mercoledì 26 novembre 2008

minima / Se l’Occidente cancellasse la croce

Nonostante le ultime traversie, l’Occidente è opulento. Brillante, oggi più che mai, dopo aver messo a presiedere gli Stati Uniti (e il mondo) un giovanotto che si presenta da divo, elegante come nessun altro leader di laggiù, dall’aria vincente e dalle radici africane che coronano l’american dream. Militarmente ancora imbattibile, economicamente ancora strepitoso pur con qualche punto in meno, sempre più modello per gli altri, da tempo immemorabile dominatore culturale del pianeta. Orgoglioso perciò, talvolta a ragione. La croce che lo ha accompagnato da millenni nel superbo cammino non è però un simbolo di questo suo trionfo, un marchio identitario come dicono in molti, bensì un poderoso segno del limite: della umana natura e del potere. «Et in Arcadia ego», anche nello splendore occidentale la morte e il dolore, che le si accompagna, vogliono regnare; anche quell’impero romano che è alla base del diritto e dell’organizzazione politica, ha fatto innumerevoli vittime, deicida perfino secondo alcuni. Alla organizzazione umana che si crede imbattibile, alla giustizia di questo mondo, all’impero comunque chiamato, i seguaci della vittima contrappongono la loro Ecclesia. Tuttavia, un grande e faticoso compromesso ha permesso nei secoli all’Occidente di imporre anche allo Stato il simbolo dell’Ecclesia, la contraddizione per eccellenza, l'emblema del capro espiatorio. Sugli edifici pubblici, sulle armi nonché sui patiboli fu posta la croce: non impedì violenze e malvagità ma certamente limitò la natura umana che di per sé è piuttosto sfrenata. In ogni caso produsse una qualche inquietudine, un qualche rimorso.

Ora, se questo mondo aggressivo decidesse davvero di far fuori quel simbolo, cancellasse solennemente ogni accenno alla morte e agli assassinati, non resterebbe che il totalitarismo edonista, di cui la Spagna della movida politico-giudiziaria è ancora soltanto una caricatura. Sappiamo comunque quello che è accaduto nel Novecento una volta buttata la croce alle ortiche, sostituita da un simbolo induista e poi buddista del ‘benessere’, la svastica, e dai simboli del lavoro umano troppo umano con cui i bolscevichi vollero rovesciare il mondo. Se viene a mancare «l’amuleto che placa le passioni», prevedeva Heine con un secolo di anticipo, il mondo sarà paralizzato dal terrore (v. «Almanacco Romano» del 27 settembre). Vennero infatti i Deutsche Christen, marcioniti mascalzoni, che avevano staccato Cristo dalla croce, e sostituito lo strumento di tortura con l’erotica svastica. Volevano pure modificare la vita di Gesù, non solo arianizzato, ma ridotto a un superman
positivo, forte, risorto per energia da scientology. L’importante, secondo loro, era nascondere la sofferenza e la morte. Rimasuglio delle varie gnosi, Gesù veniva trasformato nell’immagine del sano, dell’eroe atletico, del fortunato. Ancora nell’ultimo dopoguerra Pio XII si preoccupava dei pericoli di tali immagini e ammoniva nella enciclica Mediator Dei, intervenendo anche nelle faccende artistiche che si vorrebbero neutrali: «Erra dalla retta via (…) chi impone di rendere l’immagine del divino Redentore sulla Croce in modo che il suo corpo non mostri le acerrime ferite che aveva sofferto», condannando questi errori come «falso misticismo e velenoso quietismo».