sabato 9 agosto 2008

Letture / Se la bellezza diventa invisibile


«CHI, SENTENDO PARLARE DI BELLEZZA, INCRESPA AL SORRISO LE LABBRA, GIUDICANDOLA COME UN NINNOLO ESOTICO, DI COSTUI SI PUÓ ESSERE SICURI CHE NON È CAPACE DI PREGARE E NEMMENO DI AMARE». UNA PAGINA DI HANS URS VON BALTHASAR

Hans Urs von Balthasar (Lucerna 1905-Basilea 1988), teologo, sacerdote, gesuita, cardinale che muore due giorni prima di ricevere la porpora, giusto vent’anni fa, è oggi, sotto il pontificato di Ratzinger, così attento alle questioni dell’estetica cattolica, una fonte luminosa di pensiero. Mentre si affermavano gli angelismi del dopoguerra che erano l’altra faccia dell’umanesimo ateo (Pascal docet), e l’arte non paga di aver sostituito la religione, si permetteva adesso di istruire i padri conciliari, von Balthasar scriveva la sua estetica teologica controcorrente. A quei tempi, Kandinskij era più popolare di Tommaso d’Aquino. E un teologo protestante come Bultmann, in gran voga all’epoca, metteva in guardia: «Per la fede cristiana l’idea di bello non ha alcun significato formativo della vita; essa vede nella bellezza la tentazione di una falsa trasfigurazione del mondo…» (Glauben und Verstehen). Il teologo svizzero invece vi vedeva il vincolo splendido che serra il vero e il bene. Anni dopo, il poeta Brodskij sosterrà che «ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo».


«La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta dei piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita neppure dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente - non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare. Il secolo XIX è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (‘Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia… le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust lo sollevano in alto e si dileguano con lui’ Faust II, atto III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è più nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è più capace, ciò per cui è diventato impotente, non può più, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte.
In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso – , in un mondo che forse non ne è privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici?» (Hans Urs von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica, Jaca Book, 1961).