Ciò mi ha disgustato e me ne
sono andato prima della fine protestando a voce alta. Sono dell’opinione che
tanto qui come altrove la folla è proprio sinceramente <i>incivilizzabile</i>» (p.
49). Oppure, passando dal cinema alla realtà: «<i>24 luglio 1936</i>. - Da una
settimana è scoppiata la “rivolta spagnola contro il bolscevismo”. Notizie
scoraggianti. Ieri alcuni comunisti hanno decapitato tre gesuiti e ne hanno
portato in giro le teste su vassoi d’argento, tra gli applausi di una folla
delirante.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Un po’ dovunque, villaggi
saccheggiati, chiese in fiamme e preti sgozzati» (p. 56). E spostandoci
nell’isola britannica dove pure regna ancora la pace: «<i>9 ottobre 1936</i>. - In
questa settimana l’Adelphi Terrace è scomparsa; un po’ della civiltà inglese
che se ne va. A Londra tutto quanto ha più di cento anni è minacciato. Si
sventrano giardini pubblici, si demoliscono chiese» (p. 60). I bombardamenti
completeranno l’opera. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Lontanissima
se non dal mondo – come diceva del suo eremitaggio un monaco del Monte Athos –
dalle banalità del mondo, dai discorsi inconcludenti, dai progetti nichilisti,
appariva Roma. «<i>11 aprile 1935</i>.-<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>A
Roma. Ẽ ridicolo non essere completamente felice qui. […] Stamane a San Pietro.
Troppo oppresso per capire, per vedere anche. Tutto in questo edificio tende a
sbalordire, a intimidire il visitatore…» (p. 15). Si agitano i fantasmi
puritani, i dubbi tormentosi del protestantesimo dell’infanzia.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Torna l’eterno sospetto che la città sia
rimasta la capitale del paganesimo, secondo la più scontata delle
interpretazioni. Un gigantesco problema per le anime semplici, Il frate sassone
se ne afflisse nel suo convento agostiniano come nella sede di Pietro. La Babilonia, la Grande Prostituta.
Ribelli e senza speranza non ne afferravano i caratteri straordinari: il
«general intellect» dell’ultraterreno, la centrale strategica della conquista
del Paradiso. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">«<i>4
aprile</i>. - In San Pietro per la cerimonia delle Palme. Il clero attraversa la
basilica in tutta la sua lunghezza dentro una nebbia di incenso. Due cori si
rispondono, quello della processione e quello d’una tribuna nei pressi
dell’altar maggiore. Effetto stupendo.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>[…] Non posso fare a meno di pensare che in tutto ciò ci sia un ricordo
del Tempio, poiché la Chiesa
è la memoria dell’umanità» (p. 15). Nel cuore della corte suprema dove
risiedevano i custodi della tradizione e, allo stesso tempo, gli araldi di quel
nuovo assoluto che è il messaggio evangelico.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">«<i>17
aprile</i>. - A San Giovanni in Laterano. C’erano canti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che mi hanno commosso a tal punto da farmi
cadere in ginocchio insieme a tutti. […] Ero andato a guardare il soffitto
dorato e i grandi mosaici, e quella liturgia m’ha scombussolato» (pp. 15-16).
L’arte come squisito pretesto, l’aperitivo di cui parlava Baudelaire.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">La
liturgia della Settimana santa<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non aveva
ancora subìto la riforma/semplificazione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dei primi anni Cinquanta. Molti dettagli dei tanti riti accessori che si
svolgevano nella basilica vaticana<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sono
dimenticati ormai anche dai più vecchi di noi. «<i>18 aprile</i>. - Giovedì santo.
In San Pietro a veder lavare l’altare. Tale cerimonia richiama molta gente e
noi siamo entrati con difficoltà. Intorno a noi si parla a squarciagola. In un
angolo della basilica una fila interminabile di fedeli passa sotto la lunga
ferula d’un canonico semisvenuto per la stanchezza: è un grosso vecchio
pallido, vestito di moerro porpora con ermellino; la sua mano stanca fa un
gesto incerto per inclinare la ferula penitenziale sul capo di tanta gente.
Somiglia, sul trono, a un funzionario romano in un affresco di Piero della
Francesca. Frattanto i ceri si spengono e l’ultimo salmo ha termine. La folla
fluisce verso il grande altare barocco del Bernini. Enorme baccano. I fedeli si
mettono allegramente a chiacchierare; i canti vanno da un punto all’altro della
basilica, si rispondono, si richiamano e sembrano cercarsi come ciechi. Si
versa acqua sull’altare, dopo che uno strepito di tuono ha annunciato che
Cristo è stato catturato. Il clero si dirige allora verso l’altar maggiore. Tre
vescovi prima, poi il cardinal Pacelli asciugano l’altare con strofinacci di
paglia fissati a delle bacchette. Seguono altri prelati (fra essi un parente
del re di Sassonia), canonici e beneficiati, alla fine ragazzi del coro che non
interessano nessuno. […] Il cardinale passa proprio in quell’istante. Ha una
dignità stupenda, con grandi occhi fissi e un che di strabico nello sguardo.
Faccio appena in tempo a riconoscerlo, poiché cammina svelto e scompare quasi
subito. Dietro un filare di ceri accesi, un prete da una tribuna mostra il velo
della Veronica e la Sacra Spina.
Proprio a me vicino, un giovane ecclesiastico prega, con gli occhi chiusi, il
volto esangue, piuttosto simile al ritratto di San Benedetto Labre che ho
visto, il giorno prima, a Palazzo Corsini. […] Esco e mi ritrovo sotto il
colonnato del Bernini, incantato e insieme sconcertato. Ma che m’aspettavo?
Speravo forse che il cielo s’aprisse?» (p. 16). C’è u</span>n gioco di rimando
con l’arte: dai palazzi e dai musei i personaggi dei dipinti si specchiano nei
prelati e nei fedeli che animano i riti. Si ripetono <span style="color: black;">le
mirabilia Urbis che mossero milioni di pellegri</span><span style="color: black; font-family: Garamond;">ni. Il «vecchiarel canuto e stanco» di Petrarca che «</span><span style="font-family: Garamond;">viene</span> a Roma, seguendo ‘l desio, per mirar
la sembianza di colui ch’ancor lassú nel ciel vedere spera». Ossia quella
reliquia della Veronica la cui ostensione oggi avviene nel disinteresse di
turisti perplessi, accecati dalle immagini del digitale.<span style="background: yellow; mso-highlight: yellow;"></span> <span style="color: black;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
« [A Frascati, nella Villa
Mondragone, allora noviziato dei gesuiti]. Dalla finestra scorgo l’immensa pianura
bluastra in mezzo alla quale Roma fa una grande macchia rosa.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ho pensato agli allievi e ai professori che
sbadigliano dinanzi a quel paesaggio meraviglioso» (p. 20). Al Pincio c’è «una
gioia tale nell’aria che non ho potuto resistere a lungo al contagio».<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nella chiesa sulla Via Appia contempla il san
Sebastiano cui il tempio è dedicato: «sta sdraiato sotto un altare in una di
quelle pose voluttuose che giustificano il malumore dei protestanti a Roma, ma
è bellissimo. Troppo bello. Ẽ un Apollo che fa degnamente il paio con la Santa Teresa in Santa Maria
della Vittoria. Il dio pagano s’è infilato in una chiesa pagana per dormire
tranquillamente sotto l’altare del suo rivale» (p. 21).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ancora patemi d’animo nel separare le forme
pagane da quelle cristiane. E se invece<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>l’incarnazione consistesse nel prendere oltre che l’involucro umano
anche le forme pagane, la beltà degli antichi trasfigurata dalla promessa
biblica, dalla Rivelazione?</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Già si
parlava di capitale dell’immateriale, ma era proprio così? I corpi avevano un
ruolo essenziale in questa santa religione. «<i>7 maggio</i>. - Roma. San
Bonaventura, non lontano dall’arco di Tito, è una chiesa piuttosto
insignificante, ma che cela sotto i suoi altari, singolari reliquie. Bisogna
chiedere la sagrestano un lume e lui vi darà un candeliere del quale ci si deve
contentare. Coricato in una bara di vetro, sotto il primo altare, uno scheletro
in perfetto stato ostenta una posa elegante della quale non si osa sorridere:
ha le gambe incrociate e con un gomito riposa su un cuscino rosso, la testa
vuota s’appoggia su una mano delicatamente piegata. Ẽ vestito pressappoco come
un cantante in un’opera del diciottesimo secolo: il torace chiuso in una
corazza di tulle e di ricamo d’oro, il cranio impennacchiato di piume bianche
un po’ grigie, le rotule ornate di roselline. Ẽ San Floriano martire, che hanno
bardato in quel modo duecento anni orsono.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">«Una
donna gli sta dirimpetto sotto il secondo altare, vestita invece d’un grazioso
abito azzurro di re di rose rosse che avrebbe incantato Nattier. Nella sua mano
guantata di tulle<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>argenteo un fiore di
vetro che lei sembra odorare. Per sostenere il peso della testa calva e
grinzosa, il suo braccio si appoggia con civetteria su dei cuscini rosa che
appena preme. Chi è? Non hanno saputo dirmelo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">«Finalmente,
sotto l’altar maggiore, una mummia spaventosa in un abito da bigello, e quella
cosa tutta calcinata dal tempo è quanto resta di San Leonardo, morto nel 1751»
(pp. 25-26). E qualche giorno dopo: «<i>22 maggio</i>. - Tornato a San Bonaventura
per osservare più attentamente i santi barocchi. Non si guarda mai così da
vicino senza che qualcosa vi sfugga. San Floriano porta, in verità, una corona
di rose, e ai suoi piedi sta il casco d’argento adorno di fasce da lutti; con
una mano regge una specie di palma di carta su cui è scritto il suo nome. La
santa che gli sta dirimpetto si chiama Colomba; la gonna è orlata di rosa
turca;<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i suoi guanti di filigrana
d’argento somigliano a guanti che portano le nostre donne oggidì. Così come
sono, l’uno e l’altra, quanto sarebbero piaciuti a Baudelaire» (p.32). Ma se
oggi Baudelaire si arrampicasse fino a questo conventino campestre in mezzo al
Foro Romano resterebbe deluso: dappertutto cartelli che enfatizzano una
‘spiritualità francescana’ piuttosto sentimentale; i corpi morti, nell’attesa
beata della resurrezione, restano ormai nascosti agli occhi dei fedeli. Lo
scandalo cristiano va occultato per rispetto delle mode e del mondo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Infine.
«Ieri sera, al cinema di piazza Barberini. Nell’intervallo il soffitto s’apre
in due come una porta scorrevole. Appare allora, sopra di noi, palazzo
Barberini con le sue finestre severe, chiuso in un sogno da cui noi siamo
esclusi…» (p. 32). <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: black;">Trent’anni
dopo l’universo cattolico era stravolto. Roma resisteva con sempre maggiori
cedimenti. Ma restava pur sempre fondata su un basamento granitico per opporsi
al mondo; la rocca, la pietra ne fu l’epitome. Green, tornato da lungo tempo
alla religione cattolica per restarvi fedele fino alla morte, assisteva
smarrito alla protestantizzazione dei ‘papisti’. Ma osava parlare ancora negli
anni Ottanta di «bile protestante». Eccentrico nella cultura del tempo. La Riforma non conquistava
più i cuori dei suoi fedeli ma irretiva i teologi cattolici, l’aveva vinta
sulle loro timidezze. Ci si vergognava infatti della gloria, del mistero. Guardando
indietro, Green si accorgeva che un «mezzo arianesimo» aveva ispirato i maestri
della sua infanzia, compresa la venerata madre: non riuscivano proprio ad
adorare il Cristo Dio, a piegarsi davanti al Crocefisso. Per loro Dio era una sostanza
e Gesù un’altra; ovvero, un uomo straordinario, non di più. La stessa critica
che Newman rivolgeva all’anglicanesimo. Adesso quella «mezza eresia» si
diffondeva tra vescovi, preti e catechisti post-conciliari. Per Green i dubbi giovanili
erano superati. Quel che aveva visto nelle basiliche romane lo mantenne
soggetto allo splendore cattolico per tutta la sua lunga vita di novantotto anni. I rapimenti dell’anima e del corpo avevano fatto cadere i
pregiudizi e le diffidenze. Le abitudini pigre erano abbattute dalla bella
forma. Al momento della riforma liturgica sottoscrisse l’appello romano di
Cristina Campo e quello britannico di Agatha Christie. Nel suo <i>L’expatrié. Journal
1984-1990 </i>(Ẽditions du Seuil, 1990), alla data<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>1° ottobre 1989 annotava: «Questa mattina, messa a Chaumont, sulle rive
della Loira. La chiesa, della fine del XIX secolo è in stile gotico, senza
mistero. Ma la messa – oh, meraviglia – è detta come si deve all’altar
maggiore. I bambini del coro sono in bianco dalla testa ai piedi. In latino i
canti, il simbolo di Nicea; il prete giovane, alto e largo di spalle, celebra
la messa in modo tale che mi vedo di nuovo nella Chiesa cattolica verso la
quale sono andato con grande slancio di fiducia e di amore all’età di sedici
anni. Tutte le parole dell’officiante arrivavano distintamente fino a noi e ho
potuto notare che al momento della consacrazione, ha pronunciato quelle parole
che di solito, non so perché, vengono omesse e che riguardano le mani del
Salvatore: “<i>in sanctas et venerabiles manus suas</i>”. I fedeli cantavano in modo
conveniente come nei tempi passati. Non sono integralista, e lo sottolineo,
poiché l’integralismo ha preso una piega politica e si è separato dalla Chiesa,
ma apprezzo il beneficio di una messa che ci è restituita senza per questo
separarci da Roma. Sono stato così contento che ho chiesto di conoscere il
prete di questa indimenticabile domenica ed egli ha avuto la grande gentilezza
di recarsi da me. Ẽ un bretone dal colorito vivo e chiaro. Mi dice che la messa
non gli provoca alcun problema con il suo vescovo, il quale mantiene
saggiamente un atteggiamento equilibrato. L’effetto sui fedeli è stupefacente.
Come me, come molti altri, si sentono perfettamente a casa in questa messa
classica. Ricordo al mio interlocutore l’origine dell’altare nella sua forma
attuale: Edoardo VI era ferocemente avverso alla messa cattolica, qualificata
come sacrilega e blasfema nei trentanove articoli del<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>Libro della preghiera comune</i>. Benché
giovane – morì a sedici anni di un cancro alla gola –, era di una intelligenza
molto superiore e di un senso politico acuto. Aveva dunque capito che per
abbattere la Chiesa
in Inghilterra si doveva colpire la messa. In maniera assai logica, ordinò
allora, per sopprimere il sacrificio, la distruzione degli altari, che venivano
rimpiazzati da un modesto piccolo tavolo posto accanto al coro. Noi
tutti abbiam visto quel tavolinetto…» (p. 499).<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-76508478728093409622014-03-20T01:17:00.001-07:002014-07-17T06:43:20.220-07:00Riti americani<!--[if gte mso 9]><xml>
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</w:WordDocument>
</xml><![endif]--><span style="color: #666666;">~ SE LA CHIESA DI ROMA DIVENTA OLTREOCEANO</span> <br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #666666;">UNA SETTA PROTESTANTE. ~</span><br />
<span style="color: #666666;"> RACCONTAVA NEGLI ANNI TRENTA MARIO SOLDATI …~</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="mso-bidi-font-style: normal;">Pare ad alcuni cattolici d’esser giunti alla definitiva e completa protestantizzazione della Chiesa di Roma, una resa al verbo di Lutero di cui si incolpa il Concilio novecentesco e la cultura che ne è scaturita in questi ultimi decenni. Così è invalsa l’abitudine di mettere la sbarra che separa l’epoca in quei primi anni sessanta che videro l’assemblea universale dei vescovi rincorrere in modo patetico il mondo moderno. E sarà pure una giusta periodizzazione purché non si dimentichi strada facendo che il disorientamento moderno aveva inferto duri colpi alla Chiesa anche nella prima metà del Novecento, nonostante la forma resistesse, nonostante la corazza d’oro della tradizione contribuisse a darle un residuo fiato. E anzi, ben più indietro, già sul finire del XVIII secolo si erano verificati crolli mai visti nella sua millenaria storia, crolli delle architetture dottrinarie e istituzionali, crolli seguìti dall’arresto di cardinali e quindi del papa stesso, con la deportazione del pontefice, l’abbattimento del potere romano, la riforma del clero intrapresa dai vescovi passati dalla parte dell’impero, la dissoluzione della universalità cattolica sostituita dal nuovo mondo conquistato delle armate rivoluzionarie. Furono episodi storici, parentesi tragiche cui seguì il ritorno dei papi a Roma, la restaurazione della sovranità petrina, la riaffermazione in chiave dogmatica delle verità cattoliche, ma l’impianto era ormai fragile: a Chateaubriand bastò assistere a una messa pontificale del papa per avvertire un senso di morte nei Palazzi Apostolici. D’altronde, di lì a poco si registrarono altre devastazioni, il papa fu di nuovo imprigionato nel suo Vaticano, questa volta dalle truppe di uno staterello come il Regno dei Piemontesi. L'Europa non reagì. Insomma, neppure la fulgida ostinazione del beato Pio IX e dei suoi immediati successori nell’arroccarsi contro le lusinghe della modernità produsse frutti troppo proficui. L’isolamento di Roma, cioè, era più profondo di quanto apparisse in superficie, lo stesso termine ‘cattolicesimo’ copriva differenze notevoli, equivoci, avversioni segrete, semplici incomprensioni.</span></i></div>
<br />
<i><span style="mso-bidi-font-style: normal;">Senza approfondire la faccenda dal punto di vista teologico e filosofico – l’«Almanacco» si arresta sulla soglia della cultura cattolica, ne raccoglie appena qualche spunto storico –, ci piace portare la testimonianza di un letterato italiano negli anni trenta del Novecento, trascrivere la sua inquietudine di fronte alle metamorfosi della Chiesa di Roma oltreoceano. Benché educato dai gesuiti, anzi con una giovanile vocazione a entrare nella Compagnia, Mario Soldati in quegli anni si dichiarava agnostico, eppure nel suo brillantissimo </span></i>America primo amore<span style="mso-bidi-font-style: normal;"> </span><i><span style="mso-bidi-font-style: normal;">leggiamo un singolare capitoletto intitolato «Cattolici americani» dove si avverte che lontano da Roma, alla periferia esistenziale del mondo, anche la religione ‘papista’ viene contraffatta, suscitando la reazione del giovanotto che veniva dal Vecchio Continente. Qui in Europa, alla fine del Novecento, c’era chi provava scandalo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per il sincretismo degli «incontri di Assisi», e perfino un dottissimo prefetto del Sant’Uffizio se ne dichiarò perplesso; <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>negli Usa simili adunanze erano scontate sin dagli anni della fondazione.</span></i><br />
<i></i><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="mso-bidi-font-style: normal;">(Del racconto di Soldati riportiamo alcuni passi, con le tante maiuscole dell’autore, con i suoi vezzi di tradurre ‘street’ con l’italo-americano ‘strade’, dalla edizione Einaudi del 1945.) </span></i></div>
<i></i><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Mi ritrovai di passaggio a New York la mattina dell’otto dicembre: alcuni lettori penseranno subito che è la data dell’Immacolata Concezione, festa di precetto, obbligo di Messa. Mi era compagna una persona praticante. Lasciammo l’albergo Newyorker per andare alla più vicina Chiesa Cattolica, a 33 Strade. Ma giungemmo nel momento che la Messa era finita e ci scontrammo sulla soglia coi fedeli che uscivano avviandosi frettolosi al lavoro: l’America è un paese protestante e l’otto dicembre non è festa. La persona che mi accompagnava era seccata, non c’erano Messe fino alle 10, la mattina andava a soqquadro. Ma ecco si avvicina un signore grasso, occhialuto, tipico yankee, e orologio alla mano come per dare lo start in una competizione sportiva e per dire all’amico ritardatario che il treno parte tra cinque minuti: “C’è una Messa qui, all’angolo di 51 Strade e Settima Avenue, andate giù due blocchi, girate a sinistra, state attenti, la Chiesa non ha facciata, c’è una reclame luminosa, Padri Francescani, entrate dalla porticina…” […].</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«L’entrata della Chiesa era proprio come nella descrizione. In fondo al tratto di 33 Strade compreso tra l’Ottava e la Settima, dopo garages, tipografie, case di spedizioni, traffico di camions, operai in tuta che attendevano ai primi lavori del mattino: una réclame al neon, azzurra e vermiglia: The Capuchins – Franciscan Fathers – Roman Catholic Church.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«L’interno: pilastroni e ogive a fasciature complicate, stile gotico inglese, lo stesso delle chiese protestanti salvo il colore: una generale rivestitura di stucchi bianchissimi invece del nudo e cupo cemento. E sorprendevano, agli altarini laterali, le tradizionali statue di biscuit colorato, di San Giuseppe, dell’Addolorata, del Sacro Cuore, mazzi di fiori finti, i grandi piatti di stagno dove una moltitudine di candelotti infilati ardevano a varie altezze.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Conosciamo da anni le chiese cattoliche degli States. Eppure, ogni volta, il primo istante che lasciamo il marciapiede avventuroso e l’atmosfera violenta di una via di una città americana per entrare in una chiesa cattolica, ritrovarsi faccia a faccia con la vecchia iconografia transoceanica pare un goffo anacronismo, un assurdo macabro. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Ricordiamo che […] gli Stati Uniti da soli danno più soldi all’Obolo di San Pietro di tutto il resto del mondo cattolico messo insieme. […]</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-tab-count: 1;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«… il Cattolicesimo, in America, se volesse conservare lo spirito di Roma, se volesse essere un vero Cattolicesimo, ci starebbe come i cavoli a merenda e cioè non ci starebbe affatto. Per vivere deve trasformarsi sotto l’influenza della religione americana, diventare in sostanza una specie di setta protestante. Intendiamoci bene:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nulla di cambiato, nulla di eretico nel dogma e nelle formule. E i cattolici americani sono, quanto ad adempimento delle pratiche, infinitamente più esatti dei nostri. Probabilmente sono anche molto più buoni, più casti, più ordinati, più caritatevoli. Commettono molto meno peccati. Ma è più cattolico lo stile di una bagascia di Trastevere che quello di una monaca di Chicago. Gratta gratta, ha più fede quella di questa. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Non si arrabbi la Propaganda Fide. Tra il 1583 e il 1610 il padre Matteo Ricci S.J. convertiva trionfalmente i cinesi inventando un rito cattolico-cinese. Sulle sue orme, tra il 1605 e il 1656 il padre Roberto de’ Nobili conquistava il Maduré. E tra il 1672 e il 1693 il padre Juan de Britto il Malabar. A poco a poco tutta la Cina, la Concina e l’India furono in mano dei gesuiti, che non contrastavano, ma soltanto modificavano il culto locale, e si facevano passare in India per bramini e saniassi, in Cina per bonzi.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Frattanto, in Europa, i giansenisti menavano scandalo. I francescani e domenicani protestavano presso il Vaticano. E lungo tempo fu dibattuta la questione. Finché, nel 1742 (bolla <i><span style="mso-bidi-font-style: normal;">Ex quo singulari</span></i>) e nel 1744 (bolla <i><span style="mso-bidi-font-style: normal;">Omnium sollicitudinum</span></i>) Benedetto XIV proibì, sotto pena di scomunica, le cerimonie cinesi e i riti malabraici.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«I gesuiti obbedirono. E furono cacciati dall’India e dalla Cina, che tornarono a Brama e Confucio, perché di Brama e Confucio erano rimaste, nonostante da un secolo e mezzo invocassero la Madonna e ottemperassero irreprensibilmente alle pratiche essenziali della nostra religione. Benedetto aveva capito questo, e aveva preferito non annoverar pecorelle nella lontana Cina che accogliere sotto il proprio manto tutto un gregge di buonissime e zelantissime che però non erano vere pecorelle, bensì il frutto dei geniali trucchi dell’ardente Compagnia di Gesù. Ma si vede che nel secolo XVIII l’Obolo di San Pietro poteva fare a meno dei mandarini.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Un ciabbattìo mi riscuote: è entrato il celebrante. Tutti i fedeli, come un sol uomo, si levano. L’accolito, premendo alcuni bottoni, fa suonare campanelle elettriche simili ai segnali orari delle nostre radio. All’Introito tutti s’inginocchiano; al Vangelo si levano; al Laus tibi Christe siedono, ecc. compiendo queste manovre con una simultaneità meccanica, che da noi non troviamo neppure nei noviziati. Così si comunicano e così si confessano. Immaginiamo i peccati standardizzati che dicono. E del resto i sacerdoti americani non possono capire, classificare e perdonare che delle colpe, come dire? regolari. Un fervente cattolico europeo soffrirebbe a confessarsi da un prete americano: lo troverebbe, indipendentemente da severità e indulgenza, disumano.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Inversamente, i cattolici americani che vengono a Roma, non credono ai loro occhi: stentano a riconoscere nel nostro il loro stesso Cattolicesimo, nella Chiesa romana la Romana Chiesa; e devono compiere veri sforzi di buona volontà per non tornarsene a casa con la convinzione che il Vaticano sia culla di scandali ed eresie. Generalmente se la cavano con la teoria delle minoranze. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«“Siccome in Italia e in Francia tutti sono cattolici, si capisce che saranno cattolici non solo i buoni, ma anche i cattivi cittadini, i ladri, i libertini, le ragazze non tanto serie. Ma in America, al nostro paese, c’è la concorrenza coi protestanti e noi cattolici dobbiamo per forza mantenere una perfetta condotta morale, se vogliamo sostenere che la nostra religione è la sola vera. Oh! certamente… i cattolici americani sono i migliori cattolici di questo mondo!”.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Sono frasi che ho fonografate, dopo la Messa di mezzogiorno, uscendo dalla Basilica di San Giovanni in Laterano. Era d’estate: per tutto il tempo della Messa, all’altare dove si stava celebrando, due ragazzini seminudi ornarono i gradini della balaustra. Scherzavano, giocavano, si muovevano snelli e graziosi come bestiole, facevano le boccacce ai fedeli. Le pie signore americane erano al colmo dell’indignazione. […] Chi non ricorda i putti di Raffaello ai piedi della Madonna Sistina? Il mento in mano, i gomiti puntati, guardano distratti il pubblico con una innocenza che gli occhi delle vecchie miss, dietro le lenti e la grata delle dita incrociate, non ne hanno il più piccolo riflesso. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«<i>Roman Catholic</i>! La scritta al neon mi fa pena. Non per altro che per la tradizione, il decoro, la nostalgia di una fede che fu la mia. E mi fa pena la restrizione mentale e pittoresca di questi Capuchins (Cappuccini) che, per non contravvenire alla regola d’ordine e insieme non offendere troppo i gusti americani, portano pizzettini curatissimi e si<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rasano ogni mattina collo e gote.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Oh i bei barboni di via Veneto e del mio Monte! Dalla sagrestia odorosa di muffa e di incenso secolare, sotto un cartello oblungo, nero e oro, dove è ancora il Silentium dei pomeriggi del soleggiato Seicento, appaiono qua e là per gli stalli del coro, nella penombra marrone solcata da raggi polverosi, i solenni fratoni in preghiera. Volti scolpiti dalle gioie e dalle sofferenze della vita; orbite scavate in fondo a cui brillano le pupille come dal segreto abisso dei confessionali; barbe fluttuanti che paiono nascondere il bene e il male componendoli in nobili armonie: nei cappuccini italiani vive ancora, se non l’anima e la dottrina, un nostalgico fantasma della Controriforma.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Antica pace e verità, sommerse, come un ricordo della prima puerizia, nel fluire disordinato di tre secoli. Mai più potremo, a volta a volta, peccare e pentirci: uccidere chi ci è odioso sulla soglia di un convento e súbito, entrati, con sincere lacrime sentirci assolti. O San Pietro, primo degli Apostoli, caduti sono da tempo i Tuoi altari. Sotto il colonnato che Bernini Ti dedicò, ormai gli spazzini del governatorato puliscono accuratamente ogni mattina. La morale ha fatto passi da gigante. C’è una gran vigilanza: le serve a Te care più non osano nascondersi col focoso soldato tra colonna e colonna, le dolci sere di primavera. E le pellegrine americane arricciano il naso quando vedono i nostri Cappuccini: pensano al bagno quotidiano.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«<i>Panem nostrum quotidianum da nobis hodie</i>, il celebrante sull’altare aspira l’h di <i>hodie</i>. Glabri maggiordomi in tight passano stendendo tra i banchi le rosee mani: esigono da ogni fedele un quarto di dollaro. I cattolici poveri, in America, non possono entrare in tutte le<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Chiese cattoliche. Devono andare nelle loro chiese per i poveri diavoli, nelle chiese dei gangsters<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>perseguitati: delle mogli e delle sorelle dei gangsters, i giorni pericolosi che soltanto più la Madonna di Pompei può far la grazia e salvare Tony dalla mitraglia dei nemici o dalle manette della polizia federale. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Gli organizzatori, i dirigenti del Cattolicesimo americano sono corrotti fino in fondo dallo spirito<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>protestante. Nella maggioranza dei casi le forme sono salve e non possiamo intentare un processo alle intenzioni. Ma quando, sui giornali della domenica, la pagina riservata alla pubblicità dei Culti riunisce insieme ad una quarantina di sette protestanti e alle sette ebraiche e a quelle massoniche, l’annunzio delle funzioni Roman Catholic, dove questi due grandi esclusivi attributi sono stampati nello stesso carattere di certe abominevoli aberrazioni come Christian Science o i vari crocchi dei Teosofi – allora la nostra inconscia dignità cattolica si ribella, vincendo gli scetticismi: invochiamo da Roma provvedimenti disciplinari. Scomunicare, il Successor di Piero dovrebbe, scomunicare quegli eretici.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
«Proibire, il giorno della commemorazione dei Caduti in Guerra, proibire al Sacerdote cattolico di intervenire alla cerimonia e di recitare il nostro De Profundis accanto al borbottio del rabbino e all’enfasi del ministro episcopale. Proibire alle università dei Gesuiti (perfino i Gesuiti sono sradicati) di farsi réclame reclutando i migliori giocatori di foot-ball. Scatenare ancora una volta la potenza dell’anatema. Forse. Lo trattiene la paura di non far colpo. Ma è certo che più aspetta, peggio è. Verrà un giorno che ci sarà obbligato. Ma forse sarà troppo tardi». (pp.179-185)</div>
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<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-53777056675620197682014-02-23T01:21:00.000-08:002014-02-23T01:21:05.362-08:00Beauty is difficult<div style="color: #666666;">
~ SANREMO SECONDO GIORGIO DE CHIRICO, </div>
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LA «PICCOLA BELLEZZA» DI RAFFAELE LA CAPRIA,</div>
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PIÙ UN GESTO DI STIZZA DI PARISE E UN VERSO DI POUND:</div>
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PER ESORCIZZARE LE CHIACCHIERE ALLA MODA ~</div>
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L’Italia melanconica di questi tempi è tormentata da un’orda di comici che esonda dai palcoscenici, non limitandosi a metter su spettacolo come a loro si confà. Moltiplicatisi alla maniera delle cavallette, sono dappertutto ad avviare una risata meccanica e scontata, a rincorrere il linguaggio coatto, a portare in scena il realismo digitale (quello che già ci urta continuamente nella vita). Forse sarebbe meglio piangere. Ma fossero almeno soltanto corrivi stimolatori di riso: si presentano anche come guide politiche, statisti, moralisti e perfino estetologi. Il calembour diviene l’aforisma fatale. I pastori della Chiesa di Roma danno per primi il cattivo esempio. In odio alla forma, si affidano alle battutacce. Manca però quasi sempre la gioia del cuore. </div>
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Saccenti, privi di ironia, allucinati nella fede nichilista. Nell’epoca dell’armonia proibita, del maggior scempio della bellezza in nome della giustizia, quando cioè il pensiero unico rivendica la vendetta storica della sofferenza, della imperfezione, della miseria materiale, sulle elevate sfere della bellezza, sulla sua aristocratica aura, un festival di canzonette imbastisce monologhi screanzati, apologie sospette di un bello che è già una merce, non a caso destinata a essere messa in vendita alle masse di turisti. Si spaccia per «grande bellezza» il rimbombo della peste quotidiana, e la sua ipertrofia è scambiata per barocco. Diventa senso comune quella che dovrebbe essere una aberrazione. Incapaci di accostarsi alla difficile e sfuggente «piccola bellezza». Sanremo che intratteneva con le melodie e le rime popolari gli italiani semplici diviene un pulpito per sermoni laici e saputelli. Ma il genio di Giorgio de Chirico, che non aveva certo paura di sfiorare simili manifestazioni, vi individuava, mezzo secolo fa, una tribuna pateticamente modernista e scriveva nell’ultima pagina delle <i>Memorie della mia vita </i>(Rizzoli, 1962): «Proprio ieri alla televisione ho seguito la terza ed ultima serata del <i>Festival della Canzone</i> a Sanremo. […] Assistendo a quella trasmissione pensai che in fatto di Festival della Canzone si assiste allo stesso fenomeno della pittura astratta. Come per la pittura astratta, vecchia di più di mezzo secolo e che i moderni critici sostengono e presentano, sia per ignoranza sia per malafede, come una tipica espressione del tormento e dell’ansia della nostra epoca, così anche le canzoni monotone in cui una parola viene non cantata ma urlata e ripetuta innumerevoli volte le si vuol presentare come un fenomeno ultramoderno, forse pensando che anche esse esprimano il tormento e l’ansia del nostro tempo…». Intanto è passato il pop a rendere pari arte e canzonette. Una risata le ha seppellite. Ora, nell’epoca della insensatezza compiuta e ricercata, le compagnie di comici si accingono a insegnare il verso giusto del mondo. Pop anche il nuovo primo ministro e addirittura il vescovo di Roma. </div>
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Di che stupirsi? Sono decenni che la forma comica ci accompagna in quella corsa affannata che chiamiamo progresso. La democrazia non può che prediligere il tono basso e greve. Non la farsa che trascina corpi e menti in una mistica gioconda, bensì la burla intellettuale e verbosa di un popolo che è passato per la scuola dell’obbligo sempre più ampliata, capace di esaurire l’antica vis. La forma del volgare agghindata con astruserie. Già negli anni settanta c’era chi se ne turbava. Raffaele La Capria rievoca il suo amico Parise nel ritrattino <i>Ricordo di Goffredo</i>: «Mi sembra di sentire ancora la sua voce una sera che mi diceva: “Sai, c’è da essere seriamente preoccupati. Hanno letto tutto Proust! Parlano di Joyce, di Freud! Citano Heidegger! Sono moderni. Rimbaud l’hanno preso alla lettera, <i>il faut être absolument moderne!</i>, e loro lo sono, assolutamente, ciecamente, costi quel che costi. Ieri al tavolo di De Feo una se ne esce con la <i>sineddoche </i>e la <i>metonimia</i>, e De Feo tutto rosso: Questo no, per favore questo non me lo dovete fare! Sono moderni e aggiornati, hanno letto Barthes, sanno tutto sullo strutturalismo sulla lingua e la parola…”. Ma di che stai parlando, gli domandavo. “Dei cretini. Ha ragione Flaiano, oggi sono pericolosi perché sono intelligenti…”». Sono moderni e preparati i presentatori di festival. Sono cretini e pericolosi. In special modo quando parlano della bellezza. «Cultura» è il nome del brand popolarissimo. </div>
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Su questo tema assai delicato accostiamo l’orecchio ad altre parole di La Capria, maestro della discrezione. «Siamo abituati ad accontentarci del surrogato in luogo della cosa (del design in luogo della bellezza, della moda in luogo dell’eleganza, della copia in luogo dell’originale)», scriveva in <i>Letteratura e salti mortali</i>. Il surrogato è il principale feticcio. Un tabù l’avvolge. Solo l’inserviente di una ditta di pulizie ha la forza ingenua di portare alla discarica una installazione cartacea spacciata per opera d’arte, come è accaduto nei giorni scorsi a Bari. L’imbarazzo di assessori e curatori suscita risate omeriche. </div>
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Che è successo alla bellezza? È forse andata irrimediabilmente perduta? Lo scrittore napoletano, il creatore di una «piccola bellezza», si è posto tali domande in un breve testo che ha il coraggio di intitolarsi «Nostalgia della Bellezza» (con tanto di maiuscola). Una espressione di un poeta apre la riflessione: «“Beauty is difficult”, lo ha scritto Pound. Ed è difficile perché contiene, come sapeva bene Baudelaire, un elemento eterno e invariabile la cui percentuale è indefinibile, e uno relativo (all’epoca, al gusto, alla morale, alla sensibilità del tempo) senza il quale il primo non potrebbe essere percepito». Ai nostri tempi, purtroppo, il secondo annienta il primo. Se tutto ciò che è bello «sembrava toccato dalla grazia divina», adesso sembra sformato dal relativo. L’«Ideale della Bellezza» si sperde così in mille rivoli, in mille sentieri che non portano più da nessuna parte, e i custodi di tali misteri affermano allora, «come capi di una setta suicida», che in fondo a quei sentieri «c’è solo la morte, la morte dell’Arte, e con competenza, con distacco, dottamente disquisiscono di quando “il vecchio accademico regno del Bello crollò”». In verità negli ultimi tempi dottrina e competenza sono diventati un gergo, e modi rozzi accompagnano gli annunci mortuari degli estetologi. </div>
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Però è vero che un qualcosa di mortifero, di luttuoso, si percepisce. «Nello scontro tra una tradizione consunta e una modernità insolente ha vinto la Bruttezza». Giusta la maiuscola per questa potenza che si impone, anche con varie maschere seducenti, nelle nostre esistenze. «La Bellezza per essere apprezzata richiede doti e disposizioni che i nuovi arrivati non hanno». Ragion per cui i musei contemporanei, le mostre, le performanze, come le curatele, i trattati, le critiche, le réclames, finiscono per diffondere la Bruttezza, per renderla amabile. Per confondere in maniera tragicomica il gusto. Tutto l’apparato sembra ispirarsi a una grande beffa boccaccesca. Terribile però pensare che i burlatori sono la gente di lettere e d’arte mentre vittima ne è il popolo consumatore. </div>
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Non passa giorno che il venditore di merci estetiche non citi la celebre frase di Dostoevskij sulla redenzione per via estetica. La Capria ritiene che lo scrittore russo non si riferisse all’estetismo dei suoi tempi e tanto meno a quello di oggi, tutt’altro: egli «aveva intuito in anticipo il rapporto da restaurare tra la Bellezza e la morale, cioè tra la Bellezza e la difesa della profanata sacralità del mondo. e tutto questo faceva parte della sua religiosità». Non è semplice per noi, abituati alla bellezza rinascimentale che contiene cinismo e amoralità, seguire Dostoevskij e la cultura russa ortodossa. Ma anche i più perversi dei nostri manieristi sapevano di quella sacralità del mondo che solo il moderno osò profanare e sradicare. «Chi divide non potrà mai contemplare in tutta la sua pienezza la misteriosa armonia che regge il mondo e lo sottrae alla non-esistenza, al nulla». Bisogna tener fermo questo armonico universo ‘cattolico’ quando si parla di bellezza. «La scienza non ammette il mistero, la poesia sì. Perciò è divina, perciò ha a che fare col sacro. E con la Bellezza». Se l’arte si allontana dal mondo consacrato e quindi dalla bellezza, si assiste alla «necessità di spiegare l’Arte» come «non si era mai avvertita con tanta insistenza». E «la spiegazione, una volta, prima del moderno, era implicita nel mistero e nell’emozione che proveniva dall’opera. Bastava guardarla e poi si cercava di spiegare perché se ne era stati colpiti. […] Oggi all’improvviso è avvenuto il contrario: prima si spiega perché l’opera è significativa e poi se ne è colpiti. Non era mai avvenuto che le teorie intorno a un’opera fossero così pressanti e impositive». La Capria cita a sua volta Baudrillard che parla di «un racket mentale» esercitato dal discorso sull’Arte. È aumentata enormemente «la quantità di concettualizzazioni e teorie che come una nebbia si infittiscono intorno a un’opera o tendenza artistica, fino all’“insignificanza scaturita dall’ipercomunicazione” e dalla verbalizzazione impropria». </div>
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«Scrive George Steiner – prosegue La Capria –: “Esiste la lingua, esiste l’Arte, perché esiste l’altro”. Ma se è vero che oggi l’Arte può fare a meno del pubblico e passa direttamente dall’artista al museo, allora dov’è l’altro, e di che cosa parliamo quando parliamo dell’Arte?». Forse direttamente del rapporto merce/denaro, si potrebbe rispondere.</div>
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In questa «nostalgia della Bellezza» non si pensi che venga facile e allegro irridere ai manierismi intellettualoidi del Contemporaneo. La Capria lo ammette: «“Te piace ‘o presepio?” “Nun me piace!”. Non credo che il personaggio di De Filippo che dice “nun me piace” sia contento della propria ostinazione. Neppure io sono contento della mia, di fronte a tanta arte moderna, quando sono costretto a puntare i piedi e a dire: “Nun me piace!”. Ma perché vogliono farmi sentire in colpa per tutto questo, quando invece sono io la vittima del loro abuso di potere?». Potrebbe concludersi qui, con la denuncia degli abusi di potere dei ciarlatani della cultura, con la denuncia dello «spirito dispotico del tempo». Ma in un altro saggio della stessa raccolta (<i>Lo stile dell’anatra</i>, Mondandori, 2001) La Capria, scende nei dettagli, evidenzia le cause precise di un tale disastro spirituale, «fonte di infinite tragedie e inaudite crudeltà»: «la maledizione del nostro secolo è la separazione della mente dal cuore».</div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-52275712217406578472014-02-11T02:22:00.003-08:002014-02-11T03:02:14.632-08:00L'undici febbraio<span style="font-family: Georgia;">~ </span>COME I FEDELISSIMI DELLA TRADIZIONE <br />
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<span style="color: #666666;">CADONO VITTIME DELLA MODERNITÀ </span><span style="color: #666666; font-family: Georgia;">~</span><span style="color: black;"></span></div>
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Osservando di questi tempi il partito tradizionalista del cattolicesimo, che si esplica soprattutto nei commenti e note ai blog oltreché naturalmente negli articoli stessi chiosati (grande penetrazione nell’apparato mediatico, scarsissima invece nell’editoria e nelle università), viene da pensare a una somiglianza impressionante con il Partito radicale. Vi si agitano infatti diritti del fedele che neppure il Vaticano II ha mai tanto invocato, linguaggio dell’Assemblea Costituente che seppelliva l’Ancien Régime, con promozione di atti simbolici di ribellione, manifestazioni di piazza, raccolte e conta di firme, occupazioni di chiese, preghiere protestatarie, critiche irriverenti all’autorità. Senti chi parla, diranno di questo «Almanacco» che negli ultimi mesi ha lasciato da parte le questioni dell’arte per concentrarsi sull’argentino divenuto vescovo di Roma, lamentandosi senza mezzi termini dei modi rozzi esibiti sulla cattedra di Pietro, dell’abbraccio mortale con il mondo mediatico (e non sono affatto questioni estetiche). Una piccola quanto sostanziale differenza però ci pare sussista: è vero, andiamo ripetendo che il bianco pastore che ci è capitato rappresenta una vera iattura, ma diamo anche per scontato che Dio ce l’ha dato e noi ce lo dobbiamo tenere. Questo papa non ci piace: è lecito affermarlo nell’inusuale modo schietto, ce lo consente l’informalità imposta dal diretto interessato che predilige il pop, come andiamo dicendo dall’inizio di questa storia (ben prima del vescovo di Lincoln nel Nebraska, che quella subcultura americana mostra di conoscere). Non è la prima volta nelle bimillenarie vicende della Chiesa che dal Conclave viene fuori una infausta scelta, l’eletto magari è un brav’uomo ma inadeguato al ruolo, con fedeli e clero borbottanti a mezza bocca, mentre i più santi hanno il coraggio di Caterina (v. l’«Almanacco» del 21 luglio 2013, «Invettive amorose per il papa»), che esortava direttamente il papa a non cedere allo spirito del mondo. La Catholica non confonde l’obbedienza con il culto rivolto alla divinità, nonostante i flabelli che accompagnavano la sedia gestatoria del «Cristo in terra». La santa senese ce lo ha insegnato: che il pontefice sia riverito con i titoli di «signor nostro» e «dolce padre», ma al contempo gli sia rammentata la sua natura umana. </div>
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Altro invece il giudizio teologico che ciascun fedele vuole pronunciare quasi fosse un perfetto luterano, precipitando il papa che non corrisponde al suo sentire nell’inferno dell’eresia. Sennonché è il papa che decide dalla cattedra petrina chi è eretico, non il fedele a casa, davanti a un computer, che con un clic ambirebbe scomunicare il vicario di Cristo. Tragicomico il modo con cui viene aggirata la dipendenza dei cattolici dal loro pontefice: se questi non dice quello che noi vogliamo sentirci dire, se riteniamo che sbagli l’interpretazione del Vangelo, ci spostiamo rapidamente dal c<span style="font-family: "Arial Narrow";">ô</span>té dei lefebvriani o se proprio ci fa arrabbiare dai cosiddetti sedevacanzisti. Gli irruenti individui non si piegheranno all’obbedienza, roba d’altri tempi. Che ne sanno loro dei patimenti terribili che vissero i cattolici, preti e laici, che non capivano – o capivano troppo bene – il loro pastore, che vedevano il papa schierarsi contro la propria patria o città o casato, che si trovavano i loro pensieri messi all’indice, e le sudate carte riempite con le migliori intenzioni del mondo silenziate perché prive dell’imprimatur, condannate a restare nei cassetti; che ne sanno di questo piegarsi di fronte alla autorità di Roma, anche se la ragione e la scienza spingevano nella direzione opposta; che importa del dramma di Galileo Galilei quando, in qualità di cattolico, accetta di non affermare quel che la gerarchia ecclesiastica gli proibisce di affermare. Oggi, basta ascoltare la voce della coscienza, secondo l’insegnamento di Kant, che non è un padre della Chiesa, e se non si è d’accordo con il papa, si passa a un’altra ‘Chiesa cattolica’, più piccola. C’è un ‘fai da te’ della tradizione, il liberalismo selvaggio ha colpito anche in questo schieramento. L’importante è che l’individuo abbia sempre i pieni poteri, i più svariati diritti, la soddisfazione d’ogni desiderio. Più radicali di così. Meno cattolici di così. </div>
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Se non viene <i>concessa</i> una santa messa nel rito latino – fatto senz’altro deplorevole, sia ben chiaro, anzi suicida – viene subito ingaggiata una piccola guerra civile nel cattolicesimo. Mai offrendo la sofferenza provata nel vedere certe messe celebrate in modo sguaiato come espiazione delle nostre colpe, alla vecchia maniera cristiana per cui ogni dolore che ci viene incontro va benedetto e accolto, bensì organizzando alla maniera dei politici campagne di dissenso e battaglie giuridiche. Vi immaginate i santi fondatori della nostra storia se ogni volta che non ricevevano da papi miopi l’approvazione della regola di un nuovo ordine avessero aperto una contesa contro quel papa, considerandolo un diavolaccio o l’Anticristo che preannuncia l’Apocalisse? Qualcuno si comportò così, è vero, ma lo annoveriamo ancora adesso tra gli scellerati eresiarchi, non tra i modelli cattolici. A Padre Pio da Pietrelcina neppure quando gli strapparono i penitenti – né quando, peggio ancora, Giovanni XXIII permise che si collocasse il registratore nel confessionale per sacrileghe intercettazioni – uscì mai una sola parola di dissenso, un accenno alla persecuzione della gerarchia ecclesiastica. Soffrì in silenzio. Rimproverò anzi, e in modo severo, quei laici che zitti non volevano restare e, a cominciare dal focoso Emanuele Brunatto, partivano come Don Chisciotte in sua difesa, all’attacco di vescovi depravati.</div>
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Né i laici o i circoli cattolici pensarono mai nel passato, per fedeltà alla tradizione che a loro fosse parsa violata, di abbandonare la Chiesa di Roma quando vi ravvisarono somma corruzione, papi simoniaci, teologie traballanti, ingiustizie palesi, tradimento della missione cristiana. Neppure i peggiori annunci della degenerazione del clero che i pastorelli di La Salette raccontarono di aver udito dalla Madonna apparsa loro prevedevano una fuoriuscita dalla Chiesa cattolica. Roma sarebbe stata sempre più devastata dai demòni, vescovi e preti avrebbero dimenticato Dio e la Chiesa avrebbe vissuto «una crisi molto profonda», non si parlava però di scissioni, di abbandoni. «Il Santo Padre soffrirà molto», casomai, «Dio non sarà più onorato», «il maligno entrerà in ogni casa», «molte grandi città saranno bruciate e quasi distrutte, altre inghiottite dai terremoti. Tutti crederanno che sia giunta la fine», ma i giusti resteranno nella Chiesa perseguitata anche dall’alto della gerarchia. Né le parole del cardinal Ratzinger pronunciate al Palatino con sinistro rimbombo durante la Via Crucis della Pasqua 2005, sulla «navicella di Pietro [che] sembra stia affondando», prevedeva l’abbandono della santa nave dei peccatori per più agili barchette. E men che mai negli anni dell’infanzia e della giovinezza di noi più vecchi, sotto il regno di Pio XII, i critici del <i>progressismo</i> pacelliano – e ce ne furono – di fronte alla riforma liturgica della Settimana Santa, per esempio, affidata al giovane e promettente Bugnini, lo stesso che ideerà poco tempo dopo il Novus Ordo, si permisero di affrontare il sommo pontefice quasi fosse un nemico. Si obbediva e si mugugnava, come si è fatto per i secoli dei secoli, in attesa che i misteriosi tornanti della Provvidenza rivelassero sempre grandi consolazioni.</div>
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Si obietterà: i progressisti non disobbediscono forse ai papi che non gli sono simpatici? Sicuramente, ma non c’è da meravigliarsi, vista la ammirazione che nutrono per l’ideologia protestante. Coerenti con il loro pensiero, mettono in discussione il primato di Roma, la potestà assoluta del pontefice: tutto perciò si tiene. Per il luteran-cattolico (mostro bicefalo contemporaneo), conta quel che è scritto nel Vangelo e quel che dètta l’interpretazione della propria coscienza. Il resto complicherebbe la vita del cristiano. Ma che un fedele alla tradizione cattolica si richiami in prima persona al testo evangelico e ne rigetti l’interpretazione del papa quando questa non coincide con la sua: ecco un vero paradosso moderno. Il modo di concepire l’io rispetto all’autorità, ai più che – secondo l’insegnamento della tradizione – possiedono di per sé maggiore autorevolezza del singolo, l’abbandono dello spirito di osservanza, del rapporto discepolo/maestro, questo è lo stile moderno che si affaccia anche nel campo dei suoi avversari. Progressisti e tradizionalisti mostrano altrettanta intolleranza reciproca perché è in ballo l’affermazione di idee soggettive, prive cioè della saggezza antica che tempera, comprende, conosce la fragilità della natura umana, e dunque perdona spesso. Invece ormai è come se il sapere diffuso bastasse a sottrarre il fedele al magistero gerarchico, producendo un incrocio tra ribellismo protestante e gnosi. E a sua volta il magistero ha perduto l’aura di rispetto, non la esigono più i vescovi, su su fino a quello supremo, né rispettosi si mostrano i fedeli, fenomeno affine a quello che si riscontra nelle università dell’Occidente, svuotate della deferenza, dell’ordine di importanza, costrette a mimare il discorso democratico in cui tutti mettono bocca senza che alcuno possa chiedere in nome di quale competenza si intervenga.</div>
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Così l’elemento tragico viene ignorato dai due opposti interpreti del cattolicesimo: da chi opina cioè che basti andare incontro al mondo moderno perché prima o poi appaia l’armonia nascosta tra il messaggio evangelico e la società umana, che insomma gli ostacoli derivino solo dalle arretratezze, ragion per cui si tratterebbe di superare in una interminabile e affannosissima corsa i famosi «ritardi»; dall’altro polo intanto si è convinti che l’armonica civiltà cristiana (medioevale o tridentina, ottocentesca o semplicemente pacelliana) si ricostituisca ignorando il Moderno, mettendolo tra parentesi, mai misurandosi con un simile negatore dei dogmi cattolici, neppure per un vero esorcismo. Questa ultima posizione, ai nostri occhi almeno, risulta sicuramente più praticabile purché si scelga il minoritarismo come destino, riducendosi ad anacoreti, a eletti, a invisibile setta, decidendo di abbandonare i popoli d’Occidente e d’Oriente alla loro idolatria del consumo. Il proselitismo davvero non è più all’ordine del giorno per Roma? Finito, almeno per il prossimo secolo, il rapporto con la scena pubblica, con il potere politico che fece da contrappunto alla Catholica per tutta la sua storia? Una religione della interiorità, dunque? E tutto ciò, di grazia, cosa avrebbe a che vedere con la tradizione cattolica? </div>
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Se il Concilio è corso incontro al mondo ed è rimasto stritolato nelle braccia del Moderno chi, anche sul piano genericamente culturale, ha offerto invece una risposta all’altezza dello scontro? Là dove anche il marxismo, che pure ne era figlio legittimo, è stato devastato dalle forme subdole dell’avversario, atte a rendere innocua l’immane violenza con cui voleva rivoluzionare quel mondo, potrebbero forse uscirne incolumi i preti d’altri tempi , che chiudono gli occhi di fronte a quelle sottili lusinghe e che a occhi chiusi lanciano loro anatemi? Qualche suggestione viene dalla Chiesa ortodossa che mantiene la ‘liturgia di sempre’ anche per fedeli post-sovietici ormai asserviti alle merci. Ma l’Occidente è ancora il più moderno, pratica da tempo il culto nichilista del tramonto, mentre laggiù sembra sia ancora in corso l’accumulazione selvaggia dell’ottimistica fede borghese.</div>
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Il sentimentalismo di derivazione romantica, l’emotività costante come una febbre maligna che ci accompagna nello schierarci sulla scena mediatica fa sì che venga lasciato in ombra il gesto inspiegabile, e imperdonabile, del papa che suscitò speranze e dispensò consolazioni straordinarie. Proprio colui che parve tornare a combattere i pericoli più minacciosi del mondo moderno ne cadde poi vittima con quelle dimissioni che pareggiarono il pontificato romano agli altri uffici secolari. Non fu forse questa la causa scatenante di tutte le rivalse dei conciliarismi più accesi? Il cedimento tragico all’onnipotenza del Moderno? E come è stato spiegato negli ambienti della tradizione? Alla maniera più corrente ai nostri tempi, con la forma del ‘giallo’, del mistero poliziesco, non divino. Non bastarono le liturgie tornate alla dignità delle cose celesti né il <i>motu proprio</i> che permetteva di sottrarre la messa alle fantasie dei moderni, né le teologie sottili, né la distanza dalla vulgata conciliare: tutto fu reso vano da quel papa pensionato, dal titolo di ‘emerito’ rubato agli ambienti dell’università, dalla convivenza con un altro papa. La compresenza di due papi fece più male della collegialità spinta. L’11 febbraio 2013 è una data tremenda. La venerazione per il mite pontefice tedesco resta, ma il turbamento prodotto dalla sua rinuncia rappresenta un colpo terrificante alla Chiesa di Roma già nel caos. Il tripudio dei laici progressisti come dei ‘cattolici adulti’ per l’abbandono di Benedetto, per la sua attuale clandestinità, fa il paio con il successivo tripudio per il nuovo vescovo di Roma venuto dagli antipodi.</div>
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Che un gruppo di laici con qualche sparuto prete del giro pretenda di stabilire se un papa è ortodosso o meno è faccenda decisamente moderna, un frutto velenoso del Novecento. L’altra faccia del Modernismo. Lo spirito conciliare spinse tanto in questa direzione che anche i suoi più decisi avversari ne hanno accettato le conseguenze. È umano infatti che si voglia influenzare la gerarchia con il proprio sapere, il proprio gusto, la voce della propria coscienza, ma la tradizione insegna che sarà necessario poi inchinarsi di fronte al consenso dei <i>superiori</i> (parola ormai dimenticata). Perché anche la libertà di movimento dei laici ha un limite, quel limite sempre irriso dal mondo protestante: le regole ante Concilio prevedevano addirittura che lo scritto di un cattolico a causa di una sfumata interpretazione, per qualche pagina appena poco accetta al papa o ai suoi cardinali, potesse destare l’attenzione del Sant’Uffizio ed essere quindi sottratta d’imperio all’occhio cattolico di tutto l’orbe. Quante pie anime furono ferite dall’esser messe con i loro libri in quell’elenco. Quanta indignazione provocava un simile esercizio di umiltà tra i superbi e saccenti protestanti. Se l’Argentino restaurasse l’Index librorum prohibitorum, con le norme di sempre, quanti scritti nostri, compresi quelli dell’«Almanacco», vi finirebbero seduta stante. Signori, questo è il cattolicesimo come si è tramandato nei secoli. Liberi di costruirne un altro, di credere che il Vaticano sia diventato la Nuova Babilonia – secondo le indicazioni del frate sassone –, ma insopportabile il dentro-fuori l’Ecclesia, avendo come riserva un cattolicesimo lillipuziano, a misura dei desideri di ciascuno, una setta per la Rifondazione del cattolicesimo, quello dell’anno zero, dell’azzeramento della storia, tralasciando il particolare che l’incarnazione è avvenuta nella storia e la questione cruciale del cattolicesimo costantiniano sta in quel rapporto con la storia del mondo. I primi successori di Pietro non ebbero paura di venire a patti con l’Impero dei persecutori, con la Roma dei pagani. Altrimenti sarebbero rimasti degli eremiti che attendono il ritorno di Cristo nascosti tra le piccole schiere dei prescelti, in opposizione furiosa al costantinianesimo, ai papi con il triregno in capo, all’organizzazione giuridica della Chiesa romana. </div>
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Tuttavia sappiamo benissimo che la ideologia contemporanea è più subdola di quella dei crocifissori. E conosciamo la debolezza della cultura cattolica di fronte alla modernità incantatrice, è il nostro rovello. Proviamo allora a sentire una parola meno pessimista da uno scrittore che si trovò a vivere all’alba di questa modernità, all’inizio del lungo duello tra cultura laica (scienza, politica, economia, arte) e cattolicesimo. Nella parte seconda delle <i>Osservazioni sulla morale cattolica</i>, rimasta inedita fino alla superba edizione di quell’opera curata da Romano Amerio, Alessandro Manzoni affronta l’argomento dello «Spirito del secolo» pur precisando subito: «Un’accusa che si fa comunemente ai nostri giorni alla Religione cattolica è ch’ella sia in opposizione collo spirito del secolo. Questa accusa può in un senso essere dalla Religione ricevuta come un elogio: se per spirito del secolo s’intende la tendenza violenta ad alcune cose transitorie come beni da ricercarsi per sè, l’amore e l’odio insomma delle creature non diretto ai fini voluti da Dio, la Religione si protesta, come sempre si è protestata, nemica di questo spirito; e quando venisse a far tregua con esso, allora si potrebbe trovarla in contraddizione e diffidare di essa. Guai alla Chiesa se ella facesse un giorno pace col mondo! se desistesse dalla guerra che il Vangelo ha intimata, e che ha lasciata alla Chiesa come la sua occupazione e il suo dovere; ma questo timore non può mai esser fondato, perché l’espressa parola di Gesù Cristo assicura il contrario». Erano trascorsi pochi anni da quando un papa imprigionato e deportato a Parigi aveva chinato il capo di fronte al re dei rivoluzionari, incoronandolo imperatore: più pace col mondo di questo simbolico atto! Però la fede di Manzoni lo teneva lontano dai circoli dell’umor nero, dagli apocalittici per gusto del negativo. La fede e la ragione sapevano fargli intuire che la Catholica non è arrivata alla meta per simili gesti atroci. Né – si potrebbe dire oggi – l’Onu che sembrò divenire sotto Paolo VI la succursale della Santa Sede ha assicurato quella tregua con i papi che tutti temevamo: quando uno meno se lo aspetta, ecco arrivare una nuova dichiarazione di guerra alla Chiesa cattolica, nonostante il clima mieloso che i laici hanno recentemente inaugurato, ben ricambiati, con il vescovo di Roma. </div>
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Il nostro equilibratissimo romanziere, il cattolico che non peccava mai di estremismo malgrado il romanticismo di fondo, riteneva che il mondo non fosse comunque tutto da dannare, ché la storia mostrava come il cristianesimo avesse a tal punto modificato e migliorato gli umani costumi che il regno di quaggiù non era più un semplice sinonimo dell’inferno. Delle distinzioni andavano fatte. «Uno dei caratteri dello spirito predominante di tutti i secoli è una forte persuasione di alcune idee che degenera in tirannia di opinione, che condanna chi lo contraddice a passare per ignorante o per male intenzionato». E più avanti, riecheggiando simile «tirannia»: «Queste idee predominanti in un’epoca si chiamano <i>di moda</i> vocabolo che dovrebbe per sè renderle sospette perché significa: essere determinato a seguire un sentimento o un uso dell’autorità, escluso l’esame». Adesso siamo ricolmi di tale moda, totalitarismo dell’opinione che impedisce l’«esame». Ma l’esame della ragione, il dialogo con i moderni, non era affatto escluso dal devoto amico di Rosmini. Inutile lasciarsi chiudere in una riserva. La cultura cattolica vuole conquistare la storia.</div>
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Al capitolo VII di quella Seconda parte delle <i>Osservazioni</i>, Manzoni affronta le «controversie tra cattolici», un altro tema caldo ai nostri giorni. «V’ha delle controversie inevitabili: condannarle tutte sarebbe lo stesso che dire che allorquando un errore si manifesti, bisogna permettergli di diffondersi senza combatterlo. Se non si disputasse che contro l’errore, quale cristiano potrebbe condannare una guerra sì necessaria, desiderare che si deponessero le armi della fede, che si venisse nella Chiesa ad una pace che non sarebbe l’opera della giustizia e della verità?». Non era un irenista. Ci sono punti indiscutibili, «valori non negoziabili» li chiamano i giornali. «Certo non bisogna sacrificare la verità a nessuna cosa, nemmeno alla concordia», però si lasci disputare chi è addentro alle questioni teoriche, quelli che son meno esperti si limitino «a pregare per gli uni e per gli altri, e chi dubiterà che le dispute non diminuiranno di quantità, di intensità e di durata?». Non ci si lasci andare alla mimesi delle discussioni parlamentari e degli show televisivi. Non si prenda l’andazzo mondano, il tono moderno – aggiungerebbe forse oggi. Nei confronti delle persone che «errano nella fede», i cristiani si comportano in modo diverso: «la carità obbliga ad amarli, a compatirli, a pregare per loro e a dissentire da loro». «Invece di denunziargli al giudizio altrui, avvicinatevi a loro, interrogategli, e vedrete forse che invece di gridare contro di essi, non vi resta che a piangere sopra di voi». Alle prese con le trappole moderne, dove la bella tradizione viene facilmente inghiottita, c’è da piangere tutti.</div>
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Il saggio Don Lisander si raccomanda, e pare rivolgersi alla nostra rete di disperati della forma antica: non si tratta di una polemica letteraria che può prendere le espressioni più feroci, qui si parla di Dio. «Voi credete di poter fare quello che compete alla Chiesa, di condannare gli erranti, e più ancora, voi credete di poterlo fare senza quelle formalità indispensabili, che la Chiesa stima essenziali all’esercizio della sua autorità sui suoi figli […] Voi fate il giudizio, e lo applicate, voi portate la sentenza senza autorità, e senza processo, voi pretendete secondare le intenzioni della Chiesa, ma chi ve le ha rivelate, chi vi ha costituito giudice?». (A. Manzoni, <i>Osservazioni sulla morale cattolica</i>, Ricciardi editore, Milano-Napoli, MCMLXI, vol. II, pp. 413 e <i>passim</i>).</div>
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<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-24828054310864262742014-01-10T06:50:00.002-08:002014-01-10T06:50:35.084-08:00Gli altri gesuiti<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #999999;">~ OLTRE GLI SCHEMI DEL GIORNALISMO</span><br />
<span style="color: #999999;">SUI BUONI E I CATTIVI NELLA CATHOLICA ~</span><br />
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Per grazia divina il cattolicesimo, benché fondato sui dogmi, non è un monolite, non si adegua per sua natura al pensiero unico. L’osservatore esterno evoca i gesuiti trascinando una catena di luoghi comuni. Tutti tolleranti, abili nel compromesso, i machiavellici del papa, tutti a invocare la clemenza assoluta e a nascondere il giudizio irato di Dio, a camuffare perfino l’Inferno. Tutti arrendevoli con l’avversario, disponibili alla resa sia pure per salvare il salvabile. Con parole attuali, insomma, sempre progressisti e addirittura spesso di sinistra, quanto meno riformisti. Questo «Almanacco» ha recentemente raccontato la paradigmatica missione in Cina della Compagnia nel Cinque-Seicento, nel post-concilio tridentino dunque, e ha ritirato fuori la faccenda a bella posta, affinché non si disperasse dell’avvenire della Chiesa per dei motivi contingenti. Ovverossia a causa della distruzione subitanea delle antiche regole per opera di un supremo pastore venuto dall’Argentina, il primo gesuita a salire sul trono di Pietro contro le regole della Societas che vietano anche il titolo vescovile (ma Bellarmino fu cardinale e a fine Novecento la nouvelle théologie gesuitica fu rivestita di porpora). Insomma, se ne videro in vari secoli di simili travagli per la Chiesa, la navicella resta miracolosamente a galla. Però i giornalisti semplificano in modo esagerato: è un gesuita, tranquilli, lo schema prevede una evangelizzazione tartufesca, rientra nella norma, si è sempre visto così nella storia del loro ordine, di che v’allarmate? Come se Iňigo l’hidalgo, il fondatore, il basco tenace, fosse annoverabile tra i pacifici pronti alla trattativa. Ancora trentenne, Ignazio il gentiluomo affidava l’onore soltanto alla spada. A caccia di eretici, appena a Roma, denunciò alle autorità un illustre agostiniano per sospetto luteranesimo.<br />
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Come se i gesuiti non fossero stati i cavalieri dell’ortodossia. E anche la longa manus di Roma che si impadroniva delle menti e dei cuori dei sovrani del mondo per renderli sottomessi al potere petrino (i sovrani del mondo ottenendo però, un brutto giorno, lo scioglimento della Compagnia ignaziana). Crociati sempre all’attacco, come don Chisciotte quando le crociate erano già state abbandonate da secoli. Non si arresero mai. Mandata a casa la Compagnia, qualcuno entrò perfino nella loggia massonica pur di salvaguardare l’organizzazione al servizio del papa, senza cedere allo spirito dei tempi.<br />
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Come se poi in America Latina non avessero tentato di <i>civilizzare</i> gli indios che praticavano il cannibalismo, ben altra carta da quella giocata nella raffinatissima Cina, proteggendoli comunque dal potere politico con il quale spesso si scontrarono armi alla mano (si veda le cosiddette Reducciones in Paragauy). Come se nell’Ottocento non fossero stati gli abili difensori delle ragioni del potere temporale di Roma contro i «risorgimenti» dello sciovinismo, diventando in tal modo l’oggetto della denigrazione di Vincenzo Gioberti e dei cattolici liberali. Da qui la secolare diffamazione durata fino all’avvento dell’Argentino. Se negli ultimi tempi «La Civiltà Cattolica» è diventata una rivista da sbandierare per gli allegri demolitori della tradizione cattolica, va ricordato che essa fu un baluardo contro il modernismo. Lo stesso nome del mensile smentiva gli eccessi dell’inculturazione. Nel secolo primo della modernità, il XIX dell’èra cristiana, la rivista chiamava a raccolta contro i liberali. Furono i suoi redattori gesuiti a lanciare il «Sillabo», il Concilio Vaticano I, quella assise cioè che affermò l’infallibilità papale, la restaurazione della filosofia tomistica, la restaurazione in generale. Nel Novecento «La Civiltà Cattolica» si impelagò qua e là anche con discutibili politiche pur di tenere a bada liberalismi e socialismi internazionali. Uno come padre Messineo orientò da destra i cattolici italiani e prese di mira Jacques Maritain che pure si era formato sul cattolicesimo medioevale e aveva militato nell’Action française. Per oltre un secolo, i teorici della inculturazione si scatenavano su quelle pagine in una virulenta polemica antigiudaica. Difesero il generalissimo Franco e si batterono contro la Germania nazista.<br />
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Negli anni Quaranta, confratello di padre Michel de Certeau, che salvava pure Freud, e di padre Hans Urs von Balthasar che nutriva qualche dubbio sulle masse di dannati all’Inferno, era l’americano di origine irlandese padre Leonard Feeney, che sosteneva essere la salvezza una esclusiva dei battezzati secondo il rito di Santa romana Chiesa, annunciando per tutti gli altri le fiamme dell’Inferno. Vale la pena rammentare quella storia sepolta in America, senza più grande eco dalle nostre parti. Docente al seminario gesuita di Boston e cappellano di Harvard, padre Feeney con un gruppo di suoi confratelli e fedeli arrivò a negare, negli anni Quaranta, la validità del «battesimo di sangue» e del «battesimo di desiderio»: solo l’acqua lustrale somministrata con il rito latino apriva le porte del Paradiso. Regnando Pio XII, la singolare posizione dell’ultrà tradizionalista finì rubricata nella disobbedienza a Roma e padre Feeney venne inquisito dal Santo Offizio. La storia si fece paradossale: «extra Ecclesiam nulla salus» era la bandiera del gesuita harvardiano che disobbediva alla gerarchia di quella Chiesa salvifica. E paradossale era il fatto che lo scrittore britannico Evelyn Waugh – uno che la conversione al cattolicesimo l’aveva fatta davvero, il brillante conservatore che morirà sulla porta della chiesa dove aveva assistito alla messa in latino ormai introvabile negli anni del post-concilio – si incaricasse di diffondere una pessima pubblicità intorno all’ortodossia rigorista del gesuita, definito bisognoso di un esorcismo per un evidente caso di possessione demoniaca. Il puritanesimo del cappellano di Harvard non poteva piacere al romanziere. E la disobbedienza ‘puritana’ non piacque neppure al papa che, dopo un regolare processo, incaricò l’allora giovane monsignor Ottaviani di inviare una lettera di scomunica. Che benedizione trovare in quel documento l’atteggiamento compassionevole del papa che ribadisce il dogma ma nel medesimo tempo mostra la elasticità cattolica, il buonsenso tradizionale, quando si rivolge alla umanità. Qualcuno potrebbe confonderla con lo spirito che anima la <i>Dignitatis humanae</i>, eppure la differenza netta che salta agli occhi del lettore attento mostra quanto caricaturale fosse il ritratto della Chiesa pacelliana a opera di molti padri del Concilio. Non c’erano le tenebre da una parte e la luce della tolleranza dall’altra. Nella Chiesa cattolica di sempre regnava la comprensione, il discernimento, la misericordia.<br />
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Nei tempi del dopoguerra, gesuiti furono gli incaricati di approntare una specie di servizi segreti della Santa Sede, nel momento che l’Europa orientale veniva inghiottita dalla Russia bolscevica; gesuiti formavano la guardia del corpo di Pio XII nella battaglia mondiale contro il comunismo, così come lo erano stati in quella contro il nazionalsocialismo; composto da gesuiti era anche il drappello di giovani incaricato dal papa di tenere a bada la tecnologia della comunicazione che allora si impennava, travolgendo le coscienze. Confratelli di padre Pierre Teilhard de Chardin, che voleva mixare alla francese Darwin e lo Spirito Santo, e di padre Rahner, che confidava nei «cristiani anonimi» (cristiani inconsapevoli come il Jourdain di Molière che faceva la prosa senza saperlo), erano i gesuiti Paolo Dozza, rettore della Gregoriana, e padre Pietro Boccaccio, giovane docente di lingua ebraica e aramaica, che raggiunsero il record del proselitismo: la conversione del rabbino capo di Roma, Israel Zolli, battezzato col nome di Eugenio Pio (in riconoscenza verso Pio XII). E il mite padre Felice Cappello, anche lui un prete nell’ordine di Ignazio, l’insigne maestro di diritto canonico e popolarissimo «confessore di Roma», acclamato santo in vita dalle folle che lo attendevano per il sacramento della penitenza nella chiesa dedicata al fondatore, riuscì a ottenere la conversione in punto di morte di due personaggi celeberrimi, Curzio Malaparte che, già fascista, si era lasciato sedurre dalla rivoluzione comunista cinese, e Concetto Marchesi che univa l’erudizione latina con il marxismo. Gesuiti i teologi Daniélou e de Lubac che provocarono il Vaticano II (de Lubac provò pure a difendere il Teilhard panteista, giurando che era un figlio devoto del magistero ecclesiastico) ma che poi espressero seri timori sugli effetti perniciosi del postconcilio.<br />
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Un esercizio della memoria questo, un elenchetto cui i lettori potrebbero aggiungere chissà quanti nomi, giusto per riportare in auge le sfumature, la varietà del cattolicesimo ben orchestrata da Roma, i difficili equilibri che rischiano di saltare quando – come è successo l’altro giorno – nella chiesa madre della Compagnia, durante una pubblica cerimonia, il predicatore sudamericano che indossava il pallio papale diceva: «noi gesuiti». </div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-14474214432503546682013-12-20T07:32:00.001-08:002014-01-04T04:48:51.061-08:00I riti cinesi<div style="color: #666666; text-align: justify;">
~ LA «NUOVA MISSIONE» NEL SEICENTO ~ </div>
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~ E NEL TEMPO ATTUALE ~ </div>
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Tutto era diverso, salvo il tono della polemica, con accuse furenti da una parte e dall’altra. Nel fuoco della battaglia la Compagnia di Gesù, intenta alla «nuova missione» in Cina. I soldati di Ignazio mettevano da parte la evangelizzazione <i>in virga ferrea</i> e procedevano alla conquista delle anime. Non portavano laggiù la Chiesa dallo sfarzo barocco, gli echi delle glorie religiose e militari (Lepanto aveva segnato un’epoca), della precisione dottrinale (che noi chiamiamo controriformistica). Appena un po’ d’arte, quella trasportabile in bagagli leggeri, e le mirabilia coltivate da padre Athanasius Kircher nella sua Wunderkammer del Collegio Romano. In punta di piedi, umili (a parte l’erudizione da sfoggiare sobriamente), con grande incantamento per gli indigeni da convertire, sorpresi anche dal grado altissimo di una civiltà finora estranea al nostro mondo, come se nel tempo d’oggi si scoprisse su Marte un impero eccelso per ordinamento, pensiero, costumi e tecnologia. La controversia era già moderna: come tradurre il discorso evangelico in lingue aliene al mondo chiuso del Mediterraneo dove il cristianesimo sorse? Come tradurre – ripeterà la cultura moderna, compreso un Concilio convocato appositamente nel Novecento – il messaggio antico nel linguaggio di popoli così distanti temporalmente dall’epoca che vide il passaggio di Cristo su questa terra? E come adattare la liturgia sistemata da un papa romano del VI secolo ai popoli orientali o alle genti del terzo millennio? I missionari gesuiti posero la domanda e proposero la risposta con la massima indulgenza, sfumando sia l’identità cattolica sia quella del mondo orientale. Permisero manomissioni liturgiche, presero in prestito gesti e abiti dai culti locali, elaborarono cerimonie sacre a misura dei neofiti in tutto l’Oriente, i cosiddetti riti cinesi, i riti giapponesi, i riti malabarici (in India), ammisero la venerazione di Confucio, giurando trattarsi di un atto laico, di celebrazioni culturali, disobbedirono a Roma convinti di aver scoperto una universalità cristiana ancora più grande di quella predicata in Occidente. Probabilmente scattava anche la curiosaggine degli intellettuali che spesso li porta alla fascinazione per una novità. Tanto fu il riguardo per gli usi del popolo cinese, che le stesse questioni morali sembravano perdere la loro solidità nel mitico regno del Catai.</div>
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La guerra ai gesuiti missionari scoppiò nel Seicento. C’era sullo sfondo la saldezza dottrinaria raggiunta nel Concilio di Trento, c’era la fede millenaria scossa dalla Riforma protestante ma ricomposta dalla Controriforma, c’era lo spirito d’obbedienza e il principio d’autorità, il senso della gerarchia, le regole della Societas stessa che imponeva all’orgoglio umanista di trasformarsi «perinde ac cadaver»; la modernità faceva appena la sua prima comparsa, neonata, quindi, accattivante e promettente, con un volto assai meno spietato di quello che abbiamo poi conosciuto. La questione al centro di questa guerra in seno alla Catholica anticipava il motivo attuale, l’ansia postconciliare su come avvicinare la Chiesa cattolica al mondo secolarizzato, il cristianesimo della tradizione e la modernità che in modo virulento taglia i ponti con il passato. Si trattava dei prodromi, diverso il contesto. Tra le varie cose inimmaginabili ai tempi della diatriba ce ne è anche una avvenuta dianzi, che modifica ulteriormente il quadro della Chiesa di Roma: nessuno si sognava di vedere eletto papa un gesuita, avendo la Societas il suo «papa nero», ossia il Generale della Compagnia (grado militare del corpo speciale posto al servizio del pontefice), potente come un papa, abbigliato in nero come un semplice prete. </div>
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L’uomo è «naturaliter christianus», sosteneva agli albori Tertulliano. I gesuiti in Cina ripresero questa ipotesi, la rafforzarono con una rappresentazione della civiltà cinese quasi fosse un mondo paradisiaco che aveva i contenuti evangelici nella sua trama. <i>Ergo, Sina est naturaliter christiana.</i> Offre l’assist Tertulliano anche agli evangelizzatori dei nostri giorni.</div>
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Parliamo di una «nuova missione», dell’esperimento audace, del teatro cinese – secondo gli accusatori, in primis giansenisti – che mettono in scena i reverendi padri gesuiti in un impero sconosciuto e lontano, al riparo dagli sguardi sospettosi del vecchio mondo. È infatti loro il monopolio dell’informazione cinese nei confronti dell’Occidente, loro sono i soli conoscitori della lingua, a loro appartengono le prime grammatiche che stampano in Europa forgiando nel piombo gli ideogrammi, loro sono gli interlocutori dei mandarini, di scienziati e letterati della sofisticatissima civiltà orientale che, pur senza traccia del Vangelo, appare mirabile e autentica concorrente dei regni cristiani, loro i cortigiani, talvolta anche gli amici, dell’Imperatore, del mitico sovrano con i caratteri divini. Le relazioni di viaggio, le traduzione di libri, sacri e non, le lettere, le opere che i confratelli al Collegio Romano compilano collazionando le carte dei missionari, formano una letteratura eccitante nel XVII e XVIII secolo. Le menti curiose consideravano quei documenti molto più avvincenti dei romanzi. Nel racconto dei gesuiti, i pagani cinesi assumevano i tratti cristiani. </div>
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Confucianesimo e buddismo vengono assimilati alle filosofie, armonizzati con il cattolicesimo. Anzi, Confucio diviene un san Paolo cinese, un apostolo delle genti orientali. La Cina è una specie di immenso specchio dell’Occidente. La differenza cristiana si affievolisce. I missionari gesuiti son così convinti del genio del cristianesimo che non possono incontrare un mondo raffinatissimo come quello dell’Impero celeste senza immaginarlo in qualche modo cristiano. Del resto, il Doctor Eximius, padre Francisco Suárez S.J., sosteneva che l’atto di fede è relativo alla differenza di tempi e d’ambiente. L’indulgenza ottenuta dai pagani ‘classici’ poteva esser estesa a queste elegantissime genti orientali. Si concedevano anche qualche contraffazione storica per inventarsi un cristianesimo nascosto per millenni nel popolo cinese. Veniva in aiuto il geniale padre Kircher, decifratore a modo suo dei geroglifici egizi e dei misteri cinesi. Profuso negli studi sinologici, il Turingiano rinveniva dei cristiani nestoriani che si sarebbero spinti fin laggiù, a seminare chicchi evangelici. Ecco spiegate le virtù della civiltà cinese. Ma c’era chi ricostruiva viaggi apostolici in quelle terre, conferendo peraltro alla lingua cinese un primato che contraddiceva il racconto biblico, esaltando anche la morale di chi agli occhi di Roma era solo un pagano da salvare. E in terra di missione risultavano maestri di gentilezza, di cerimoniosità, di cortigianeria, conquistavano il cuore mondano, AMDG, naturalmente, in conformità con il motto della Societas. Sia detto tra parentesi, in allusione alle questioni del tempo nostro, non è proprio aggiustabile il rapporto tra Compagnia di Gesù e francescanesimo (il santo di Assisi evangelizza in altro modo: si presenta davanti al sultano e gli ordina di cambiar vita). Non è un caso che i cappuccini furono i più duri avversari delle missioni della Societas. La radicalità evangelica, la scabra parola biblica, la profezia che urla nel deserto son cose estranee a quei dialoganti con i saggi confuciani. Per la particolare mondanità della Compagnia non si predica l’ascetismo dei frati agli aristocratici interlocutori (lo si pratica in privato, riservato ai reverendi padri nel segreto delle loro stanze). </div>
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La guerra dell’Occidente all’Impero cinese per assicurare la libertà d’azione dei missionari non convinceva i gesuiti. Qualcuno di loro parlava esplicitamente di «guerra ingiusta» (Josè de Acosta, per esempio). </div>
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Il duca Louis de Rouvroy de Saint-Simon (appena una lontana parentela con l’utopista dell’èra industriale) scrive nel capitolo 51 dei suoi <i>Mémoires</i>: «Le polemiche dalla Cina cominciano a far scalpore, si parla delle cerimonie di Confucio e degli antenati, ecc., che i gesuiti concedono ai loro neofiti e che le Missioni straniere proibiscono ai loro: i primi sostengono che esse abbiano un carattere puramente civile, gli altri che siano superstiziose e idolatriche». Un riassuntino in punta di pettegolezzo, l’accenno al duello tra i gesuiti e i parigini delle Missioni estere, che tralascia i risvolti teologici. </div>
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Se i gesuiti concedevano ai cinesi convertiti di perseverare nella venerazione di Confucio e degli antenati, se i riti cinesi non si limitavano al rispetto delle tradizioni locali ma investivano la liturgia cattolica, il nome di Dio che i colti missionari traducevano nel lessico del confucianesimo, l’immagine di Cristo che, per non spiacere al delicato gusto dei mandarini, ripulivano del sangue della Passione e perfino della morte per crocefissione, esaltando invece il corpo celeste della Resurrezione, se adattavano cioè il cattolicesimo romano all’ottica degli ‘infedeli’, è perché stavano mettendo a punto quella «inculturazione» che è croce e delizia dei tempi nostri ma che già i primi cristiani, senza troppo indulgere alle questioni di metodo, avevano di fatto praticato. Che altro fu infatti quella metamorfosi del Verbo ebraico nelle forme degli dèi latini, i templi e perfino le statue che cambiano di segno, i cortei pagani trasformati in processioni cristiane, il Natale che sostituisce il culto solare, tollerando che i romani si voltino ancora in devoto omaggio verso l’astro prima d’entrare nella basilica di san Pietro (papa Leone <i>dixit</i>), che altro se non inculturazione si poteva denominare quell’impero pagano che diviene sovranità del vescovo di Roma sull’Urbe e sull’orbe, il vicario di Cristo addirittura impadronendosi della carica imperiale di sommo pontefice? Concesse Gregorio Magno («Solo conservando per gli uomini alcune delle gioie del mondo, li condurrete più facilmente ad apprezzare le gioie dello spirito»), concessero tantissimo i papi dei primi secoli e quelli degli ultimi. Sennonché suona bizzarro che i fautori della inculturazione a ogni costo, i rispettosi di tutte le culture locali e di tutti i popoli, siano poi impietosi verso la cultura della Roma antica in cui si modellò la religione cattolica, dannandola perciò con la parola <i>costantinismo</i>. Tutti i compromessi siano benedetti – dicono coloro che pur definendosi cattolici avversano la storia cattolica – eccetto quello del vescovo di Roma con l’imperatore. Soltanto nel territorio dei Laterani, sui terreni concessi dall’Impero in decomposizione, nel regno spirituale della imperatrice Elena che trasportava con somma pietas le reliquie orientali sulle rive del Tevere, quel compromesso non s’aveva da fare e il mondo, secondo i precetti evangelici, andava disprezzato. E perché invece il mondo cinese, come oggi quelli alla periferia o quello ‘laico’, <i>scilicet </i>ateo, va tenuto in gran conto e ammirato e amato?</div>
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Essere arricchiti dagli altri, predicano oggi, essere arricchiti dai cinesi, dalla cultura cinese, predicavano i missionari gesuiti, scrivendo di questa ricchezza nelle loro relazioni di viaggio e nelle lettere ai confratelli del Collegio Romano. Tanto si venera la tradizione altrui quanto si disprezza la propria (non era ancora il caso dei gesuiti, più intricato il loro rapporto). Si va a prendere a destra e a manca, dai confuciani e dagli atei, dagli islamici e dagli gnostici, quasi non ci fosse nulla da inorgoglirsi nell’essere cattolici. Non è una ricchezza, non è la maggiore ricchezza al mondo, che ripaga della miseria materiale, essere i fedeli di Pietro e di Paolo, aver seguìto gli apostoli, far parte di coloro a cui è stato promesso il Regno? Non è una ricchezza straordinaria assistere ai sacri misteri, partecipare al sacrificio del Dio fatto uomo, consumando la vittima, mangiandola? E avere la deipara come regina, i santi come intercessori, i papi come guida? Non è il più grande privilegio poter diffondere il messaggio di salvezza dalla morte a coloro che ancora non lo hanno conosciuto o capito? E possedere una lingua che non solo unisce le chiese di tutto il pianeta, perfino oggi, nei frammenti che restano incastonati di quando in quando nella liturgia, ma che unisce il nostro tempo a quello dei primi apostoli e a quello dell’impero romano che contrassegnò l’antichità (l’unica via per raggiungere l’antico, diceva Hofmannsthal della lingua cattolica), ordunque il latino sarà ancora un sommo bene culturale? A vedere gli heideggeriani che consacrano la lingua tedesca e che considerano termini intraducibili i fantasiosi composti teutonici, riportandoli come un feticcio anche nella pubblicistica divulgativa, vien da chiedersi perché la parola divina debba essere adattata alle forme più indecorose, perché ci si debba accontentare dei significati più miseri offerti dalle lingue volgari. Il patrimonio è questo. Che saranno allora Confucio o Budda, Maometto o Lutero? E ci darà maggior ricchezza, qualche tallero d’argento in più, quell’infelice Kierkegaard o il moralista ossessivo Nietzsche? </div>
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Chi vuole adeguare la Chiesa al nuovo secolo e addirittura al nuovo millennio, farle parlare il linguaggio di tutti, renderla schiava del presente, del soffocante presente – quando ci sarebbe tanto bisogno di una voce <i>inattuale</i> nello stridio di voci e immagini, di simboli, di orticelli consacrati e di templi sconsacrati, di inferni, di corse precipitose verso un <i>telos</i> che è il nulla –, costui ha fatto tesoro della lezione dei gesuiti in Cina ma non prende atto che il <i>telos</i> di padre Matteo Ricci era il Cielo, non il benessere in terra. La Cina non rappresentava per i missionari il destino (casomai il martirio coronava la missione), il mondo ‘laico’ per i neo-evangelizzatori è il destino. Dimentica pure, chiunque voglia sovrapporre direttamente l’evangelizzazione in Cina e quella <i>in partibus nostrae aetatis</i>, che tutte queste voci e immagini assedianti sono un <i>déja vu</i> persecutorio che noi chiamiamo post-moderno e che solo il Verbo eterno può spezzare. La disperazione contemporanea invoca perciò parole sottratte all’uso corrente, alla mercificazione universale, all’oppressione del tempo e considera un insopportabile martirio il vicario di Cristo che parla come un presentatore televisivo. La consolazione delle anime in pena non può avvenire mediante pensieri e parole secolarizzati. Alle persone stanche, abbrutite dalle frasi fatte, dai gesti scontati, manca la promessa di eternità, la possibilità di fuoruscita dal tempo. Ecco una differenza con la Cina di padre Matteo Ricci. Allora non si parlava di età della crisi, le cesure della storia erano miracoli, nei momenti più difficili si intravedeva casomai, anche senza la forza di dirselo, le figure livide del finale apocalittico. Né la decadenza d’Europa era già cominciata. Dominava la storia questo piccolissimo continente, quando i gesuiti presero a guardare altrove. Oggi è l’impero ‘laico’ a conquistare il mondo, la tirannia della comunicazione si impone ovunque. </div>
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Vediamo meglio quel teatro cinese allestito dai gesuiti (e si rimanda anche a un articolo di questo «Almanacco» sulla missione di Ricci <<!--[if gte mso 9]><xml>
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<![endif]--><span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt;">http://almanaccoromano.blogspot.it/search?q=matteo+ricci></span><http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">), vediamo se si tratta della medesima rappresentazione che il Vaticano II ha imposto e moltiplicato nei cinque mondi, o se una impercettibile differenza cambia le carte in tavola. Romano Amerio dedicò in <i>Iota unum</i> troppo scarne righe alla missione dei gesuiti, pur attento a non confondere la Compagnia del periodo d’oro con l’«odierno scadimento». «I Gesuiti – scrisse – infusero nella Chiesa una potente vitalità, proponendosi di organizzare tutto il genere umano e dirigere tutta la terra al cielo, anzi sottomettere, con tale intento, tutte le parti dell’enciclopedia e tutti i rami della convivenza sociale. […] Nel ricercare l’armonia dialettica tra i due mondi, che è sempre difficile, i Gesuiti inclinarono talora a rendere la religione più amica dell’umana natura (inquanto questa è buona e da Dio) che non a contrapporgliela (inquanto questa è corrotta e renitente)». La questione resta assai spigolosa, questa «amicizia» dell’umana natura contrastando con l’avversione evangelica per il mondo e per la natura umana depravata. </http:></div>
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<http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">Era il ritornello delle <i>Provinciali</i> che un Pascal in incognito, teologo dilettante e prosatore eccelso, faceva risuonare: l’innata bontà predicata da Confucio e riecheggiata dai gesuiti era irriducibile alla dottrina del peccato originale. Solo la religione cattolica, i suoi sacramenti, il suo magistero, riscattavano quella natura. L’antico dogma, «nulla salus extra Ecclesiam», ribadito dal catechismo tridentino («quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa, non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono nell’arca»), in effetti non poteva accordarsi con il metodo dei gesuiti in Cina. Gli uomini della Compagnia facevano salire tutti sull’arca, ingresso gratuito. Antoine Arnauld, il Grand Arnauld come lo chiamavano i sostenitori della battaglia giansenista, il fratello di Agnès, <i>badesse</i> de Port-Royal, denunciava che «la Société a changé la face de la Chrestienté». Il compromesso cinese per lui era una eresia. Così accennava a quello strano teatro dei gesuiti: «in Cina si vestono come dei bonzi e così canonizzano nelle loro persone l’idolatria dei loro parrocchiani». Per rendere la Catholica «più amica della umana natura» si rischiava l’accusa di idolatria, si contornava il cratere dell’eresia? Ci si metteva comunque nei panni degli altri: non solo teatro gesuita ma arte tutta occidentale, esclusiva dell’Europa, come l’Illuminismo che ne discende, e che non poteva che nascere dalla civiltà cristiana, da quella singolare costruzione che è il costantinismo, tanto famigerato nel post-concilio novecentesco. (Nel tentativo di deviare la storia, i padri della Compagnia provarono a lanciare una nuova dinastia regale esplicitamente cristiana, attraverso una concubina rimasta incinta dell’Imperatore e convertita al cristianesimo La donna fu battezzata con il nome di Elena. Il figlio con quello di Costantino.) Pertanto i gesuiti, in questa rappresentazione cinese dove vestivano panni orientali, arrivarono a rovesciare completamente il punto di vista, a produrre la più radicale autocritica: i barbari siamo noi. Un certo qual relativismo aleggiava in tale geografia culturale, dove la barbarie girava sul globo a seconda della specola del soggetto. La verità, come sempre in questi eclatanti e cangianti spettacoli, finiva in ombra. Qualcuno si chiedeva già allora se la stessa Rivelazione, la promessa del Regno, non fosse ormai inutile nel più bello dei regni possibili, realizzato con la benedizione dei padri gesuiti.</http:></div>
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<http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">La polemica giansenista batteva su questo punto. Le massime del Vangelo son dure da praticare, i padri della Compagnia le adattano con troppa facilità. Pronti a nascondere la croce per rendere più lieta la novella. Le missioni finora avevano visto i missionari accompagnarsi alle truppe degli Stati europei, la superiorità militare europea doveva mostrare la superiorità della sua religione, incutere rispetto, anzi soggezione. Certo, a noi adesso pare una via contorta quella che conduce a Cristo attraverso la guerra, ma confermare la verità cristiana con la potenza delle armi era la prassi di quel secolo. Con i gesuiti in Cina la penna prese il posto della spada. Ci si presentava come sapienti e si faceva entrismo a corte per poi raccontare ai nobili e ai mandarini che l’Occidente ha una spiegazione del mondo e della vita, che riempie i cuori di gioia: la morte è vinta. La tecnologia che si è sviluppata in Europa, e di cui gli orologi e gli altri capolavori meccanici che i gesuiti avevano portato in missione erano esempi attraenti, attestavano la raffinatezza culturale della civiltà cristiana. Juan Gonzalez de Mendoza, autore della prima <i>Storia della Cina</i>, non era un gesuita bensì un agostiniano, ma evidentemente, per il disorientamento indotto dalla collocazione nell’altra parte del mondo, anche lui si lasciò prendere dalle analogie. Vedeva nelle immagini cinesi una figura «di strana e meravigliosa forma, cui portano grandissima reverenza, un corpo dalle cui spalle escono tre teste […] il che dicono significare che hanno una sola intenzione… », alludendo naturalmente alla Trinità. Oppure: «sogliono dipingere una donna molto bella con un bambino in braccio e dicono che essa lo partorì e rimase vergine… ». Sbiadiva in tal modo il legame con il popolo ebraico, i passaggi-chiave della nostra tradizione, per lasciarsi prendere dalle più esotiche meraviglie del Levante. Pascal ripeteva tetragono che a lui di Confucio non importava granché e che rimaneva fedele a Mosé. Non c’è forse una affinità con quanto accade nei nostri tempi quando, pur senza andare troppo lontano, si limitano a intronizzare icone bizantine nelle chiese barocche, quasi ci fosse bisogno di quel cristianesimo misterioso, vago, sottinteso, non bastando le immagini piene della pittura italiana? Oppure con le conferenze degli gnostici, i libri cifrati che a sentir loro mostrerebbero un generico cristianesimo, esoterico come si conviene alla cultura elevata, con più malia di quello con dottrina e sacrifici prescritti dai catechismi? Al posto della Rivelazione, cominciava ad affermare qualche gesuita secoli prima di Heidegger, ci poteva essere il Disvelamento. </http:></div>
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<http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">Dall’altra parte del mondo, replicava Pascal, scettico sui racconti dei gesuiti, sia su quelli che facevano nelle loro Relazioni per mitizzare la Cina sia su quelli che ammannivano ai mandarini a proposito del cristianesimo facile: «io credo solo nelle storie i cui testimoni sono pronti a farsi sgozzare». La Compagnia era passata invece dal gioco al massacro al gioco di seduzione. Erano amabili con il mondo, i padri della Compagnia, però assai severi con sé stessi, pronti al martirio, umanisti cristiani che firmavano con il sangue i loro messaggi. </http:></div>
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<http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">Rendere «la religione più amica dell’umana natura» è, secondo Amerio, lo sforzo audace della Societas Jesu. Con tale intento, si costruiva una audace teologia che il padre Coton, confessore del re Enrico IV, riassumeva con spirito mondano (oggi si direbbe giornalistico): «Ecco in due parole la teologia che propongo: quel che noi chiamiamo bontà, onestà, civiltà autentica, grandezza di spirito e coraggio, con tutte le altre virtù naturali che troviamo nei pagani e nei peccatori, sono gli effetti della passione del Salvatore» (<i>Intérieure occupation d’une âme dévote</i>). La misericordia si allarga all’intera umanità, la bellezza del mondo, anche di quello pagano, anche di quello dei peccatori incalliti, è il risultato dell’Incarnazione divina. In una lettera di denuncia dell’operato della Compagnia indirizzata a papa Innocenzo XII, i rappresentanti delle Missioni estere di Parigi (la grande concorrente della Compagnia nel proselitismo cinese) potevano concludere: «i gesuiti sono troppo buoni: vorrebbero salvare tutti e non iscomodar alcuno, ma non si possono queste due cose conciliare. Sonovi delle occasioni nelle quali si dee scegliere una di queste due, e adoperare la massima: chi vuol salvare una vita la perderà; e chi avrà cuore di perderla la salverà». </http:></div>
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<http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">La Chiesa di Roma ha avuto in ogni epoca i suoi tormenti. Non si deve immaginare una lunga età dell’oro alle spalle, senza persecuzioni, senza travagli interni, senza peccato. Però l’evo moderno è più subdolo, colpisce al cuore l’uomo devoto, disintegra la sacralità, e gioca anche sul proprio ambiguo nome, ché ‘moderno’ è parola cristiana, con la storia lineare che corre verso un fine, escatologia annunciata dalla Scrittura. La Chiesa di padre Ricci non è comunque quella del primo gesuita diventato «papa bianco». La Chiesa di Roma del Seicento appariva trionfante, non ancora «umiliata, diminuita, scoraggiata», come la definisce oggi l’arcivescovo di Vienna. Non inorridite dunque se l’«esortazione» argentina propone dei singolari missionari, ricordatevi che i gesuiti «sono troppo buoni: vorrebbero salvar tutti»; ma non è neppure la prima volta che si riscontrano dei seri danni derivati dalla buona volontà. Rendere il cristianesimo amico dell’uomo è cosa buona e giusta, renderlo amico del mondo è cosa rischiosa. Ai tempi di padre Ricci, probabilmente il medium non era ancora il messaggio. Non un dettaglio da poco. </http:></div>
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<http: almanaccoromano.blogspot.it="" q="matteo+ricci" search="">Morale del racconto. Tanta attenzione a non scalfire le tradizioni (purché non si tratti di quelle nostre) e poi comunque arriva la globalizzazione e trascina via tutte le forme diverse, le riduce a una sola, con un sol pensiero, una sola moneta, un unico scambio. Quello che non si volle concedere a Dio, quell’universalità che unificava gli umani nel segno latino della Chiesa romana, è concesso alla potenza del denaro. Restano soltanto i fedeli della tradizione a difendersi da simile ineluttabilità.</http:></div>
<div class="blogger-post-footer">http//almanaccoromano.blogspot.com/feed</div>ALMANACCO ROMANOhttp://www.blogger.com/profile/07017986658511213573noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-494916140132786449.post-8233961135235974852013-12-05T03:16:00.001-08:002013-12-07T01:53:40.120-08:00Il gesuita modernissimo<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #666666; font-family: Georgia;">~ </span><span style="color: #666666;">A PROPOSITO DI UNA «ESORTAZIONE» </span><span style="color: #666666; font-family: Georgia;">~</span><span style="color: black;"></span></div>
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<span style="color: black;">Gli ottimisti avevano sperato in una resipiscenza, scrutavano i segni, piccoli segni invero, e già si rincuoravano e confortavano a loro volta, con ragionamenti lambiccati, i confratelli nella Catholica: il Sudamericano non era un marziano a Roma, la successione apostolica procedeva con qualche balzo, causa anche l’espressività imprecisa di chi non parla la lingua madre (secondo le disposizioni di Ignazio di Loyola per strappare il suo esercito dalle radici etniche e farlo approdare all’universalità) ma neppure ricorre al latino che serve meravigliosamente a forgiare un magistero in sfida ai secoli invece di squagliarsi nel gergo effimero; si adducevano pertanto attenuanti prodotte dall’incomunicabilità e si concludeva che dopo tanti equivoci scatenati dagli ermeneuti maligni – quasi ci si trovasse di fronte a una Pizia ambivalente, sempre da interpretare, invece di un pontefice che dice «sì sì, no no» – finalmente l’uomo di bianco incoronato dai mass media tornava a dire le parole di sempre, quelle del Vangelo. </span></div>
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<span style="color: black;">Bastò risuonare nell’<i>incipit</i> quel grido di «Allegria!» – alla maniera di un celebre presentatore della televisione quando voleva scuotere il suo pubblico sonnolento e iniziarlo ai messaggi pubblicitari – perché crollassero le beate illusioni. La «esortazione pontificia» <i>Evangelii Gaudium</i> somigliava atrocemente ai prodotti della televisione. Procedeva per slogan, «non fatevi rubare la gioventù!», «non fatevi rubare la speranza!», e altre celie del genere, intanto veniva lasciato incustodito il tesoro millenario e astuti comunicatori provavano a scassinare il Deposito della fede.</span></div>
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<span style="color: black;">L’allegra intonazione della epistola alla cristianità, la volontà anche per spirito gesuitico di occultare ogni parvenza di dramma, non riusciva a cancellare il motivo di fondo: il cattolicesimo postconciliare perde colpi ogni giorno. La fede, opportunamente aggiornata, muore. Da mezzo secolo in qua, più la Chiesa si protende verso il mondo e più quello si ritrae, considerando poco interessante accostarsi a qualcuno che parla il tuo stesso linguaggio, ma di seconda mano. Una mondanità contraffatta, come i falsi delle borse di lusso, costruita da preti «simplices sicut columbae», non è attraente. Convinti che l’ideologia contemporanea getti una luce sulla fede – si dice infatti che la tradizione va letta <i>alla luce</i> della modernità – si procede da tempo con gesti concitati di autodemolizione, un po’ come accadde all’Urss a furia di misurarsi con l’Occidente e di vedersi sempre indietro di qualche decennio. È arrivato un Gorbaciov sul Trono di Pietro? Un autodistruttore?</span></div>
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<span style="color: black;">Non se ne faccia comunque una questione generazionale, la tradizione è una faccenda ben più seria della nostalgia per l’infanzia, non è proprio il caso di ricorrere ancora una volta al sentimentalismo. E poi anche prima del Concilio la Chiesa era in crisi. Sempre in crisi, in attesa del ritorno promesso di Cristo, ma avvolta in una crisi sanguinante e tragica dall’avvento della modernità. Né il Concilio Vaticano I né il <i>Sillabo</i> avevano sanato le contraddizioni. Le parole erano logorate, coperte da tanta polvere. I padri conciliari del Novecento ne fabbricarono di nuove, avendo per conio la parola laica, autonoma dalla verità e da Dio. Quelle dell’ultimo vescovo di Roma sono addirittura rubate all’uomo della strada, depresso, fiacco, accasciato, titubante quando pronuncia le parole sacre. E il vescovo, fin dal suo primo giorno, ha paura di dirsi papa. Il pastore non rincuora il gregge, ne ripete il petulante belare, suscita confidenza <i>au pair</i>, non si assume il ruolo di guida. Sarà forse la suprema umiliazione per la Chiesa questo pontificato che non vuole chiamarsi con il suo nome, che segue a un misterioso trauma, il papa che ha lasciato il trono di Pietro per spossatezza; sarà una prova dolorosa nella sua interminabile vigilia, una penitenza squassante. A immagine del suo fondatore, subisce così una pubblica flagellazione, le vesti antiche e preziose, gli ornamenti, le vengono strappati. I suoi fedeli più poveri sono coloro che di fronte allo spettacolo della madre martoriata soffrono maggiormente. Le ricchezze che avevano riempito i loro occhi erano soltanto quelle che contemplavano sugli altari.</span></div>
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<span style="color: black;">Giornali, blog, televisioni, tutti quei mezzi che concorrono a costruire la cosiddetta opinione pubblica, e che in realtà è assai privatizzata, hanno preso diletto a tirare il personaggio vestito approssimativamente di bianco da una parte o dall’altra, ad attribuirgli sentenze sempre da aggiustare, a collocarlo di volta in volta tra le file dei progressisti e tra quelle dei tradizionalisti (quasi due squadre in sempiterno derby), trovando citazioni buone per tutti gli usi e anche per gli abusi (più arduo francamente inserirlo nella parte della tradizione, come non fosse successo niente, mentre basterebbe l’avversione per la cura liturgica, ribadita dai primi giorni, anche in modo burbanzoso, per stabilire la cesura con gli altri papi postconciliari, perfino con quel Paolo VI che sul rito latino da lui stesso soppresso sparse almeno copiose lacrime). Colpisce la mancanza d’eleganza nel pensiero – il culto della forma essendo caratteristica del cattolicesimo –, la sciatteria espositiva, l’estraneità alla solennità romana. Sarà allora legittimo intervenire su quanto avviene, criticare testi e gesti, richiamare i punti fermi del dogma, gridare al pericolo, avviare discussioni, fare confronti, sottrarsi all’untuosa iperdulia, perfino essere scossi da santa irritazione, ma non è ammissibile infilarsi in un paradosso ridicolo. </span></div>
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<span style="color: black;">Che cosa c’è di più paradossale, infatti, del fedele alla tradizione cattolica che istituisce dei tribunali dell’inquisizione, formato personale, per sottoporre a giudizio papi e autorità gerarchiche?. Questa è una parodia della Riforma protestante, anzi è ancora più ‘protestante’ del luteranesimo, in fondo il frate agostiniano almeno all’inizio voleva discutere delle sue tesi, non sostituire il pontefice. Ma si legge di preti che decidono da un giorno all’altro di non riconoscere più il potere papale perché l’attuale vescovo di Roma avrebbe commesso un peccato di eresia (scandalizzati magari per una citazione di Paolo che loro non padroneggiano troppo). E quando mai è la coscienza del singolo che decide se un papa sia ancora papa o no? La Chiesa di Roma basa la sua organizzazione sul diritto canonico non sulle intuizioni profetiche o mistiche, anzi diffida moltissimo del profetismo e della mistica che vogliono modificare la gerarchia. Anche di fronte a casi di svendita del <i>patrimonium fidei</i>, non è con un gesto individuale che si mette a posto l’organizzazione di Pietro. Sono le regole della tradizione che prevedono procedure rigorose anche al cospetto di degenerazioni plateali. Nella razionalissima Catholica non si decide in base al capriccio del singolo, né in base alle proprie conoscenze (gnosi). Il parere giuridico e teologico va confrontato al parere di chi è preposto a quell’ordine, di istanza in istanza, secondo la gerarchia. Troppi tentarono di sovvertirla credendo di avervi individuato l’Anticristo, le strade dell’eresia essendo lastricate da questi terribili equivoci. L’obbedienza resta una virtù basilare anche se l’attuale vescovo di Roma non la menziona mai nel suo documento programmatico.</span></div>
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<span style="color: black;">Ciò premesso, va pure precisato che questo «Almanacco» non ardisce stabilire quello che debba fare e non fare il successore di Pietro, sarebbe buffa e vana cosa prima che gesto di superbia tacchinesca; né pretende offrire risposte teologiche intorno al programma esposto nella «esortazione», limitandosi ad accennare a due o tre motivi in margine, dall’abbandono del linguaggio papale per discorsi volutamente senza forma (eppure il Logos è forma) al disprezzo nei confronti di Roma, dunque per quello che ha rappresentato e rappresenta. Ne viene fuori un ritrattino appena abbozzato, dove la prima caratteristica, alquanto preoccupante, è la mancanza di scandalo intorno al nuovo vescovo di Roma, scandalo che è iscritto nel destino del cristianesimo («scandalo per i giudei, stoltezza per i gentili» 1 Cor, 1, 22-24) e che ha accompagnato i papi dell’ultimo secolo. Qui c’è invece approvazione piena e comunque lode sperticata da parte di chi non crede in Gesù Cristo e non si interessa nemmeno al suo messaggio. Nessun timore per questo plauso sospetto? Non si tratta del consenso dei suoi fedeli, le folle festanti che accolsero ovunque Karol Magno, ma il successo presso i laici manipolatori delle opinioni, che puntano soltanto alle ‘aperture’ della Chiesa, ai varchi, ai crolli della costruzione, coloro che si accanivano contro il papa polacco e contro il papa tedesco quando questi due scuotevano le coscienze contemporanee, i pregiudizi più saldi.</span></div>
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<span style="color: black;">Cominciamo con la confusione che si rileva nelle prime pagine della «esortazione». La lieta novella apportata dagli apostoli, il gaudio di scoprire un senso nel cosmo e un senso nella nostra vita, garantito da Dio, la promessa che il senso della vita terrena sta in quell’approdo che segue la morte corporale, la speranza nel corpo celeste che è stato ammesso in Paradiso, la positività cattolica, insomma, si trasforma in una giocondità che la Bibbia proprio non mostra. Una arrampicata sugli specchi per scovare citazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento che testimonino di un brio moderno, di una leggerezza dell’uomo slegato dalla sua <i>dignitas</i> o del bimbetto irresponsabile. Cristo non rise qui in terra, i maggiori pittori, fedeli alle Scritture, si guardarono bene dall’atteggiarlo ilare: severo nella vita terrena e severissimo, a cominciare da quello di Michelangelo, nel Giudizio definitivo. Se poi talvolta gli sfuggì una risata, che lo avrebbe confermato nella forma dell’uomo che prese, gli evangelisti non ce lo raccontano. Per attribuirgli il buonumore, un popolarissimo filosofo veneziano è arrivato a definirlo ironico nelle sue parabole, ironica, secondo lui, la storia delle vergini sagge e delle vergini stolte, ma se il Messia sorridesse sotto i baffi nell’esporre la terribile fine delle escluse, la tragedia di chi sarà dannato per sempre, egli sarebbe un cinico gnostico (il professore si è forse guardato allo specchio?). Casomai il tema suggerito da quella parabola apre la più difficile delle riflessioni cristiane, quella sulla salvezza riservata a un determinato numero, il mistero della misericordia che rispetta la giustizia, il dolore per coloro che finiranno all’Inferno, altro che ironia. Non è tutto un teatrino giulivo, né i disperati moderni si riescono a soccorrere con le battute da oratorio. «Spirito di patata», diceva Ollio quando Stanlio provava a metter su qualche insulsaggine con la pretesa d’essere spiritoso, lo stesso «spirito di patata» che contraddistingue i preti attivisti della «pastorale», i giovanilisti, gli euforici che porgono la mano al mondo. Fin dal primo giorno, l’Argentino con la battuta del vescovo rinvenuto alla «fine del mondo», calembour sull’Apocalisse, rovesciamento in burla di parole sempre temute, ci ricordava quei preti che nella nostra infanzia apostrofavano i bimbetti: «ah, fai la quinta alimentare…», e subito ci ridevano per primi, a pavoneggiarsi con la cordialità, mentre dentro di noi si restava male per una simile sciocchezza, non riuscendo a capire come un ministro di Dio fosse talvolta così scemo. E che altro è l’atto di staccare le mani giunte al chierichetto, domandando se fossero incollate, minishow in cui si è esibito davanti alle telecamere il vescovo di Roma? Quante se ne sentirono di battute del genere anche nelle sacrestie dei Cinquanta, segno non di chissà quale eresia serpeggiante ma soltanto dello scherzetto da prete che ha lunga vita, di patetici tentativi di rendersi simpatici a ogni costo. Sennonché, e i giornali ci sguazzano, con tali scherzetti, e a tali altezze nella gerarchia, le cose sacre vengono inficiate peggio che con la blasfemia, la lingua sacra essendo irriducibile alla inflessione ironica o parodistica. Forse per questo Cristo non rideva, almeno nella testimonianza dei Vangeli.</span></div>
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<span style="color: black;">Quanta pazienza è richiesta per scorrere le pagine dell’«esortazione», prevedendo con facilità che non si incontreranno i ragionamenti dotti del predecessore, non più le citazioni di Nietzsche e di Adorno cui ci aveva abituato il prof. Ratzinger, soltanto un lungo, ripetitivo, verbale di riunione parrocchiale, domandandoci perciò di tanto in tanto perché mai una persona raziocinante si dovrebbe interessare a un tale genere letterario scaturito dalla burocrazia clericale, cui si aggiungono le insegnanti di scuola che l’affiancano, pie dame che dedicano i loro pomeriggi a intorcinare la prosa degli evangelisti. A furia di buttar via la solennità, di fare a meno della forma, si finisce preda del peggiore gergo della comunicazione mercificata. Ci si appella ai poveri di spirito, ma con la fuffa della <i>Kultur</i> contemporanea. Eppure procediamo nella lettura perché tra le frasi giornalistiche attribuite allo Spirito Santo fa la sua comparsa un triste programma di demolizione della cultura cattolica, condito di risentimento. Non sarà che una eclissi, ci ripetiamo fidenti, però nel tempo che ci resta da campare rischiamo di passare gli ultimi giorni in fitte tenebre.</span></div>
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<span style="color: black;">Chi arriva al secondo capitolo si accorge che le pagine si contraddicono l’una con l’altra (del resto, qui </span>se la prende con la «mentalità individualistica» e altrove conforta i miscredenti con la storia della coscienza quale unico tribunale)<span style="color: black;">, la pochezza teorica essendo tale in questo gesuita moderno (ossia lontano dall’erudizione alla quale ci abituarono quelli di altri secoli) che si limita a mettere in fila dei luoghi comuni da parroco che ce l’ha con i superiori e che finalmente, per un colpo di scena, è stato chiamato a dir la sua a Roma. Un anonimo della periferia della cattolicità che, finito sotto i riflettori, parte all’attacco di tutta la dottrina e dell’apparato e delle regole. Subito dopo appiccicandoci devozioni popolari e gesti dimessi. Come in una sceneggiatura di un film improbabile. Eppure un povero curato dell’altro mondo che fosse cresciuto negli studi tradizionali, qualche gaffe la commetterebbe pure, qua e là avventurandosi su pericolose impalcature teologiche, ma i fondamentali li garantirebbe. Ci troviamo invece di fronte a una melassa sentimentale che si oppone alla oggettività cattolica. «Conversione del papato», vi leggiamo, il magistero ridotto a noticine a piè di pagina dei Vangeli (e note di sfrenato soggettivismo, da somigliare ai diari d’adolescente piuttosto che alla costruzione razionale dei teologi), la missione affidata a tutti, come nella vulgata protestante. Facile la domanda che vien su immediatamente: perché scegliere Roma e non Heidelberg o Mosca? </span></div>
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<span style="color: black;">Dalle sue parole la Chiesa appare proprio una Ong, sigla che sta per una impresa commercial-caritatevole, che cura malati e sfortunati, quasi in queste attività assistenziali esaurisse la sua missione, lasciando da parte la celebrazione solenne della potenza divina che non si può condividere con l’umanità secolarizzata. Anzi, secondo l’autore della «esortazione», chi si attarda in simili attività di altre ère, è un ideologo che sottrae tempo prezioso al sociale, un ossessionato dai riti. La voce dell’eterno manca del tutto in questo discorso attraversato da piccoli impegni del nostro orizzonte quotidiano. Chiacchiere tra schiavi della storia, a cui viene sottomesso di tanto in tanto anche il santo Vangelo, opportunamente selezionato. «Siamo figli di quest’epoca» è il grido orgoglioso.</span></div>
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<span style="color: black;">Però, prima di sacrificare a favore del sociale quanto di più eccelso possieda il mondo, la liturgia cattolica messa a punto dai santi, prima di liquidare la faccenda come si fa nella «esortazione», dove viene utilizzata la formula </span>«stile del passato», con l’imperdonabile vizio di guardare ai modi del rito dal punto di vista estetico (seguendo le tre età: antica, moderna e contemporanea), è buono ricordare che. i malati, i vecchi, i poveri amano sentire i preti che raccontano loro le meraviglie del Paradiso piuttosto che le piccole infelicità terrene di malati, vecchi, poveri. In quelle infelicità sono immersi quotidianamente. Il tempo liturgico riesce a dare loro maggior conforto del tempo della loro quotidianità, dei giorni della sofferenza che si snodano trascinando al precipizio. De profundis l’animo tribolato grida e chiede un tempo speciale, quello del rito.</div>
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<span style="color: black;">La faccenda della predilezione di un ermeneuta posato del Concilio aveva entusiasmato il versante tradizionalista. Una concordia, si è accennato all’inizio, durata ben poco. Nella «esortazione» trova invece coronamento l’ideuzza prometeica, scaturita nell’assemblea vaticana di mezzo secolo fa, secondo la quale con quell’adunata episcopale si fece un salto di duemila anni e si tornò al cristianesimo dei Vangeli, dopo un equivoco durato per tutta la storia cristiana, perché i nostri padri e i padri dei nostri padri, i santi e i pontefici di questa religione, i poeti e gli artisti e i musici che la addobbarono e la fecero risplendere agli occhi del mondo, tutti avrebbero commesso un peccato mondano, tutti corruttori e corrotti, ingannatori o ingannati, tutti fino ai Lumi conciliari, all’intuizione di un vecchio papa bonario, ai libri di oscuri francesi e tedeschi professori in teologia. Prospettiva già postmoderna, priva della più elementare carità verso il passato, dissipatrice del patrimonio petrino, anche del sangue copioso dei martiri, dei testimoni, traballante fin dal suo concepimento, mentre si scriveva, con documenti che a distanza di un relativamente breve intervallo temporale mostrano il grottesco, scopiazzati come sono da personaggi dello star system filosofico e letterario laico anni Cinquanta, roba che eccitava i seminaristi del tempo in libera uscita ma che si usurò rapidamente come tutti i pensieri alla moda. Carità di patria vorrebbe che si stendesse un pietoso silenzio su quelle montagne di carta, ché solo un sottile avversario potrebbe tradurli integralmente, pubblicando a fianco le imbarazzanti fonti. Sai che pena: queste le teorie che pretendevano sconfiggere il pensiero di Tommaso e di Bonaventura, queste le scritture che pretendevano buttarsi alle spalle l’arte letteraria di Dante e di Galileo. E infatti, nei decenni che sono intercorsi, i più fedeli alle scartoffie burocratiche conciliari si sono limitati a distillarne qualche citazione, a ripeterne le parole d’ordine. Ora, senza mantenerne le distanze, quei discorsi invecchiati vengono riproposti dal vescovo di Roma che li traduce in un linguaggio ancor più rozzo e infiammato, avendo tagliato i ponti con ciò che restava di aulico nell’assemblea conciliare, e presentandosi come una specie di allenatore delle partite di calcio che tanto gli stanno a cuore, un Mister del solidarismo che s’agita, urla e abbraccia sui campetti di periferia, non mancandogli neppure l’allure tracotante di certe figure del football.</span></div>
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Si diceva del gesuita moderno. Non è solo un quantum culturale a distinguerlo dai suoi confratelli del passato che rappresentavano la longa manus della Chiesa in ogni dove, che preoccupavano le teste coronate del secolo dei Lumi al punto da chiedere a papa Clemente XIV lo scioglimento dell’ordine. Né pesarono solo le accuse che Gioberti rimetterà in circolazione nel primo Ottocento, raccogliendo maldicenze e cattiverie di mezzo mondo contro la Societas e i suoi uomini: lassismo morale, misticismo, ingerenze politiche… Fu soprattutto la loro principale caratteristica di agenti segreti e palesi del papato, di pretoriani spirituali di Roma, di fedelissimi della persona del pontefice, che spaventarono laici e clero. Perfino regicidi furono considerati, sovvertitori dell’ordine sociale, a maggior gloria della supremazia del papa. Anche i gesuiti moderni si batterono per la massima centralizzazione del cattolicesimo, slegati dai vescovi locali, vincolati al papa con un voto speciale. Difensori in formazione a testuggine del potere pontificio per il periodo del cosiddetto Risorgimento, araldi del <i>Sillabo</i> e del dogma dell’infallibilità papale, sconfitti in Germania dal Kulturkampf, schierati nel Novecento contro il Modernismo. Almeno fino alle vicende scapigliate dell’ultimo mezzo secolo, quando cioè la Compagnia parve rovesciare la propria storia, i gesuiti mantennero fede al voto di obbedienza assoluta – «proprio come un cadavere» – alla volontà del successore di Pietro. Sempre meno obbedienti nell’ultimo scorcio, i padri gesuiti dimenticarono Roma, le voltarono le spalle, la denigrarono. Per finire con il gesuita modernissimo che, salito al soglio, si mette a smantellare l’idea di primato, a favore del policentrismo.<span style="color: black;"></span></div>
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<span style="color: black;">Fine del papato, ci annuncia nella «esortazione», o meglio, «conversione del papato» dice con gusto provocatorio, almeno così come lo abbiamo conosciuto nei secoli dei secoli, fine della liturgia che anticipa in terra il Paradiso, fine anche del magistero (per adesso, la coscienza può bastare) e della teologia. Al loro posto, un po’ di sociologia e molto psicologismo. Si badi a come il vescovo di Roma condanna i reprobi. Qui non si dice il modo, che peraltro non è certo amorevole, ma in nome di chi e di che cosa egli emette le sue condanne. Non ricorre mai a sentenze di papi o di dottori della Chiesa, e men che mai ai Concilî dogmatici, non c’è dogma né sono evocate tavole assiali ben fondate, si tratta semplicemente di un giudizio psicologico, e si sprecano termini come ‘narcisista’ o ‘autoritario’, naturalmente per raffigurare gli unici nemici della sua missione: coloro che restano fedeli ai padri. Il solo peccato contro lo Spirito sarebbe la celebrazione rituale, l’osservanza delle regole messe a punto da Gregorio Magno e, ancor più grave, la mancanza in tali celebrazioni di fantasia e inventiva. Si arriva alla critica della «cura ostentata della liturgia». Risibile il successore di Pietro che incita alla «incuria liturgica», alla trasandatezza nei sacri riti, o quantomeno a ostentare negligenza sull’altare per poi magari, sotto sotto, celebrare con devozione. Questo possiamo dedurre da una sì strampalata frase che però sgorga dal petto ‘conciliare’, sentimento vivissimo di antipatia per quell’universo tanto distaccato dai fenomeni terreni, benché l’Onnipotente vi prenda forma nei concreti pane e vino. Torna insistente la frase fatta del museo, liturgia d’altri tempi da confinare nel museo. Non ha mai letto, lui così ecumenico, il vescovo di Buenos Aires che intratteneva buoni rapporti con la chiesa ortodossa, con gli esuli sfuggiti al comunismo e finiti nel nuovo mondo, il libretto del santo pope Florenskij, ucciso nei campi di concentramento dai bolscevichi: per difendere le reliquie della tradizione dalle violente incursioni dei rivoluzionari, padre Pavel Alexandrovi</span><span style="color: black; font-family: "Book Antiqua";">č</span><span style="color: black;"> sosteneva in lingua laica che icone e sacri arredi erano irriducibili al museo, che la loro forza si impone a dispetto dei secoli. Ma il vescovo cattolico ha chiuso le Porte regali, l’iconostasi dove si originano il mondo visibile e quello invisibile, preoccupandosi soprattutto dei piccoli mali ultravisibili.</span></div>
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<span style="color: black;">Povero vescovo di Roma che ha in animo di scatenare una guerriglia spirituale contro chi affama il suo Terzo Mondo e che nella prima epistola ufficiale si lascia andare ad ammissioni che neppure i propagandisti dell’Occidente avrebbero più il coraggio di diffondere: egli si fa laudatore di tre successi moderni, a suo parere dei notevoli punti d’arrivo del progresso (questo totem che inganna anche i papi). I tre campi del trionfo umano sarebbero quelli della salute (e bastano gli scritti di Ivan Illic a smentire quel mito), dell’educazione (cioè dell’addestramento al pensiero unico) e della comunicazione (lo spettacolo delle merci che mercifica la persona). Peccato che ci siano pochi soldi in giro – si rammarica –, che non si possa far godere l’intera umanità di tali beni eccelsi, altrimenti sarebbe davvero il Paradiso in terra. </span></div>
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<span style="color: black;">Affinché allora tutti usufruiscano di un simile <i>bonum</i>, del prodotto più altisonante del capitalismo occidentale, il successore di Pietro grida il suo no alla «economia dell’esclusione». Un aggiornato «ut unum sint»: che tutti siano inclusi in un unico sistema, anche se quell’ordine non ha niente di cristiano. Si compiangono le grandi masse che, fuori dalla economia globale, restano «senza prospettiva». Ma perché mai per la Chiesa di Roma la prospettiva dell’umanità sarebbe il salario, la sottomissione alle necessità economiche? Era forse questo il contenuto del gioioso annuncio evangelico? Uno spettrale scenario pare il sogno del vescovo dell’Urbe: tutti inclusi, un’economia unica, un pensiero unico, senza differenze né scarti, all’insegna della mediocrità, ancor peggio del socialismo, più sentimentale e quindi con maggiori rischi di morire di fame tutti, sia pure con le più belle intenzioni di questo mondo. </span></div>
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<span style="color: black;">Siamo nel limbo malinconico della vaga sinistra, dove si ripetono i lamenti che non porteranno mai ad alcuna soluzione. Generiche critiche della globalizzazione che vìola le culture locali. Non si ricorda mai che anche quelle europee, cristiane appunto, specificamente cattolica in Italia, sono sottoposte a una trasformazione violenta. Adesso la maestra delle elementari ha paura di fare il presepio. Ma al vescovo di Roma non gliene importa niente. Si duole soltanto se gli idoli africani sono stati respinti dai missionari con il Vangelo.</span></div>
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<span style="color: black;">La Cattedra</span><span style="color: black;"> petrina pronuncia una «esortazione» per rubare le coloriture a <i>Blade Runner</i>: «le città sono scenari di proteste di massa». Invece di mostrare l’orrore del cristianesimo finito nella «massa», così come faceva con passione il teologo e letterato tedesco Romano Guardini di fronte alla Germania distrutta dalla massa, invece di dare un affettuoso rabbuffo agli stolti che perdono il loro tempo, facendolo perdere anche agli altri, nell’occupare vie e piazze, dà loro credito, quasi si trattasse di un evento apocalittico. </span></div>
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<span style="color: black;">Si vuole tanto storicizzare la verità cristiana, sia lecito storicizzare anche le parole del suo massimo custode. A Roma ha portato le frasi fatte della teologia sudamericana dei poveri. Una mescolanza velenosa e soprattutto ambigua: la povertà evangelica, lodevole, punto di arrivo del cristiano, segno virtuosissimo del distacco dal mondo, si rovescia nella povertà socialista da colmare con il lavoro salariato. Scriveva Giacomo Leopardi alla sorella: «la felicità e l’infelicità di ciascun uomo (esclusi i dolori del corpo) è assolutamente uguale a quella di ciascun altro in qualunque condizione si trovi questo o quello. E perciò, esattamente parlando, tanto gode e tanto pena il povero, il vecchio, il debole il brutto, l’ignorante, quanto il ricco, il giovane, il forte, il bello, il dotto: perché ciascuno nel suo stato si fabbrica i suoi beni e i suoi mali; e la somma dei beni e dei mali che ciascun uomo si può fabbricare, è uguale a quella che si fabbrica qualunqu’altro» (Lettera a Paolina Leopardi del 28 gennaio 1823). Fin qui arriva la saggezza laica, poi sopraggiunge la Chiesa con l’Inferno e il Paradiso a cambiare la prospettiva, al di là di questa stoica accettazione dello stato di cose, a indicare la felicità assoluta e la rovina eterna. Nella «esortazione» del vescovo gesuita si parla tanto di poveri, ma senza la giustizia del Paradiso e dell’Inferno che senso ha? (Si veda,sull’«Almanacco» di pochi mesi fa, la predicazione di un altro gesuita, il nostro sommo letterato Daniello Bartoli, affrontare il tema spinosissimo della povertà: <a href="http://almanaccoromano.blogspot.it/search?q=daniello+bartoli">http://almanaccoromano.blogspot.it/search?q=daniello+bartoli</a>).</span></div>
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<span style="color: black;">«La solitudine si deve fuggir» era il ritornello dei collegi gesuiti d’una volta dove si temevano le pratiche erotiche solitarie. Calcetto Balilla e cineclub rappresentavano le alternative. Il sabato pomeriggio, i giovani borghesi si recavano nelle borgate a portare i pacchi ai poveri. Adesso il gesuita che ha preso il potere assoluto della cattolicità indica altri impegni sociali. Vuole tutti missionari e rivoltosi e sacerdoti al contempo. Tutti indistintamente, come neppure un papa medioevale avrebbe mai preteso. Viene a mancare quel realismo romano che è stato uno dei più miracolosi doni della Provvidenza nei venti secoli di civiltà cristiana.</span></div>
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<span style="color: black;">Un tempo Paolo VI predicava la pace come fosse un redivivo Innocenzo III, sentendosi soggetto terzo tra i sovrani del mondo in lotta. Corroborato dalle teorie medioevaleggianti di Maritain, anche alla tribuna dell’Onu parlava come se fosse affacciato alla Loggia lateranense, parlava in nome della Chiesa millenaria, «esperta in umanità», rivolgeva con moniti da re dei re messaggi politici, magari un po’ inutili. Durante la guerra in Vietnam, per esempio, gli Stati Uniti, benché colpiti da tanta maestosità, tendevano a rinchiudere l’attività papale a favore della pace nell’azione propria della Croce Rossa, in un ospedale da campo vagamente metafisico dove scambiare i prigionieri. Passato appena mezzo secolo, nel residence Domus Sanctae Marthae i discorsi da parroco sulla fratellanza nei quartieri, su gelosie e invidie, agitano piccole emozioni solo nelle folle che non hanno niente di meglio da fare che accasciarsi stanchi davanti allo schermo televisivo. Sono sfiorate, quelle folle, da un reality evangelico, da un’amorevole telenovela latino-americana, anche nei modi espressivi, non trasformate dal Logos cristiano. In meno che non si dica il telecomando porta su un altro canale, in un’altra emozione.</span></div>
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<span style="color: black;">Lo sceneggiato spumeggiante d’amore in onda dall’albergo vaticano si intorbida su un solo punto, quando si additano i cattivi. Sul medesimo piano vengono fatti comparire gli gnostici e i neopelagiani, intendendosi con quest’ultimo termine, Dio solo sa perché, i fedeli alla tradizione cattolica. A voler dare patentini eretici, basterebbe evocare i marcioniti per cui risultava indegno del Padre giudicare... Ma non si è così ottusi da scivolare in simili polemiche, si sa benissimo che all’origine c’è la buona volontà della Compagnia, il suo ottimismo trascinante, che fa sparire nella «esortazione» la giustizia divina. Il fatto è che la spregiudicatezza degli ignaziani andava di pari passo con la cultura della sottigliezza, con lo straordinario addestramento intellettuale. Il gesuita modernissimo fa solo l’ottimista. Dalle sue parti spira lo stesso spirito che nel mondo della réclame. Ma anche dalla parte opposta non si intravede un Blaise Pascal né i ferrei logici di Port Royal.</span></div>
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<span style="color: black;">Collocare in trono un papa non europeo è stato uno sconvolgimento culturale dal momento che la Chiesa degli ultimi decenni non è più universalistica, romana. In Sud America vige il terzomondismo teologico e ci si scontra con le sètte pentacostali, il carisma rock, le magie spettacolari. La battaglia non è però dottrinale, si scende sul terreno dei settari, tra dialogo e concorrenza spiccia a base di ‘creatività’ mistica. Quella che, non a caso, il vescovo argentino vede tanto di buon occhio. Allo stesso modo, un presule africano sarà alle prese con il tribalismo e la magia degli stregoni, uno asiatico con i sincretismi religiosi in voga laggiù, cosicché ciascuno verrebbe ad avere un punto di vista particolare che, una volta a Roma, lo porterebbe a forgiare la curia secondo il suo modello locale. Ora, invece di sottolineare con forza la centralità romana, Pietro che viene a Roma e parla il linguaggio di quell’impero universale, Paolo apostolo delle Genti che proclama il vanto della sua cittadinanza romana, invece di ritradurre in latino le denunce e i tormenti delle periferie del mondo, invece di rileggerli alla luce della dottrina universale e oggettiva, si taglia la testa al papato e ci si lascia andare alle Chiese acefale. Non ci si modella più sul Credo, «una, santa, cattolica», che appunto vuol dire universale, unica per tutto l’orbe, ma sull’Onu, con le conferenze nazionali. I santi che nell’Inghilterra di Maria Stuarda o nella Germania della guerra dei Trent’anni o nella Cina delle Chiese di regime restarono eroicamente fedeli a Roma, a quel luogo metafisico scelto da Cristo per costruire l’impero delle anime, gli innumerevoli santi martiri di una battaglia millenaria contro il potere politico, si sentono oggi un po’ traditi da una simile «affettività anti-romana», come la definiva Carl Schmitt.</span></div>
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<span style="color: black;">Edgar Wind, uno dei grandi studiosi novecenteschi del Rinascimento, citava con deferenza Pio XII per dei passi di una sua enciclica in cui trattava dell’arte sacra. Le frasi sulle immagini del suo attuale successore offrono uno spunto proficuo per discussioni al bar, semmai al bar si dibattesse di simili temi. La <i>Evangelii Gaudium</i> si fa così paladina della pseudoarte delle istallazioni. <i>Tout se tient</i>. Il papa pop non può non rilevare le affinità elettive con questa estetica della desolazione e scrive ai suoi preti: aprite le chiese alle brutture del Contemporaneo, anche se non le capite, anche se ne provate ribrezzo, fidatevi dello spirito del progresso, se piacciono alla gente usatele, il fine giustifica i mezzi, altro che Machiavelli, forse è un motto ascrivibile alla Societas, il frutto della volontà generosa di tutto sottomettere alla cristianizzazione della terra, anche se il fine, come in questo caso, non può strumentalizzare certi segni estetici perché di una brutalità che chiama in causa Satana. </span></div>
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<span style="color: black;">Le parole precise con le quali si autorizzano e promuovono nuovi mostri nei templi cattolici sono queste: «</span>È auspicabile che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”. Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, e comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza, che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri» (§ 167). Ossia: che gli evangelizzatori si pieghino al gusto di coloro che sono da evangelizzare, che si faccia un compromesso con le pompe del mondo e del suo Principe. Le frecciatine all’individualismo mal si accordano con quella completa soggettivazione del cattolicesimo aperta dall’ultimo Concilio.</div>
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L’Occidente che legge molto, troppo, conosce il Vangelo ma respinge il suo messaggio. È la vicenda moderna. Che non si risolve inviando come missionari i piccoli strateghi mediatici, i burocrati della parrocchia con i loro documenti verbosi, con i casi umani, le liturgie chitarresche, le lepidezze da oratorio. Questo esercito un po’ comico e molto maldestro dovrebbe sostituire i preti tradizionali e ottenere migliori ascolti dei Bossuet del passato. Disarmanti. Non hanno un manto con cui rivestire le umane miserie, non l’aura dei secoli che li sottragga all’effimero, alle oscenità della Storia, alle vicende ridicole che accompagnano molti dei nostri gesti ufficiali. I santi ci vorrebbero, e qui non li si invoca abbastanza. «Il popolo di Dio che annuncia»: è uno spettacolo di protestanti di seconda mano, di pietismo proletarizzato, senza salotti e senza tè, niente a che vedere con i grandi maestri dell’omiletica che ottenevano le lacrime dei più duri logici e i sospiri dei più semplici. Niente a che vedere soprattutto col magistero romano circonfuso di gloria. Se quella luce pare vinta dai lumi moderni potenti e artificiali, non si può credere di combattere la buona battaglia con armi-giocattolo. A colpi di slogan si ottiene il consenso tra i campesinos addestrati dai guerriglieri non tra le genti libere dei grandi imperi.</div>
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Occidente e Oriente non sono più le grandi articolazioni della terra cristiana. All’interno dell’Occidente geografico, per esempio, gli abitanti delle metropoli europee hanno poco a che spartire con gli abitanti delle Ande. Utopistico pensare di ordire un’unica missione per tutti. Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso sono per tutti, ma appena si passa alla missione sociale c’è il rischio della incomprensione completa.</div>
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Che cosa c’è di più compromissorio col secolo – e quindi di più mondano (in un’epistola che si accanisce contro la forma mondana) – di limitare «la potestà sacramentale» riservata agli uomini – come si legge al paragrafo104 – onde evitare che diventi «motivo di particolare conflitto». Così parla il politicante che vuole tenere a bada i sudditi, non il pastore che testimonia la verità. Salti mortali faceva Pio VII con Napoleone, tessendo la tela del compromesso, ma non si dilungava poi in prediche sulla «spiritualità mondana». Del resto l’autore della <i>Evangelii Gaudium</i> anche quando parla al potere laico gli chiede di cedere affinché la violenza non diventi troppo minacciosa. Gesuitismo machiavellico per cui non si distingue più tra torto o ragione, semplicemente si chiede di cedere al ricatto, quasi il Vangelo fosse un libro di vigliacchi.</div>
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Per evangelizzare i popoli – ammonisce il vescovo di Roma – non bisogna ricorrere a una «determinata forza culturale», «per quanto bella e antica» (§ 117). Si rispettano canti e danze africane ispirate alla tradizione più arcaica, d’accordo, ma perché non si concede che l’Europa attinga alla sua tradizione? È già dimenticata anche dai suoi vescovi? Perché vietare la forma più alta della sua liturgia, della sua arte sacra, della sua musica? Perché i congolesi possono ballare durante la messa sui loro ritmi pagani e noi si dovrebbe rinunciare alle preziosissime forme del Gregoriano o alle Messe di Mozart? Perché, di grazia? </div>
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Quando oggi uno afferma che «ogni popolo è creatore della propria cultura» (§ 122) o è un candido o un impostore. Culto romantico del popolo in un tempo in cui non ci sono i profeti a scuoterlo, a criticarlo, a minacciarlo con i castighi divini. Oppure, in un altro passo, leggiamo che la politica «cura di raccogliere il meglio di ciascuno»: ideologia della più bell’acqua.</div>
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Ci si concede un termine irriguardoso per un’altra religione ma è una svista, anche se ripetuta: «fariseo» appare come epiteto dispregiativo. Pare trasandata tra i fautori dell’infinito dialogo l’espressione che Cristo non temeva di scagliare in furente polemica. Ancora oggi la maggior parte dell’ebraismo si richiama al fariseismo. Sorprende un po’ trovare una simile accezione di quella parola nell’epistola del vescovo gesuita, dal momento che i farisei furono accostati nel corso della storia ai reverendi padri della Societas, con i quali condividevano l’accusa d’essere ipocriti: dottrina salda ed elasticità nell’applicazione. Ma il gesuita modernissimo conosce solo l’elasticità della applicazione.</div>
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«Parlare con il cuore» è l’ossessivo ritornello, il virus che provoca l’epidemia del sentimentalismo. Il Logos di cui si fa annunciatore Giovanni, l’essenza del cristianesimo, non figura granché nelle istruzioni papali sulla evangelizzazione. Si dedicano diversi paragrafi (a cominciare dal 146) all’addestramento dell’oratore. Sembra di entrare in una agenzia pubblicitaria: parlate positivo, pensate positivo, è il Leitmotiv, non permettetevi una qualche critica all’umanità secolarizzata. Il «Guai» divino, che risuona potente nel Giudizio Universale, qui non trova eco.</div>
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Tra i consigli per un corretto sermone non c’è quello di rifarsi alle interpretazioni della tradizione cattolica in merito a un determinato passo evangelico da commentare la domenica, non c’è un accenno al magistero. Il prete deve fare tutto da solo, augurandosi che lo Spirito Santo comunichi direttamente con la sua coscienza. Deve invece prender lezione dal vescovo romano per quanto riguarda la retorica, la strategia mediatica, le pose (ma pare si tratti di una scienza della comunicazione alla buona, che andrebbe bene anche per i predicatori delle sètte). </div>
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Lo Spirito Santo è ridotto così a un tappabuchi: deve dare gli spunti ai preti che non sanno come fare la predica (la stessa grazia di suggerire loro il tema d’italiano che gli studenti ignorantelli d’un tempo chiedevano ai santi) e deve «fecondare gli stili di vita». Forse andrebbe invocato perché consigli al suo massimo rappresentante in terra di non prendere le parole in prestito dalle riviste di moda. Il pastore dice «vita», non si appassiona alle abitudini, imposte dalle circostanze, che viziano la vita.</div>
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Dopo aver letto nella «esortazione» dei tanti sforzi per preparare la predica, si capisce quel che ci è accaduto di vedere nella chiesa madre della Compagnia, al Gesù di Roma, qualche settimana fa. Entrati di domenica all’ora della messa, attraversavamo la navata per accostarci all’altare mentre il celebrante teneva il suo sermone, ma arrivati a metà della chiesa ci si imbatté in un vero e proprio sbarramento, non si passava. Attaccato a questa barricata alla buona c’era un cartello: è vietato entrare durante l’omelia per non disturbare l’oratore e gli ascoltatori. Si rimase basiti. Proibito distrarre il discorso del prete ma lecito distrarre i fedeli con il proprio passaggio durante la parte successiva della messa, quando avviene il sacrificio che ripete la crocefissione, quando si realizza il miracolo eucaristico, quando la liturgia osa servirsi delle stesse parole dei cherubini e dei serafini. Si pensò a un errore, forse andava inteso: dal Vangelo in poi è vietato l’accesso a questa specie di sancta sanctorum. E invece no, al termine del discorso, un sacrestano riaprì il varco, si poteva passeggiare, curiosare alla maniera turistica, mentre il sangue veniva offerto al Cielo in un calice. Che cosa era il «mistero sacro e tremendo» di fronte a una dotta conferenza? Per la cronaca, l’onesta predica dove non volava una mosca forse non innalzò i cuori in modo speciale. Si parlava di Paradiso (Lc. 20, 27-38), e il prete citò un cantautore e la sua canzonetta che si riferiva all’aldilà. Si parlava di Paradiso, nella chiesa del Gesù, e il prete gesuita si guardò bene dal fare un solo accenno a quello scorcio paradisiaco che si apriva sopra le nostre teste, frutto dell’arte berniniana di Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio.</div>
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Di fronte a tante raccomandazioni per una predica «creativa» – sì, in un documento ufficiale il vescovo di Roma ricorre a un tale aggettivo ‘sartoriale’ – e di fronte alla continua apologia della coscienza quale unico orientamento del cristiano, viene da formulare una domanda del genere: sarà lecito al predicatore, prete o laico (pare non sia troppo importante), uomo o donna (altra distinzione superata), commentare e anzitutto leggere la Lettera ai Romani di Paolo sottolineando le parole che riserva alla sodomia? O bisogna tralasciare quel suo veemente insegnamento perché al giorno d’oggi risulta non troppo apprezzato dal mondo? E la I Lettera ai Corinzi, sempre di Paolo, sarà concesso leggere all’assemblea in t<span style="color: black;">utta la sua fermezza quando recita: «non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (6, 9-11).</span> Chi sarà stato lui, Paolo, per giudicare? Molto semplicemente uno degli apostoli in continuità con i quali la gerarchia ecclesiastica perpetua l’opera di Cristo su questa terra. Le coscienze autonome, vagamente confuse, ascolterebbero in questa improbabile predica ancora la voce di Paolo che dice: «Chi si oppone all’autorità si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna» (Rm 13,1-2), e rifletterebbero su una «esortazione» che minaccia i potenti con le masse di «oppositori all’autorità».</div>
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Un anonimo commentatore nelle discussioni nella rete poneva un problema serissimo: «qual è lo scopo della missione? Il benessere fisico e morale della gente? Ahinoi che disastro!». L’abbraccio fatale con il mondo ha manomesso il senso dell’eternità.</div>
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«La Chiesa deve essere il luogo […] dove tutti possono sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati» (§ 114). Come dire: l’umanità malata viene aiutata a perseverare nel suo male. Giovani e meno giovani, coccolati spudoratamente dal mondo trovano perfino nella Chiesa una madre che li vizia, nessuno più ricorda la verità del «legno storto» che pure è stata ammessa da un filosofo illuminista come Kant. Ma davvero «aiutare un altro a vivere meglio» (§ 274) è il massimo dovere cristiano? Che cosa si intende per «vivere meglio»? raggiungere uno stato di benessere o quello della povertà cristiana o della sofferenza che purifica? (Scopriamo poi che il gesuita pensa al primo punto, al benessere). Del tutto nascosta, come si conviene a una predicazione della Compagnia, il problema della colpa, del peccato originale. Suscitando l’indignazione dei giansenisti, anche padre Matteo Ricci, S.J., accarezzava le abitudini, gli stili di vita (scriverebbe l’autore della «esortazione»), i pregiudizi e i vizi dei cinesi che evangelizzava, ma si rivolgeva ai sapienti, ai mandarini. L’attuale vescovo di Roma propone lo stesso vezzeggiamento a folle brute, disinteressate ai problemi metafisici come a quelli fisici. Né si propongono loro dei «riti cinesi», li si degrada nella messa rock.</div>
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«Il nostro mondo ferito» andrebbe curato attraverso la attiva collaborazione di credenti e non credenti, ripete spesso. Ma esattamente dove il mondo si è fatto quelle ferite e soprattutto chi gliele ha inferte? La violenza totalizzante del Novecento non è forse il derivato di concezioni ateistiche e gnostiche, di attacchi truculenti alla «vecchia visione cristiana», di una rivoluzione culturale lunga un secolo che voleva fare a meno di Dio e della Chiesa? Si può guarire questa ferita collaborando con i feritori? O dobbiamo pensare, contro gli storici e il buonsenso, che il fascismo o il comunismo o il capitalismo selvaggio siano il frutto del cattolicesimo trionfante? E non sarebbe meglio, sia pure con il massimo rispetto per questi signori che non credono a niente, rispolverare un po’ di apologetica senza la quale gli uomini appaiono assai disorientati?</div>
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La resurrezione di Cristo «non è cosa del passato, contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo» (§ 276). Che civettare con le espressioni new age: «forza di vita», vitalità, «germogli di vita». È imbarazzante, troppo <i>outmode</i>, annunciare che Gesù è risorto da morte? La resurrezione si riduce a una metafora generica, alla sua luce l’essere umano «è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili». La grande speranza cristiana, quella nella vittoria sulla morte, sarebbe soltanto un modello simbolico per uscire dalla depressione? Simile annacquamento del fondamento cristiano proviene da vari documenti conciliari e postconciliari, sempre citati in nota, atti di convegni, di riunioni e di assemblee, una letteratura che ha ormai anni e anni, non è innovazione ‘argentina’ ma qui assume un tono particolarmente arruffato. Ancora per spiegare la resurrezione: «Tutti sappiamo per esperienza che a volte un compito non offre le soddisfazioni che avremmo desiderato, i frutti sono scarsi, i cambiamenti sono lenti e uno ha la tentazione di stancarsi» (§ 277). Chi non ha letto testi del genere all’ingresso della metropolitana per pubblicizzare corsi di yoga e di psicologia? Talvolta quelle prose sono più scorrevoli, raggiungono più facilmente l’obiettivo. Che pena trovare le epistole del vescovo di Roma in tutto simili, anche nel messaggio che si vuol comunicare, ai volantini dello yoga.</div>
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<span style="color: black;">Se i papi novecenteschi che precedettero il Concilio avessero seguito anch’essi il brutto uso di favorire l’andazzo secolare, o quantomeno di cavalcarne l’onda, o comunque di mimare il suo linguaggio, che cosa sarebbe accaduto quando mezza Europa si lasciava conquistare dai fascismi a forte carattere biologico – compreso qualche erede al trono del Regno Unito, segno di un’epidemia diffusa in ogni rango –, e un’altra parte si faceva sedurre dal comunismo di Stalin? I più sofisticati esteti si mettevano al servizio dei bolscevichi slavi, gli artisti urlavano la rabbia anti-borghese, i grandi pensatori, a cominciare dal croceuncinato Heidegger e dal bolscevico Luckács, annunciavano di avere oltrepassato la linea, non si tornava più indietro, Cèline, il buon medico dei poveri nella banlieue, pretendeva niente di meno che un massacro finale degli ebrei, degli affamatori degli umili, secondo lui, Simone Weil non voleva far guerra ai tedeschi invasori se prima non si fosse recitato il <i>mea culpa</i> per il colonialismo francese, ondate imponenti di grossi nomi, altro che i pretini del dissenso d’antan, mentre la vox populi inneggiante al sangue era convinta d’essere la vox Dei, ebbene di fronte a ideologie divenute nel frattempo carne e sangue dei popoli, che cosa avrebbe dovuto fare il pontefice romano secondo i parametri post-conciliari? Rivedere il magistero «alla luce» del <i>Volk</i> germanico o dei nuovi destini che attendevano l’Italia? Doveva rallegrarsi il supremo pastore per la diffusa e popolare nuova visione di Gesù sottratto ai sacrifici e ripulito del sangue dai Deutsche Christen? Accettare il decreto nazi che nel 1938 aboliva nelle scuole la rappresentazione del Natale, in modo da evitare il proselitismo tra i più piccoli e l’offesa dei sentimenti dei seguaci di Odino? Guardare al «sole libero e giocondo» che decretava la provvidenziale grandezza di Roma? O alle masse proletarie che si riscattavano dai millenni di schiavitù (una specie di Vaticano II quanto a epocalità)? Per fortuna, per grazia di Dio, a Roma regnava Pio XII, pontefice che, unico tra tutti i protagonisti di quei pessimi anni, ebbe il coraggio di parlare in modo diverso e in controtendenza alla radio, di apparire ieratico e inattuale tra gli assatanati in grande concitazione, di ricordare alle libere coscienze (pronte ad accomodarsi a qualsiasi patto) che «centinaia di migliaia» di vittime innocenti, «</span>senza veruna colpa propria, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe»<span style="color: black;"> venivano mandate al massacro. Era la notte di Natale del 1942, la Germania sembrava vincere la guerra-lampo, tra i nazisti si sussurrava di cancellare a breve il cristianesimo. Il papa disse quelle parole che nessuno osava pronunciare servendosi della sua radio, la Radio Vaticana, gli altri media non lo esaltarono, rimasero freddi. Tutti tacevano, perfino i sionisti. Fu il solo a parlare. Tanto straordinario, tanto eroico, da suscitare, anni dopo, le critiche dei pusillanimi collaborazionisti con lo <i>Zeitgeist</i>, che volevano mettere in pace la loro coscienza: non avevamo capito, egli doveva parlare più chiaramente. Nella «esortazione» quel papa non ha meritato alcun cenno. Forse per l’Argentino sono questioni dell’altro mondo. Vuoi mettere le faccende del cosiddetto ‘precariato’ che tanto gli stanno a cuore, delle difficoltà di ottenere i mutui per la casa. Immaginatevi quanto se ne sarebbe occupato Gesù Cristo. </span></div>
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<div class="MsoNormal" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; padding-bottom: 0cm; padding-left: 0cm; padding-right: 0cm; padding-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;">Sono ormai lontani i tempi in cui – ancora trenta, quaranta anni fa – una enciclica papale provocava clamore per qualche sua frase o per il messaggio che la ispirava. Quello che più sbalordiva in tali casi era la Chiesa che parlava il linguaggio del mondo, che faceva nomi, che parteggiava per scelte politiche. In quel tempo la stampa raccontava di grandi novità ma era un formidabile ritorno al passato, ai papi che facevano politica direttamente. Oggi ci si è spinti tanto a utilizzare il gergo mondano, politico, ideologico, delle sottoculture, ultimamente anche nelle versioni più corrive, che i pronunciamenti della Chiesa di Roma si spengono in poche ore. Per gli apparati mediatici una «esortazione» è una predica noiosa, meglio, in confronto molto meglio, l’immagine di un cambio d’auto, l’utilitaria sfoggiata in piazza San Pietro con uno strascico di demagogia. Che cosa se ne fa il mondo di queste carezze verbali con il glamour da parrocchia? Se ne impipa. Nel medesimo giorno della <i>Evangelii Gaudium</i> si dava notizia che in Belgio è stata concessa autorità di legge alla eutanasia dei bambini. Nel silenzio del Vicario.</span></div>
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