giovedì 31 maggio 2012

Lo sguardo del taumaturgo

~ PADRE PIO E IL BUDDISMO
NEI RICORDI DI GIACINTO SCELSI,
COMPOSITORE ELETTO ~

Ogni tanto ci si imbatte in qualche aristocratico dello spirito che mostra venerazione per Padre Pio, il santo sdegnato dai mediocri, anche di parte cattolica, in quanto immagine di un cristianesimo sanguinante. Nobiltà e popolo si ritrovano invece insieme, anche in questa occasione, nel culto dello Stigmatizzato di Pietrelcina. Oggi è la volta di un musicista, «per decenni invisibile», come ha scritto Quirino Principe, sommerso dall'arroganza degli engagés nei Cinquanta-Sessanta, confuso con gli avanguardisti, caricaturizzato in versione esotica, e soltanto adesso ‘riscoperto’ come sempre accade quando il tempo fa venir giù i gaglioffi e restano in filigrana le figure che contano: Giacinto Scelsi. Il «Charles Ives italiano», secondo una definizione dell’americano Morton Feldman, conosce addirittura la notorietà per opera del regista Martin Scorsese che ha usato una composizione scelsiana come unico commento musicale al suo film Shutter Island. Amico di John Cage, Jean Cocteau, Norman Douglas, Henri Micheaux, Pierre Jean Jouve, Virginia Woolf, viaggiatore in Nepal e in India, attratto dalle religioni orientali, tentato dai simbolismi di cui la sua casa romana sui Fori fu tempio, il conte Giacinto Francesco Maria Scelsi si recò più volte a San Giovanni Rotondo per incontrare Padre Pio e deporre ai suoi piedi i peccati dell’arte satanica, l’eccesso di spirito creativo che mette l’uomo in competizione con la divinità. Nella sua autobiografia, uscita da Quodilibet nel 2010, Il sogno 101, così racconta alle pagine 172-173 di quelle ore passate nel povero convento pugliese.

«Parlando di occhi [Scelsi aveva incontrato un giorno lo sguardo di Mussolini, cui mancava ‘una profondità’, ndr], devo dire che quelli di Padre Pio erano ‘diversi’. Una volta andai a trovarlo. Ma che dire dei grandi Esseri e dei Santi? Non si può che chinare la fronte e tacere. Certo, Padre Pio era pieno di santità e di luce divina, ed anche di poteri soprannaturali: chiaroveggenza, bilocazione, ecc. – poteri che appartengono anche agli yogi indiani, sebbene da questi siano conseguiti in altra maniera […]. Padre Pio era un docilissimo strumento della forza divina, e quindi non gli importava affatto quanto si potesse dire di lui, ed obbediva agli ordini dei suoi superiori gerarchici senza alcuna protesta né difficoltà anche quando tali ordini erano ciechi e ingiusti; tutto ciò a lui non importava punto, anche se in certi casi disturbavano la sua azione visibile: egli aveva altri mezzi per continuarla. D’altronde, se lui era uno strumento della divinità, la sua fede cristiana era per lui uno strumento, ed in questa fede è compresa anche la dottrina del sacrificio e della obbedienza alla regola. Certo, se da un lato questa obbedienza e la fede assoluta gli avevano permesso di giungere all’estasi e alla santità, d’altro canto non vi era per lui spazio per altro. Non so se sul caso di una realizzazione mistica così perfetta si possa o si abbia il diritto di imporre restrizioni. Certo egli non ammetteva nulla all’infuori della rivelazione e della verità cristiana; per lui l’induismo e il buddhismo non erano vie di sviluppo spirituale: ammetteva che possedessero un poco di verità, non ‘la Verità’.

Forse egli vide sfilare nella mia mente i grandi mistici d’Oriente e quindi sentì in me qualche lieve riserva mentale; ed è, penso, per questo che non adoperò per me i suoi poteri e le sue qualità di taumaturgo, come – non lo nego – io in quel tempo avevo sperato. Egli peraltro aveva ragione: non si può chiedere l’intercessione a colui del quale non si partecipa al cento per cento l’assoluta ed esclusiva fede.

La sua messa mattutina era impressionante e indimenticabile. La cappella si riempiva non solo del suo particolare profumo, ma direi proprio di spirito, e così fortemente che si muovevano soltanto, con lenti gesti, le sue mani bendate: i presenti erano immobilizzati e colpiti da una forza che si scioglieva solo alla fine del rito.

Poi vi sono anche gli occhi di colui che guarda attraverso le palpebre chiuse, eppure le pupille si vedono o sono io che vedo le vedo gli occhi attraverso le sue palpebre? No, sono i suoi occhi che rendono trasparenti le palpebre, e sono occhi d’oro, di un oro non metallico, occhi incredibili e indimenticabili, insostenibili per più di un secondo, ma che si ‘sentono’ addosso quasi brucianti. Trascendono l’intero universo, anche l’amore – in ogni caso quello personale –, occhi cosmici. Ma poi egli apre le palpebre e si vedono occhi semplici e buoni: incredibilmente terrestri e rassicuranti, insieme al gesto familiare di congedo».

sabato 12 maggio 2012

I notturni del diavolo

~ NESSUN BUON SAMARITANO
TRA LE VITTIME DEGLI SCIOPERI ROMANI ~

La «compassione» è una faccenda cristiana, come spiega Luca (10, 25-37). Irretiti nei formalismi, nei conti, nelle spettanze, i signori del sindacato la ignorano. Quieti, flemmatici, sfumacchiando la pipa, mestieranti del lavoro altrui, senza trepidazione alcuna decidono una ennesima giornata di sciopero dei mezzi di trasporto a Roma, non riescono a inventarsi una lotta meno ottocentesca che di fatto colpisce ormai soltanto le persone fragili, coloro che non possono fare a meno di un pubblico autobus o della metropolitana. Per i più è soltanto un piccolo fastidio, si prende l’auto e ci si infila in un traffico speciale, per i vecchi che non guidano, per quelli che non possiedono neppure un motorino, anche andare a farsi una lastra, magari prenotata mesi prima, diventa un’impresa. Così i sindacalisti impongono di arricchire i tassisti con i soldi dei poveri. Ma particolarmente infame è il dispetto perpetrato la scorsa notte a quel popolo di miserabili che affolla i «notturni». Anche queste carrette degli assonnati son state sospese per sciopero, nonostante un tale sciopero oscuro non abbia eco, avvenga nel cuore della notte, quando le maggioranze dormono, e riguardi esclusivamente lavoratori stremati dalla fatica. Chissà se i sindacalisti hanno mai visto i «notturni» ai capolinea della Stazione Termini o di Piazza Venezia? Ogni tanto ci sarà pure un turista per caso, un nottambulo per piacere, uno studente che si è attardato da un amico, ma la gran massa è formata da cuochi e camerieri, suonatori ambulanti, venditori di rose cimiteriali che stringono ancora la spinosa merce avariata, e non mancano i senza casa che girano la città dormendo su un sedile tra i loro fagotti. Che ne sanno i sindacalisti della puzza diffusa in quelle vetture, delle facce assonnate dei nuovi schiavi? L’altra notte, tutti a piedi, abbandonati alle fermate sparse per la città, condannati a non poter raggiungere le loro case nelle periferie, a Ostia e nelle altre borgate distanti decine di chilometri. Molti non sapevano neppure la causa di questa punizione collettiva, né sapevano dei comici arruffoni, della destra e della sinistra, dei sindaci e dei governi tecnici, semplicemente disperati, senza le biciclette delle signore ecologiste, senza le auto dei mondani che rincasavano. Avranno invocato le maledizioni del cielo sugli scellerati che hanno rovinato loro la notte.
 
I giovani conservatori, gli attempati liberali, i militanti delle svariate politiche sociali non pensano proprio a emulare i ragazzi francesi che nel periodo tra le due guerre correvano con le automobili private a prestare soccorso alla popolazione lasciata a piedi dagli scioperanti. Nessun cavaliere a bordo dei fuoristrada, nessun novello san Martino che dia una mano ai dannati della terra. Né le parrocchie che tanto chiacchierano di immigrati si sono mai organizzate in una simile opera da Buon Samaritano. Né l’esercito, come nel dopoguerra e ancora fino agli anni Sessanta, interviene per l’emergenza con i suoi camion dove solerti soldati aiutavano i vecchi ad arrampicarsi per scalette ripide: le statistiche garantiscono che tutti son forniti di auto, chi non la possiede resti paralizzato per un giorno. Stanchissimi, seduti in terra, privati del ritorno, del sonno, delle spiegazioni sulla brutta notte, di un qualche  giornale che racconti il giorno dopo le tribolazioni di migliaia di persone lasciate dal pubblico servizio alla loro prostrazione: è lo sciopero contro i più poveri. Il silenzio lo avvolge, non si può limitare il diritto sindacale e neanche renderlo meno offensivo. Peggio per gli inermi che davvero non hanno santi in Paradiso, anzi spesso non hanno neppure il conforto cattolico.