mercoledì 23 novembre 2011

I fuori casta

~ MODESTA PROPOSTA DI AUMENTO
DELL’INDENNITÀ PARLAMENTARE ~

Straparlano a sproposito di caste per ogni élite messa a fuoco pur venerando, negli ambienti intellettuali, la religione induista che suddivide e fissa l’umanità in sì aberranti gironi. Perfino i piccoli guru massmediatici si commuovono in televisione per le dottrine veda. Sempre pronti a far le pulci a ogni aspetto del cristianesimo, si guardano bene dal ricordare che l’India dei loro sogni metafisici si sostanzia di un simile sistema, schiacciando i fuori casta nel rango degli animali, e che ci volle l’amore di un’occidentale, una suora cattolica, per insegnare ad accarezzare gli «intoccabili». Sedotti dalla cultura religiosa orientale ormai da due secoli, neppure di fronte al recente suicidio col fuoco di una monaca buddista hanno trovato niente da ridire su una rivelazione che spinge a trascurare a tal punto il corpo. Gli allegri fans del Dalai Lama non si permetterebbero mai di criticare le pratiche religiose di quei puri così come fanno quotidianamente con i corrotti cattolici: immaginate che si direbbe se nel nostro mondo si scegliesse un bambino di sei sette anni, scrutandone orecchie e scapole, per ricercarvi i segni della «reincarnazione» e quindi, sottopostolo a inquietanti indovinelli, se ne decidesse il destino, facendone un «piccolo Buddha».

Ma adesso in Italia, casta sta a significare nelle menti di chi si nutre di antipolitica l’insieme delle centinaia di eletti in Parlamento e nelle assemblee locali (non però i signori delle municipalizzate appena riconsacrate dai referendum unanimi sull’acqua «pubblica»). Ad ascoltare qualche giorno fa i deputati che spiegavano il loro voto al «governo dei salvatori» sembrava, in verità, una combriccola di poveracci, nell’eloquio come nell’abbigliamento, alcuni addirittura pittoreschi, rappresentanti di gruppetti dai nomi improvvisati per organizzare la diaspora degli scissionisti senza bussola. Una casta di miserandi, si sarebbe detto, una casta di sfigati – secondo la terminologia giornalistica. E quando si conobbero, proprio in quell’occasione, le cifre vertiginose dei guadagni di certi banchieri – alcuni milioni di euri l’anno – , fu chiaro che questi disgraziati parlamentari erano ben lontani dal mondo del privilegio. Che gli invidiosi aizzati dai gazzettieri diventino compassionevoli davanti ai ridicoli personaggi, che ci si vergogni di ricorrere alla parola magica: casta (tra l’altro, in un paese bonariamente cattolico, ogni rango ha un’entrata e un’uscita). Come si fa ad ambire l’attuale status dei politici? Il potere? Un tempo decidevano della vita e della morte dei cittadini, pace e guerra per esempio, oggi sono nel migliore dei casi piccoli ragionieri che debbono ratificare decisioni prese altrove; amministratori di condominio in palazzi rissosi nei quali si industriano a far passare le volontà di gente straniera e altolocata. Quanto ai soldi, prendono appunto stipendi da magistrati, non da banchieri. Appena un’elemosina elargita a figuranti che non sanno parlare dignitosamente – ne conveniamo –, se è per questo che non riescono neppure a rispondere ai faceti intervistatori della televisione, capaci di inchiodare alcuni di loro, muti o pateticamente evasivi, su termini come «spread», «pil», ecc. Qualche mese fa, le medesime iene col microfono rincorsero altri deputati nella piazza di Montecitorio per domandine di storia patria cui, a destra come a sinistra, ministri e peones, non diedero risposta. Nel contesto informativo attuale, trattasi insomma di parlamentari analfabeti, di parlamentari che non parlano, che non sanno, che non studiano, che non leggono (sempre con le dovute, limitatissime, eccezioni). Il fatto è che a inzeppare il Parlamento accorrono centinaia di mediocri, gente che forse non riuscirebbe a strappare altrove uno stipendio decente. È questo lo scandalo? Si riduca allora a cento il numero dei deputati, cento giusti e saggi da sacrificare alla politica son già difficili da trovare. Per invogliarli perciò li si strapaghi, altrimenti finiscono tutti nelle industrie e nelle banche o qualcuno di loro andrà a governare da dilettante o tecnico che dir si voglia ma saltando l’umiliazione della campagna elettorale e del voto. Cento persone pagate dieci volte almeno quanto guadagnano oggi, senza demagogia, senza risparmiare sulla guida del Belpaese, senza travestire con la porpora senatoriale i falliti delle professioni. Una Camera a quel punto basterà da sola, non c’è bisogno di inventarsi fantasiosamente i compiti della seconda, che allungherebbe i tempi e le chiacchiere.

domenica 13 novembre 2011

È arrivato Godot?

~ LA VITA COMUNQUE SE NE È ANDATA ~

Poveri connazionali ingannati dalle loro piccole furbizie. Sono quasi vent’anni che hanno avuto la testa piena del tycoon prestato alla politica, tornando ossessivamente a lui nei discorsi, giorno e notte, quando Jünger affermava di non aver concesso il suo tempo ai tristi ed esorbitanti figuri davvero tirannici che si trovò di fronte, dedicandosi a ben più nobili imprese, in ogni caso a pensieri più liberi. Loro invece si dedicavano a lui senza tregua laddove perfino i suoi devoti si concessero distrazioni e qualche dimenticanza. Non sapevano liberarsi da questa italianissima figura che volgeva al grottesco (del resto era sopravvissuta alle mode del suo tempo, dalla tv dispiegata si è arrivati al più privato tablet, dalle canzonettiste sanremesi ai romanzieri della camorra, agli scultori del dito medio eretto nella piazza della Borsa a Milano, forme più ambiguë di cultura pop, certamente più sguaiate e arroganti). Le loro letture, conversazioni, interessi, battute, spettacoli, talvolta perfino amori, si son nutriti dell’odio per un miliardario lombardo che provava a governare l’Italia. Si ruppero antiche amicizie, cene e feste domestiche finirono in rissa. Erano la migliore prova di un bisogno di idoli, anche se rovesciati. Si risuscitò allora, e fuori tempo massimo, la fede nella politica benché la società del tutto privatizzata cominciasse ad accettare l’eventualità che anche il governo potesse diventare un affare privato delle banche e dei mercati; infatti quando il gioco si fa duro, quando la crisi si aggrava, quel che resta della finzione politica viene accantonato e si chiama il tecnico, l’impolitico per eccellenza: a che serve allora la nobile arte della politica? Buona per i soli giorni di festa? Rispuntavano anche dei culti dimenticati, perfino il patriottismo, politeismo dei tempi di crisi profonda. All’ombra del nichilismo sorgono infatti idoli nani. Nell’epoca della privatizzazione della fede religiosa, si rendono pubblici gli umori, le morali fai da te, all’opposto esatto di quanto andava dicendo il poeta Charles Lamb: «Le pubbliche faccende – a meno che non mi tocchino direttamente e così si tramutino in private – non posso sforzare l’animo mio a provarci alcun interesse». Ma lo scrittore inglese era sotto la potestà della letteratura, i nostri indignati sono agit-prop della cultura, un’entità astratta che, proprio mentre si fa più corriva e mediocre, viene posta sugli altari. La si è usata recentemente come macchinetta da guerra, in assonanza con quanto rappresentò nell’èra dei totalitarismi europei, almeno secondo l’enfatica ricostruzione storica per cui fu come una fonte di resistenza al potere, irriducibile al Male; ma anche in quel tempo i nomi di Gentile, Sironi, Pirandello, Schmitt, Pound, Jung, Heidegger, von Karajan e tanti altri, pur con distinguo e sfumature, finirono dall’altra parte. Brutti scherzi fa la cultura come talismano.

Godot non arrivava mai e intanto il tempo passava. Vent’anni sono un notevole pezzo di vita, nello specchio ci si riconosce a stento. Allora si finge magari una malinconia per motivi pubblici, in realtà cambia il paesaggio cui eravamo abituati, è la giovinezza che fugge via. Adesso che il signore delle televisioni sembra uscire di scena, le loro chiacchiere si svuotano di senso e i chiacchieroni appaiono intontiti come pugili suonati. Seguirà il rimpianto per un pezzo di vita sprecato.

domenica 6 novembre 2011

Il tempo delle fogne

~ DEI DOVERI DI UN SINDACO ~

I più candidi, davanti alle immagini televisive di inondazioni e morte, fantasticano di un mondo beato in cui i diluvi e i terremoti, la siccità e la grandine, possano essere previsti e risolti dall’uomo. Hanno dimenticato le invocazioni dei nostri vecchi, le Rogazioni, a Dio naturalmente («rogamus te, Domine»), che comprendevano processioni propiziatorie, penitenze e preghiere: «a fulgure et tempestate, libera nos, Domine». Ancor più candidi, anzi decisamente stolti quelli che credono addirittura che nell’uomo sia la causa di tali flagelli, e non per via dei peccati commessi contro il Cielo bensì per quei gas che produciamo noi, creature assai indaffarate sulla Terra. La modernità ha tante colpe ma forse non è riuscita a cambiare il clima, quello muta per imperscrutabili ragioni tanto è vero che, appunto, nelle antichissime Rogazioni già si pregava contro le inondazioni e calamità varie che minacciavano di frequente il Belpaese, anche prima degli eccessi antropici. E prima ancora di essere ‘cristianizzati’, simili riti venivano praticati dai contadini pagani, convinti fin da allora che fosse meglio confidare nella protezione divina che in quella civile. Il fatto poi che le Rogazioni si siano diffuse maggiormente nell’Italia del Nord mostra come le alluvioni fossero più frequenti in quei luoghi, allora come adesso, allora lette come segni dell’Apocalisse imminente e oggi, dimentichi, come sintomi del Global Warming.

Ma se le burrasche non sono sempre domabili, le colpe dei pubblici amministratori non vanno per questo perdonate. Scandalizza alquanto, anzi, che si spendano i quattrini dell’erario in spettacoli e cultura ludica piuttosto di investire nella manutenzione delle fogne. A Roma due settimane fa i tombini ostruiti vomitavano acqua ma il sindaco andava sperperando il denaro in cassa per una inutile festicciola del cinema, per il rito burino del tappeto rosso nell’Auditorium senza glamour. Oggi, in altre città, i sindaci che si improvvisano mecenati delle arti effimere vedono i cadaveri dei loro concittadini trascinati dalla mota. Ben vengano allora i 'tagli alla cultura', come questo «Almanacco» ripete da tempo, che si colga l’occasione della congiuntura grama per ripensare certe imprese. L’amministratore è richiamato al suo mestiere prosaico, lo si ricordava in un pezzo dello scorso anno («Kraus e la moltiplicazione dei musei romani»), dove evocando le invettive del feroce viennese, si argomentava: «gli assessori che dovrebbero occuparsi di vetture pubbliche e di traffico, di illuminazione e di spazzatura, fanno, diciamo così, gli esteti con il loro gusto impiegatizio...». Nel fango affondano adesso i sogni del sindaco estetizzante, nel fango il culturame degli assessori.