domenica 23 settembre 2012

La felicità di un frate

~ CARLO FRUTTERO RACCONTA PADRE PIO ~

Il 23 settembre del 1968 moriva padre Pio da Pietrelcina, a quasi mezzo secolo di distanza egli è più vivo che mai: il più amato dei cattolici, il più implorato come mediatore di grazie, il più acclamato dalle folle di pellegrini, il più vicino ai sofferenti nei letti d’ospedale e nella solitudine domestica. Gli si può adattare per l’ultimo secolo lo slogan che Ruggero Bonghi coniò per Francesco d’Assisi: «il più italiano dei santi, il più santo degli italiani». Oggi la Chiesa universale ne celebra la festa liturgica con grande scorno degli intellettualini che lo temono come l’ultimo medioevale. Ma il «popolo di Dio» tanto evocato da loro resta insensibile alle celebrazioni del mezzo secolo del Vaticano II e si inginocchia commosso davanti alle reliquie del nostro santo che fu fedele fino in fondo alla messa in latino.

Un letterato che sapeva raccontare l’Italia profonda, Carlo Fruttero, in un libro che scrisse prima di morire, appoggiandosi al giornalista Gramellini dopo aver perduto la sua ‘spalla’ storica, tracciò in poche righe la vita del taumaturgo del Gargano. In La Patria, bene o male, che porta il sottotitolo «Almanacco essenziale dell’Italia unita in 150 date» (Mondadori), ricorda: «20 settembre 1918. Mentre prega nella chiesa del suo convento a San Giovanni Rotondo, un frate cappuccino si sente invadere da un indicibile senso di felicità. Ma un attimo dopo è a terra e un dolore fortissimo alle mani, ai piedi e al costato lo trafigge. Si trascina fino alla sua cella, lasciandosi dietro una striscia di sangue. Si fascia le mani e i piedi, tampona alla meglio la ferita del petto, ma ai confratelli e ai fedeli non può nascondere del tutto il fenomeno. Scrive al suo superiore, che accorre a constatare le piaghe. Appare così sulla scena del mondo padre Pio da Pietrelcina, umile fraticello prima, poi beato, poi santo.

Chi dei cappuccini si è fatta un’idea dai Promessi sposi, dovrà dimenticare la grande figura di fra Cristoforo, omicida pentito, ma rimasto uomo d’azione. Questo frate del Sud è tutt’altra cosa: è un mistico, ha avuto la visione di un misterioso personaggio che gli infliggeva le ferite che continuano a non cicatrizzarsi, gettano sangue, gli provocano dolori intollerabili. Sono le stigmate di Cristo che hanno già segnato nei secoli nobili figure come san Francesco d’Assisi e santa Teresa d’Avila, mentre in piena epoca giansenista, Gesù stesso è apparso alla francese Maria Alacoque, per esortarla a celebrare la festa del suo corpo martoriato: il Sacro Cuore di Gesù.

La notizia non può restare segreta e in poco tempo una folla crescente di fedeli circonda il frate, assiste alle sue celebrazioni della messa e chiede di essere confessata da lui. Un gruppo di giovani donne si forma intorno al religioso che ne diventa il padre spirituale, ma la Chiesa procede con molta cautela. Il Sant’Uffizio manda diversi ispettori a controllare le stigmate e tra questi c’è padre Gemelli, illustre genetista che padre Pio rifiuta di ricevere.

‘Psicopatico, autolesionista e imbroglione’, scriverà lo scienziato nel suo rapporto e la condanna peserà sempre sul frate, che è visitato e venerato da milioni di fedeli d’ogni paese e ceto sociale, dai principi ai contadini ma è anche oggetto di campagne calunniose […].

La Chiesa gli toglie la facoltà di dir messa in pubblico e di confessare, riducendolo quasi in stato di prigionia, ma numerosi sono i suoi difensori e dopo anni di dispute più o meno segrete padre Pio riacquista la sua dignità. Finché sulla base di centinaia di testimonianze, i ‘miracoli’ vengono riconosciuti: dal profumo di violetta e gelsomino che emana dal suo corpo ai cosiddetti ‘viaggi in bilocazione’, ossia il dono dell’ubiquità.

Muore nel 1968. Là dove ricevette le stigmate sorge la chiesa di San Pio. Chissà se gli piacerebbe: sembra uno stadio».

Così Fruttero. Una sola imprecisione storica. Padre Gemelli volle curiosare dall’alto della sua scienza medica e psicologica in una visita di sua iniziativa a San Giovanni Rontondo ma padre Pio, obbediente  alle autorità di Roma che gli avevano vietato di mostrare a chicchessia le sue stigmate, rifiutò di farsi visitare dal noto scienziato. Il professorone stizzito replicò con una diagnosi calunniosa. Oggi nell’ospedale romano che porta il suo nome nessun paziente ricorda più il pomposo luminare, il rettore dell’università, il cantore sgraziato del «volto fascista di maschia bellezza», mentre decine di immagini di san Pio venerate in ogni reparto dimostrano che al momento opportuno la Provvidenza sa rovesciare le fortune, anche accademiche, ed esaltare i semplici.