sabato 13 dicembre 2008

Calendario dell’Avvento 13. Donne, S. Lucia

Nel giorno tradizionale del solstizio d’inverno (prima cioè della riforma di Gregorio XIII che lo spostò al 21), dove a rischiarare le più lunghe tenebre la Chiesa propone l’illuminazione di santa Lucia – che la lux mantiene nel nome anche se per martirio viene privata degli occhi (e perciò è fatta patrona della umana vista) –, si rilegga la «poesia amorosa» di John Donne, qui riprodotta nella traduzione di Cristina Campo, che l’accompagnò con uno dei suoi migliori saggi e con un apparato che onora il bianco librino Einaudi: Poesie amorose Poesie Telogiche. Ricordando gli anni dell’infanzia dell’autore, vissuto negli ambienti del cattolicesimo perseguitato da Elisabetta I, l’innamorata della liturgia latina nell’epoca antirituale del Concilio scriveva: «Fanciulli che per anni, a tavola, non odono gli adulti discorrere di mercature o di feste, di intrecci familiari o di cariche di Corte ma di Presenza Reale e di Sacrificio Propiziatorio, di anatemi o di apostasie. Fanciulli riscossi mentre più stretti li avvolgono le bende del sonno perché un giovane pallido, in panni non suoi, è giunto in piena notte da Douai o da Reims e alla prim’alba, porte e finestre serrate nel gabinetto da studio del padre, sta rivestendo i paramenti sacerdotali e da tutta Londra gli amici già convengono, in tacite piccole frotte, per assistere alla interdetta Messa romana». Viene da pensare alla Maria Stuarda di Schiller, di cui «Almanacco Romano» ha riprodotto qualche riga saliente (1° luglio). Più tardi, John Donne passò alla religione anglicana, pur serbando le migliori qualità cattoliche, prese gli ordini, divenne il decano della cattedrale londinese di St Paul, dove allestì lo spettacolo della sua fine.

Una premonizione, la morte della moglie mentre il poeta si trovava a Parigi, pare sia all’origine di questo «cupo e grandioso soliloquio» nella notte più lunga dell’anno; un errore di persona: la donna, quel giorno, partorì un morticino. Ne venne fuori comunque una superba contemplazione del nulla. «È la magnificazione mirabile di uno di quei giorni ciechi e accecanti, aridi e tenebrosi che possono preludere alla neve o a un terremoto, uno di quei giorni purgatoriali d’inverno, quali ne dipinse il Greco sopra Toledo, su cui sembrano congregarsi tutte le minacce del fato e non appare più possibile la primavera» (Cristina Campo). Ma si scorge anche, nel mistero che accompagna questi versi, «l’animale lascivo che sembra scendere a cercare nelle viscere dell’inverno la concupiscenza carnale». Del resto, «l’incessante metaforeggiare, l’accumulo e la telescopia di immagini […], l’accavallarsi folle e armonioso di figure scolastiche, cosmologiche, alchemiche, liturgiche, militari» non intralciano l’ingresso nelle stanze sepolcrali.
Per la versione inglese online:
http://www.fiornando.info

Notturno sopra il giorno di Santa Lucia
che è il più breve dell’anno

Questa è la mezzanotte dell’anno e lo è del giorno/di Lucia, che per sole sette ore/solleva la sua maschera./ Il sole è esausto e ora le sue fiasche/spremono tenui sprazzi, nessun raggio costante./ Tutta la linfa del mondo è caduta./ L’universale balsamo bevve la terra idropica;/là, quasi a piè del letto, s’è ritratta la vita/morta e interrata. Eppure tutto ciò sembra ridere/appetto a me che sono il suo epitaffio.
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Dunque studiatemi, voi che sarete amanti/in altro mondo, un’altra primavera:/sono ogni cosa morta onde operò l’amore/nuova alchimia. Perché una quintessenza/ distillò la sua arte anche dal nulla,/da opache privazioni e da scarne vuotezze./Mi distrusse. E ora mi rigenerano/assenza, buio, morte, le cose che non sono.
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Tutti gli altri da tutte le cose/traggono ciò che è buono: vita, anima,/ spirito, forma e ne hanno esistenza./ Io, grazie all’alambicco dell’amore,/sono la fossa di tutto ciò che è nulla./ Spesso noi due piangemmo/un diluvio e ne fu sommerso il mondo:/noi due. E tramutammo spesso/fino a due caos quando mostrammo cura/d'altri che noi, e talora l'assenza/rubandoci le anime, fece di noi carcasse .
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Ma grazie alla sua morte (parola che l’offende)/dal primitivo nulla io son fatto elisir;/fossi uomo, dovrei sapere d’esserlo;/preferirei, se fossi bestia, un qualche/fine od un qualche mezzo, se persino le piante,/persin le pietre detestano od amano:/tutto, tutto s’investe di qualche proprietà;/fossi un nulla qualunque, come l’ombra/dovrebb’esserci un corpo ed una luce. Ma/sono nulla. E non vuole rinnovarsi il mio sole.
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Voi amanti, pei quali il minor sole/a quest’ora è passato in Capricorno/per succhiarne voluttà nuova e donarla a voi,/o voi tutti, godetevi l’estate./ Perché ella gode la sua lunga festa/notturna, lasciate ch’io mi accinga/verso di lei lasciate che io chiami quest’ora/la sua Vigilia, la sua Veglia. Questa/è mezzanotte fonda, e dell’anno e del giorno.