~ LA FINE DEGLI EROICI FURORI
E LA PIETAS DELLA
RESTAURAZIONE ~
~ «Il ‘900», V PUNTATA ~
Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo
scorso. Le puntate precedenti qui qui qui e qui.
Soltanto
forme di darwinismo scatenato permettevano simili espressioni: «Alla nazione
[tedesca] farebbe bene un ricambio di sangue, una rivolta dei figli contro i
padri, una sostituzione della gioventù alla vecchiaia» (Moeller van der Bruck
nel 1909). Le battute sguaiate della goliardia eterna diventavano parole
d’ordine politiche.
PARIGI
- Al rovesciamento dei valori predicato dai tedeschi si affiancò la
trasmigrazione dei valori, di cui si incaricarono soprattutto i francesi: lo
scacco matto della antropologia levistraussiana al Re europeo, l’arte africana
innalzata nel vuoto spinto di quella europea (e il presidente Senghor
assicurava che le raffigurazioni negre sono meno naturalistiche di quelle di Bisanzio).
PONTI -
Epoca di transizione? Si vorrebbe un esempio preciso di un secolo che non fu
tale. Anche il periodo che durò più a lungo fu chiamato Medio Evo, età di
mezzo, che sfocia nel Moderno.
PATRIE
- Per secoli l’ordine esigeva che i contadini restassero inchiodati alla terra
di padre in figlio, che i popoli – per l’«istinto di patria» – fossero
attaccati al suolo che calpestavano, anche quando questo si presentava ingrato,
gelato o desertico. Ma nella staticità universale, un popolo di miseri correva
di qua e di là esprimendo un appassionato patriottismo lontano dalla terra di
origine dove «scorre latte e miele». Senza più suolo natìo, da secoli e secoli,
sparsi e sempre pronti ad adottare nuove città, gli ebrei della diaspora
rappresentarono un modello di patriottismo ‘internazionale’ ma senza
l’astrattezza dell’internazionalismo.
RIVALITÀ
- Nelle situazioni estreme, quando si è annichiliti dal terrore della morte,
cala la propensione ai bei gesti, alla generosità, alla cavalleria. Al loro
posto, egoismi sordidi. Di fronte a un pericolo mortale si è spesso rivali.
Coloro che, incalzati da una perenne emergenza, ritennero di «non potere essere
gentili», diedero vita alla più spietata concorrenza tra loro. Pensando di
combattere una battaglia decisiva per salvare o dannare il mondo, trovarono il
nemico sempre al loro fianco.
FEDI -
Nelle convulsioni del Novecento non si ebbero soltanto gli Heidegger e gli Jung che prestarono fede, sia pure per
poco tempo, nelle speranze del Terzo Reich, si contarono anche, e a centinaia,
artisti e pensatori, gente delicata dunque, che si entusiasmarono in Occidente
per il dittatore georgiano. Si ebbe perfino l’omaggio dadà al Cremlino. E
Tristan Tzara se ne andò in Spagna a sterminare gli anarchici.
DOPO LA TEMPESTA - Nel 1929,
soprattutto in Francia, si parlava di «fine del dopoguerra», quindi a un
decennio circa di distanza dalla data fatale che tirava fuori dalle trincee
milioni di uomini. Per trovare la ‘fine’ del secondo dopoguerra, quello
apertosi nel 1945, bisogna attendere il 1989, quasi mezzo secolo. Non a caso
quel tempo interminabile fu chiamato della Guerra fredda. La Guerra dei cinquant’anni.
LA PAROLA DISPREZZATA - Gli eroici furori della gioventù si sono scatenati da
circa due secoli contro la Restaurazione.
Eppure bisognerà un giorno riconoscere la dolcezza della vita
dopo il 1815, quando in Francia si tentò di costruire un sistema politico
all’inglese, un moderatismo sofferto ma virtuoso, dopo gli eccitati giorni
giacobini, quando la violenza del patibolo marcava la quotidianità politica, o
dopo i giorni napoleonici che sconvolgevano le frontiere europee, con le
trasferte belliche in mezzo mondo e scie di sangue come fiumi. Assolutismo
della ghigliottina e assolutismo dell’imperatore: esteticamente impareggiabili
diranno i patiti romantici del dramma, epoche rimpiante dagli Stendhal che si
trovano disorientati da una stagione meno sanguigna. Si sa, i giudizi storici
si fanno distrarre da quelli estetici e in genere si preferisce il sangue e i
terremoti alla quiete lunga e grigia. Ma la Restaurazione non fu
affatto grigia. Prese le tinte solenni delle vecchie monarchie, della
tradizione, e quelle pastello della leggerezza dopo tanti lutti. Si obietterà
che la bassezza morale dei trasformisti, dei traditori della loro gioventù, gli
arricchimenti sospetti, il disonore e l’ipocrisia non possono rappresentare un
modello. Va stabilito che cosa ci si aspetta dalla politica. Un sistema per
garantire al meglio la vita oppure travolgimenti infiniti per inseguire la
giustizia umana. Oggi a chi riprende le vecchie critiche – il bel vivere di
alcuni sulla vita da cani della maggioranza – si può replicare che anche solo i
riflessi di quell’edonismo che sfiorano i più sfortunati scoraggiano chiunque a
giocare alla roulette russa degli estremismi. Il «muoia Sansone con tutti i
filistei» ha prodotto il furbo scampo dei filistei e l’ecatombe dei Sansoni
grossolani.
Restaurare
è un’azione di pietas, un atto di guarigione, un segnale di riappacificazione,
una spada che rientra nel fodero e mette fine alle distruzioni. Restaurare
significa ritrovare la vita, la soavità soffusa della vita, dello scambio
umano, delle ragioni degli altri. Se il XX secolo è stato il più lungo periodo
rivoluzionario della storia moderna (chissà nelle ère geologiche), il luogo
della guerra totale che poteva concludersi soltanto con la distruzione totale –
e la ‘distensione’ degli anni Sessanta era considerata una tregua provvisoria
per sferrare l’attacco finale –, se il terrore ha dominato l’epoca in attesa
dell’annientamento del nemico, soltanto una rivalutata Restaurazione servirà da
metafora per evitare il ripetersi dell’alternanza nuovo/vecchio, per impedire
l’abrasione del passato.
Con
l’abbattimento dell’aristocrazia e dei suoi privilegi nell’’89 si tolsero i
diritti al Tempo, la durata non ebbe più valore, e la memoria, privata dei suoi
privilegi, fu vuoto fantasticare. Le lamentele sull’attuale «eterno presente»
trascurano il fatto che tale ossimoro nasce dallo spirito della Rivoluzione francese,
quando si afferma il tempo come denaro, il tempo che va subito cambiato con
denaro contante, in luogo dell’invecchiamento come diritto acquisito.
Impoveriti tragicamente del passato (e del futuro), non è possibile rimediare
acquistando dagli antiquari vecchi idoli. Anche se gli antiquari proliferarono
proprio durante la
Restaurazione per alleviare chi era stato privato del bello
del passato.
Le
frenesie giovanili quando il tempo non passa mai impongono brusche
accelerazioni, giochi violenti con un passato sempre estraneo, presa di
distanza dagli anni più familiari per emanciparsi dalla puerilità. Quando però
il tempo comincerà a correre davvero – e invano si cercherà il misterioso ritmo
sospeso dell’infanzia –, sarà una autentica ipocrisia unirsi al coro giovanile
dei rivoluzionari, il coro che spasima per interrompere la storia, e sarà
stoltezza fingere di credere all’amnesia come soluzione, ai tourniqués magniloquenti per ingannare
la fine sempre troppo improvvisa di ogni vita. Fuori dal giovanilismo per
partito preso non è difficile coltivare un tempo lento, guaritore e
consolatore, voltando le spalle a un tempo personificato nel giustiziere con la
falce in mano che si sovrappone alla immagine della morte. Graduale,
sensualmente pigro, ricco di passato che conserva come un patrimonio, ricco di
futuro che come ogni possidente riesce a intravedere al suo orizzonte, e anche
a goderne, nonostante vi sia ospitata la morte, ecco il tempo della
Restaurazione.
AUTOBIOGRAFICO
- Forse le generazioni nate a ridosso della guerra scelsero la Rivoluzione perché di
fronte a un passato troppo fradicio di sangue per essere decifrato,
interpretato e trasformato preferirono rifiutarlo in blocco: meglio confidare
nel Nuovo. Difficile per i primi giovani dell’èra consumista riuscire a
stabilire una qualche forma di convivenza con figure imbarazzanti quali la Povertà e la Morte; più semplice
respingerle nel vecchio mondo da far tramontare in fretta e definitivamente. Un
tempo non tanto remoto si chiamò comunismo la magia che avrebbe allontanato
dalla storia i mali antichi. Più tardi svanirono i contenuti, rimase soltanto
la forma che seppelliva il passato, che trasmutava le cose. Qualcuno la confuse
liricamente con un ciclico rinnovamento della vita comunitaria.
Ai
giovani, nuovi avventori del banchetto opulento come mai nella storia, la
società offrì uno spazio sproporzionato, e per qualche tempo si visse
disorientati la demolizione del mondo di ieri: dall’arte ai mestieri, dalle
abitudini al galateo.
CORRUZIONE
- Peccato capitale di questi giorni (primi
anni Novanta): il corrotto è colui che si lascia comprare. Ci si mette in
vendita sul mercato dove fiorisce la domanda, si mette in vendita anima, corpo
e segreti d’ufficio. Hanno introiettato lo spirito del mercato, facendosi merce
tra le merci.
KEYNES PROFETA
- Nel 1931, Lord Keynes seppelliva «i vecchi pregiudizi», faceva piazza pulita
dei«principi metafisici o generali sui quali si è voluto fondare di tanto in
tanto il laissez-faire». «Di tanto in
tanto» però essi ritornano all’orizzonte e si prendono gioco delle teorie
keynesiane. A rileggere le sue «profezie», sembra irrealizzata proprio quella a
cui mostra di tenere di più. Scriveva infatti nel 1931: «Il mondo occidentale
dispone già delle risorse, ove sapesse creare l’organizzazione per utilizzarle,
capaci di relegare in una posizione di
secondaria importanza il ‘problema economico’ che assorbe oggi le nostre
energie morali e materiali». Il fine secolo presenta lo spettacolo di un mondo
incantato esclusivamente dai meccanismi economici. Idee, arte, vita intima,
tutto pare dipendere dai movimenti della Borsa. Per la prima volta anche i
bambini seguono come una gara sportiva lo slalom della moneta. Se i magnati
della finanza seppero unire l’intuito per le speculazioni con quello per i
capolavori pittorici (o quantomeno per individuare gli esperti-consiglieri da
tenere alla propria tavola), gli azionisti di massa sembrano dedicarsi soltanto
alla lettura dei listini e ai suggerimenti dei giornali specializzati. I manuali
sostituiscono il genio (nel senso del talento). Mai il mondo si è piegato così
completamente alle esigenze delle «necessità economiche». Non c’è ideologia,
movimento politico, movimento culturale che si sottragga a loro. Perfino
l’arte, o quello che attualmente passa per tale, gode della piena integrazione
nell’universo delle merci virtuali. Keynes però precisava che le sue profezie
avevano un carattere politico: «Se, infatti, persistiamo nell’operare
coerentemente secondo un’ipotesi ottimistica, questa ipotesi tenderà a
realizzarsi: mentre, operando secondo ipotesi pessimistiche, rischiamo di
chiuderci per sempre nel pozzo del bisogno». Adesso che da tutto il pianeta si
levano le lamentazioni per la compatibilità mentre regna il pessimismo, l’ora
ansiosa dell’emergenza, anche le promesse dell’economista britannico vengono
fatte passare per fanfaluche.
Meno
profetica ma estremamente saggia una sua considerazione del 1929: «I problemi
storici dei partiti del XIX secolo sono ormai morti». E da noi non sono pochi coloro
che a quei partiti e a quei programmi si richiamano con protervia.
GIUSTI
NASCOSTI - Escono rivelazioni, soprattutto dagli archivi segreti dell’ex Stato
sovietico, di stragi compiute dalla «parte giusta» nell’ultima guerra mondiale.
Milioni di vittime silenziose per mezzo secolo, prive di requiem, di libri, di film,
di musei, soltanto perché colpite dai vincitori. Quanti carnefici soffrirono di
questi delitti senza neppure potersi difendere. E forse tra loro qualche ‘giusto
nascosto’ che restò senza onore.
NOVECENTO
- Ludwig Klages, nel 1903, a
proposito di alcuni versi di George, ma il riverbero ideologico è ancora più
suggestivo: «Con una veemenza mai vista da almeno un millennio, l’umanità
europea era alla ricerca di una perduta patria dell’anima. Negli ultimi
trent’anni la mèta si è sentita più vicina che mai. La brace logorante della
nostalgia ardeva fino alla febbre, fino alla pazzia, e ardeva tanto più
selvaggiamente, quanto più la vita delle masse e degli Stati si estingueva in
una crudezza sempre più ottusa».
RITARDI
- «Quel che avviene oggi in Italia è senza riscontro […]. Qui, da noi, il
disagio morale è per ovunque diffuso […]. Nei lavori pubblici lo sperpero è
così folle e vergognoso che in ogni città d’Italia abbiamo veduto sorgere
all’improvviso colossali fortune…». Gabriele d’Annunzio nella campagna
elettorale del 1900. Mezzo secolo di ritardo italiano rispetto alle improvvise
e colossali fortune parigine narrate da Balzac. Lo squisito anacronismo del
Belpaese.
ESTATE
’94 - Nell’agosto di duecento anni fa a Parigi infuria il Terrore. Guerra
totale ai propri concittadini in nome della logica politica che si ispira
all’etica. Corpi di donne e perfino di bambini rientrano nella geometria della
giustizia, dunque è lecito farli a pezzi. Ma in genere il rigore scientifico e
il senso pratico della ghigliottina evitano eccessi carnali e riportano il
popolo al suo ruolo rituale di coro intorno all’altare, all’ara sacrificale
drizzata nelle piazze francesi. La sensiblerie
dei sovversivi che finora si è declinata sulla scala della indignazione cede il
posto alla fermezza, si irrigidisce sui princìpi. I Lumi che avevano rischiarato
il futuro scellerato dei regimi e il pozzo nero del potere adesso abbacinanano
gli occhi delle vittime in un solenne interrogatorio pubblico. Alle loro
orecchie giunge il brusio della condanna popolare, e forse fanno in tempo a
sentire il forte sospiro di sollievo del pubblico sotto il palco al cadere
della lama pesante. Soddisfazione sempre in nome dei princìpi.
ESTATE
’95 È passato un anno dal bicentenario
del Terrore. Tempo sprecato per i cinici e per i bendisposti.
Post scriptum - Nei quaderni di
appunti la citazione che riportiamo in fondo a queste righe non appare, anche se
avrebbe potuto esserci, faceva in tempo. L’edizione inglese della raccolta
infatti uscì nel 1995 e il testo in questione porta addirittura la data del
1988, proprio alla vigilia del Grande Crollo. È di un russo, il più amabile
scrittore russo del XX secolo, un esule che parve sprezzare le vendette, le
rivincite, le liberazioni e le stesse vicende della storia che pure lo avevano
perseguitato fin da giovinetto e con spietatezza. Diceva ai suoi studenti in
una università americana: «Cercate di non dare troppa importanza ai politici
non tanto perché siano ottusi e disonesti […] ma a causa delle proporzioni del
loro lavoro eccessivo anche per i migliori tra loro […]. Tutto ciò che possono
fare, uomini o partiti, è, al massimo, diminuire i mali della società, non
sradicarli». Il sottotono stupendo di Josif Brodskij corregge, attutisce,
stempera le pagine precedenti che danno ancora un peso eccessivo a certe
insulse azioni collettive degli umani. Ma la citazione che si vuole apporre è
un’altra, ricavata da un discorso tenuto ai ragazzi dell’Università del
Michigan. Dopo aver passato in rassegna in queste cinque puntate tanti cattivi
maestri, tante teorie scarsamente logiche, forse lasciandoci turbare ancora a
quei tempi dal cimiteriale archivio delle faziosità ideologiche, facciamo
concludere al buonsenso di un poeta che dice intorno al ribellismo cose in
totale controtendenza con il vocio rimbombante dei demagoghi (e non per
moralismo bensì per spirito cavalleresco, per arte di tiratori scelti): «Ora, e
nel tempo a venire, cercate di rispettare i vostri genitori. Se questo vi
ricorda troppo fastidiosamente l’‘onora il padre e la madre’, pazienza. Quello
che sto tentando di dire è di non ribellarvi ai genitori perché, con ogni
probabilità, moriranno prima di voi e quindi potreste risparmiarvi almeno un
senso di colpa, se non la causa del vostro dolore. Se dovete ribellarvi,
ribellatevi a coloro che non è così facile ferire. I genitori sono un bersaglio
troppo vicino (come pure, incidentalmente, le sorelle, i fratelli, le mogli o i
mariti); la sfera d’azione è tale che non si può sbagliare…» (in Profilo di Clio, Adelphi).
(5. - fine)