mercoledì 10 dicembre 2008

Calendario dell’Avvento 10. M.me du Deffand, duetti

Anche gli illuministi incipriati di cinismo si preparavano al Natale; la storia del Dio nella mangiatoia suscitava invero poche reazioni profonde nel Settecento avanzato, piuttosto si tramutava in una festa invernale, sontuosa occasione per scambiarsi cattiverie in bella forma. Marie-Anne de Vichy Chamrond marchesa du Deffand era già sessantottenne oltre che cieca e ancora civettava con gli uomini e con la scrittura, ottenendo risultati superbi. Horace Walpole, autore neo-gotico di vent’anni più giovane di lei, le scriveva: «se l’amicizia ha tutti i fastidi dell’amore senza averne i piaceri, non vedo nulla che inviti a conoscerla». Lei replicava alternando effusioni e freddezze cerebrali. Con Voltaire, ancor più vecchio di lei, si erano scritti per decenni e, ormai vegliardi, continuavano a mantenere incandescente lo scambio epistolare. Un giorno di dicembre del 1774, la marchesa fa una richiesta all’ottantenne Voltaire: dei versi natalizi. Il dono avrà un seguito di equivoci salottieri. Brillante travisamento del Natale, che nessuno osi paragonare a quelli dei nostri giorni, cui manca del tutto l’eleganza del tono, restando solo l’indifferenza mediocre per i temi cristiani. Le citazioni sono prese da Lettere a Voltaire (Bompiani).

Parigi, 24 novembre 1774
[...] Desidero ardentemente che mi facciate un favore. Tutta Chanteloup cenerà da me la vigilia di Natale, non solo i padroni di casa, ma anche molti amici intimi. […] Vorrei che fosse una serata piacevole, divertente, allegra: mi sono già assicurata Balbâtre, che suonerà al pianoforte una lunga serie di noëls. Mi piacerebbe qualche bel couplet sulla stessa aria per il grand’ papa, la grand’maman e madame de Gramont. Se i couplets vi ripugnano, sostituiteli con un piccolo componimento in versi che passerà per anonimo; sarà presto riconosciuto dallo stile […].
Se quest’idea vi sorride, accogliete la mia richiesta, affrettatevi a soddisfarla, oppure comunicatemi il vostro rifiuto; evitatemi il tormento dell’incertezza. Ma no, voi non mi direte di no. Guardatevi dal rimandarmi ai vostri protetti, mi detestano; e poi non mi occorre la filosofia, mi occorrono grazia, gusto, gaiezza. […]
Parigi, 7 dicembre 1774
Ah sì, terrò il segreto, potrete esserne certo. Mai favore è stato più prontamente concesso, ma più diverso da quello che si sperava. Voi non avete capito la mia richiesta; non si trattava di Gesù bambino, il bue, l’asinello, la sacra famiglia, ma della felicità del ritorno; e poi io non avevo in mente solo dei couplets. Mi sarei accontentata di una breve epistola o di un piccolo componimento in versi. Vedo che ho avuto torto, che ho fatto una richiesta indiscreta, che ho avuto troppa familiarità con il grande Voltaire, e per insegnarmi a stare al mio posto, egli mi ha fatto rispondere dall’Abbé Pellegrin [Voltaire le aveva scritto scherzosamente che aveva «invocato l’ombra dell’Abbé Pellegrin», prete, poeta e librettista, per il suo dono in versi]. Vi sareste divertito davanti alla mia grande gioia e alla mia immediata costernazione. Mi portano la vostra lettera: «Presto, aprite, ci sono dei versi? Sì, quattro couplets. – Cantateli!». Ah, mio Dio! è possibile! Perché mi trattate così, caro Voltaire? […]

9 dicembre 1774
[…] Vi ho chiesto dei couplets sull’aria dei noëls perché tutti li possono cantare, non bisogna sapere la musica né avere la voce; ma non volevo che vi si trattasse dell’Antico e del Nuovo Testamento. Passi per l’antico e il nuovo parlamento, l’esilio, il ritorno, la gioia generale, la mia in particolare, insomma tutto quello che vi poteva passare per la testa, tranne l’evento di millesettecentosettantaquattro anni fa…