sabato 15 ottobre 2011

La nostra patrona

~ TERESA D’AVILA CHE NON SI CREDEVA UN ANGELO ~

«Un po’ di stupido stupore in questa nostra epoca ideologicamente e intellettualmente indottrinata non sarebbe opportuno, e anzi direi, indispensabile?». Se lo chiedeva qualche tempo fa, il saggio Raffaele La Capria e certo a tutti farebbe bene assistere allo spettacolo che si svolse sotto gli occhi candidi delle carmelitane spagnole, ovvero i colloqui appassionati tra la loro fondatrice Teresa e Giovanni della Croce: pare che i corpi dei due santi si sollevassero qualche centimetro da terra.

Oggi la Chiesa cattolica celebra la festa liturgica di Teresa d’Avila, la santa non contagiata dai docetismi, dalle gnosi che negano lo «scandalo della crocefissione di Dio», la donna mistica che è il più potente antidoto alle insulsaggini della New Age. Nel racconto autobiografico in cui descrive le sue visioni ci parla anche della fisicità di Cristo: straordinaria iconofila, cercava le immagini del Dio fatto uomo. «In tutta la mia vita […] non potendo aver [Cristo] così profondamente scolpito nell’anima come desideravo, volevo avere sempre innanzi agli occhi il suo ritratto e la sua immagine» (XXII, 4). Del resto lei conosceva bene «la superbia dell’anima», perciò pur aspirando alla purezza spirituale da rggiungere al culmine del «cammino della perfezione» era consapevole che «il Creatore deve essere sempre cercato attraverso le creature» (XXII, 8). Temeva che dimenticando la «sacra umanità» di Cristo, «l’anima cammini, come suol dirsi, per aria», cioè «priva di appoggio», «mentre la pratica di rappresentarci il Signore sotto figura di uomo, per noi uomini, finché viviamo, è molto importante» (XXII, 9). Un altro figlio di questa Spagna di visionari, l’eccelso Luis de Góngora invocava molta poetica zavorra per non volar via tra le nuvole col mal d’aria in una instabile mongolfiera, ammonendo: «Tome tierra, que es tierra el ser humano», come chiudeva regalmente il suo sonetto funebre Sul sepolcro della contessa di Lerma, «Tocchi terra, che terra è l’essere umano». Suor Teresa di Gesù, anticipando Pascal e rovesciando le figurine bigotte delle monache aveva scritto: «noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Volerla fare da angeli, mentre siamo ancora sulla terra, è una vera pazzia» (XXII, 10).

«Abbiamo un corpo»: chi meglio di Teresa, con i suoi tanti tormenti fisici, poteva dirlo? Per questa ‘fisicità’ santificata fu derisa da molti suoi contemporanei e derisa dai moderni, sottoposta alle elucubrazioni della psicoanalisi e perfino la sua immagine, la superba statua berniniana a Santa Maria della Vittoria, subì il medesimo affronto. Per questo è adesso invocata come patrona di coloro che son «ridicolizzati per la loro pietà». Che il cattolicesimo minoritario e perseguitato dagli sfottò si rivolga a lei mentre una cultura unica a carattere universale porta al trionfo il laicismo globale, laici senza più ecclesiastici, che è come dire bianco senza più nero, un vacuo da incubo. Che protegga i vescovi affinché non si lascino intimidire dal risolino progressista. Che si possa resistere con il suo aiuto alla satira sguaiata che circonda noi, amici dell’‘oscurantista’ Ratzinger, di fronte agli 'illuminati', gli irradiati dai riflessi della tv-color.

Teresa è anche protettrice della Spagna, ben più utile alla penisola pentagonale del protervo muro tirato su dall’orribile Zapatero per fermare i disperati dell’Africa. Non è quello il pericolo principale per i cattolici, almeno secondo la santa che si indignò quando le raccontarono del colonialismo spagnolo nelle Americhe. Ma si trattò di una mistica indignazione, senza furori adolescenziali, né chiasso, né violenza. Ne parlò direttamente alla sacra umanità del suo Dio.