giovedì 20 marzo 2014

Riti americani

~ SE LA CHIESA DI ROMA DIVENTA OLTREOCEANO
UNA SETTA PROTESTANTE. ~
 RACCONTAVA NEGLI ANNI TRENTA MARIO SOLDATI …~

Pare ad alcuni cattolici d’esser giunti alla definitiva e completa protestantizzazione della Chiesa di Roma, una resa al verbo di Lutero di cui si incolpa il Concilio novecentesco e la cultura che ne è scaturita in questi ultimi decenni. Così è invalsa l’abitudine di mettere la sbarra che separa l’epoca in quei primi anni sessanta che videro l’assemblea universale dei vescovi rincorrere in modo patetico il mondo moderno. E sarà pure una giusta periodizzazione purché non si dimentichi strada facendo che il disorientamento moderno aveva inferto duri colpi alla Chiesa anche nella prima metà del Novecento, nonostante la forma resistesse, nonostante la corazza d’oro della tradizione contribuisse a darle un residuo fiato. E anzi, ben più indietro, già sul finire del XVIII secolo si erano verificati crolli mai visti nella sua millenaria storia, crolli delle architetture dottrinarie e istituzionali, crolli seguìti dall’arresto di cardinali e quindi del papa stesso, con la deportazione del pontefice, l’abbattimento del potere romano, la riforma del clero intrapresa dai vescovi passati dalla parte dell’impero, la dissoluzione della universalità cattolica sostituita dal nuovo mondo conquistato delle armate rivoluzionarie. Furono episodi storici, parentesi tragiche cui seguì il ritorno dei papi a Roma, la restaurazione della sovranità petrina, la riaffermazione in chiave dogmatica delle verità cattoliche, ma l’impianto era ormai fragile: a Chateaubriand bastò assistere a una messa pontificale del papa per avvertire un senso di morte nei Palazzi Apostolici. D’altronde, di lì a poco si registrarono altre devastazioni, il papa fu di nuovo imprigionato nel suo Vaticano, questa volta dalle truppe di uno staterello come il Regno dei Piemontesi. L'Europa non reagì. Insomma, neppure la fulgida ostinazione del beato Pio IX e dei suoi immediati successori nell’arroccarsi contro le lusinghe della modernità produsse frutti troppo proficui. L’isolamento di Roma, cioè, era più profondo di quanto apparisse in superficie, lo stesso termine ‘cattolicesimo’ copriva differenze notevoli, equivoci, avversioni segrete, semplici incomprensioni.

Senza approfondire la faccenda dal punto di vista teologico e filosofico – l’«Almanacco» si arresta sulla soglia della cultura cattolica, ne raccoglie appena qualche spunto storico –, ci piace portare la testimonianza di un letterato italiano negli anni trenta del Novecento, trascrivere la sua inquietudine di fronte alle metamorfosi della Chiesa di Roma oltreoceano. Benché educato dai gesuiti, anzi con una giovanile vocazione a entrare nella Compagnia, Mario Soldati in quegli anni si dichiarava agnostico, eppure nel suo brillantissimo America primo amore leggiamo un singolare capitoletto intitolato «Cattolici americani» dove si avverte che lontano da Roma, alla periferia esistenziale del mondo, anche la religione ‘papista’ viene contraffatta, suscitando la reazione del giovanotto che veniva dal Vecchio Continente. Qui in Europa, alla fine del Novecento, c’era chi provava scandalo  per il sincretismo degli «incontri di Assisi», e perfino un dottissimo prefetto del Sant’Uffizio se ne dichiarò perplesso;  negli Usa simili adunanze erano scontate sin dagli anni della fondazione.

(Del racconto di Soldati riportiamo alcuni passi, con le tante maiuscole dell’autore, con i suoi vezzi di tradurre ‘street’ con l’italo-americano ‘strade’, dalla edizione Einaudi del 1945.)


«Mi ritrovai di passaggio a New York la mattina dell’otto dicembre: alcuni lettori penseranno subito che è la data dell’Immacolata Concezione, festa di precetto, obbligo di Messa. Mi era compagna una persona praticante. Lasciammo l’albergo Newyorker per andare alla più vicina Chiesa Cattolica, a 33 Strade. Ma giungemmo nel momento che la Messa era finita e ci scontrammo sulla soglia coi fedeli che uscivano avviandosi frettolosi al lavoro: l’America è un paese protestante e l’otto dicembre non è festa. La persona che mi accompagnava era seccata, non c’erano Messe fino alle 10, la mattina andava a soqquadro. Ma ecco si avvicina un signore grasso, occhialuto, tipico yankee, e orologio alla mano come per dare lo start in una competizione sportiva e per dire all’amico ritardatario che il treno parte tra cinque minuti: “C’è una Messa qui, all’angolo di 51 Strade e Settima Avenue, andate giù due blocchi, girate a sinistra, state attenti, la Chiesa non ha facciata, c’è una reclame luminosa, Padri Francescani, entrate dalla porticina…” […].

«L’entrata della Chiesa era proprio come nella descrizione. In fondo al tratto di 33 Strade compreso tra l’Ottava e la Settima, dopo garages, tipografie, case di spedizioni, traffico di camions, operai in tuta che attendevano ai primi lavori del mattino: una réclame al neon, azzurra e vermiglia: The Capuchins – Franciscan Fathers – Roman Catholic Church.

«L’interno: pilastroni e ogive a fasciature complicate, stile gotico inglese, lo stesso delle chiese protestanti salvo il colore: una generale rivestitura di stucchi bianchissimi invece del nudo e cupo cemento. E sorprendevano, agli altarini laterali, le tradizionali statue di biscuit colorato, di San Giuseppe, dell’Addolorata, del Sacro Cuore, mazzi di fiori finti, i grandi piatti di stagno dove una moltitudine di candelotti infilati ardevano a varie altezze.

«Conosciamo da anni le chiese cattoliche degli States. Eppure, ogni volta, il primo istante che lasciamo il marciapiede avventuroso e l’atmosfera violenta di una via di una città americana per entrare in una chiesa cattolica, ritrovarsi faccia a faccia con la vecchia iconografia transoceanica pare un goffo anacronismo, un assurdo macabro.

«Ricordiamo che […] gli Stati Uniti da soli danno più soldi all’Obolo di San Pietro di tutto il resto del mondo cattolico messo insieme. […]
                                                                       
«… il Cattolicesimo, in America, se volesse conservare lo spirito di Roma, se volesse essere un vero Cattolicesimo, ci starebbe come i cavoli a merenda e cioè non ci starebbe affatto. Per vivere deve trasformarsi sotto l’influenza della religione americana, diventare in sostanza una specie di setta protestante. Intendiamoci bene:  nulla di cambiato, nulla di eretico nel dogma e nelle formule. E i cattolici americani sono, quanto ad adempimento delle pratiche, infinitamente più esatti dei nostri. Probabilmente sono anche molto più buoni, più casti, più ordinati, più caritatevoli. Commettono molto meno peccati. Ma è più cattolico lo stile di una bagascia di Trastevere che quello di una monaca di Chicago. Gratta gratta, ha più fede quella di questa.

«Non si arrabbi la Propaganda Fide. Tra il 1583 e il 1610 il padre Matteo Ricci S.J. convertiva trionfalmente i cinesi inventando un rito cattolico-cinese. Sulle sue orme, tra il 1605 e il 1656 il padre Roberto de’ Nobili conquistava il Maduré. E tra il 1672 e il 1693 il padre Juan de Britto il Malabar. A poco a poco tutta la Cina, la Concina e l’India furono in mano dei gesuiti, che non contrastavano, ma soltanto modificavano il culto locale, e si facevano passare in India per bramini e saniassi, in Cina per bonzi.

«Frattanto, in Europa, i giansenisti menavano scandalo. I francescani e domenicani protestavano presso il Vaticano. E lungo tempo fu dibattuta la questione. Finché, nel 1742 (bolla Ex quo singulari) e nel 1744 (bolla Omnium sollicitudinum) Benedetto XIV proibì, sotto pena di scomunica, le cerimonie cinesi e i riti malabraici.

«I gesuiti obbedirono. E furono cacciati dall’India e dalla Cina, che tornarono a Brama e Confucio, perché di Brama e Confucio erano rimaste, nonostante da un secolo e mezzo invocassero la Madonna e ottemperassero irreprensibilmente alle pratiche essenziali della nostra religione. Benedetto aveva capito questo, e aveva preferito non annoverar pecorelle nella lontana Cina che accogliere sotto il proprio manto tutto un gregge di buonissime e zelantissime che però non erano vere pecorelle, bensì il frutto dei geniali trucchi dell’ardente Compagnia di Gesù. Ma si vede che nel secolo XVIII l’Obolo di San Pietro poteva fare a meno dei mandarini.

«Un ciabbattìo mi riscuote: è entrato il celebrante. Tutti i fedeli, come un sol uomo, si levano. L’accolito, premendo alcuni bottoni, fa suonare campanelle elettriche simili ai segnali orari delle nostre radio. All’Introito tutti s’inginocchiano; al Vangelo si levano; al Laus tibi Christe siedono, ecc. compiendo queste manovre con una simultaneità meccanica, che da noi non troviamo neppure nei noviziati. Così si comunicano e così si confessano. Immaginiamo i peccati standardizzati che dicono. E del resto i sacerdoti americani non possono capire, classificare e perdonare che delle colpe, come dire? regolari. Un fervente cattolico europeo soffrirebbe a confessarsi da un prete americano: lo troverebbe, indipendentemente da severità e indulgenza, disumano.

«Inversamente, i cattolici americani che vengono a Roma, non credono ai loro occhi: stentano a riconoscere nel nostro il loro stesso Cattolicesimo, nella Chiesa romana la Romana Chiesa; e devono compiere veri sforzi di buona volontà per non tornarsene a casa con la convinzione che il Vaticano sia culla di scandali ed eresie. Generalmente se la cavano con la teoria delle minoranze.

«“Siccome in Italia e in Francia tutti sono cattolici, si capisce che saranno cattolici non solo i buoni, ma anche i cattivi cittadini, i ladri, i libertini, le ragazze non tanto serie. Ma in America, al nostro paese, c’è la concorrenza coi protestanti e noi cattolici dobbiamo per forza mantenere una perfetta condotta morale, se vogliamo sostenere che la nostra religione è la sola vera. Oh! certamente… i cattolici americani sono i migliori cattolici di questo mondo!”.

«Sono frasi che ho fonografate, dopo la Messa di mezzogiorno, uscendo dalla Basilica di San Giovanni in Laterano. Era d’estate: per tutto il tempo della Messa, all’altare dove si stava celebrando, due ragazzini seminudi ornarono i gradini della balaustra. Scherzavano, giocavano, si muovevano snelli e graziosi come bestiole, facevano le boccacce ai fedeli. Le pie signore americane erano al colmo dell’indignazione. […] Chi non ricorda i putti di Raffaello ai piedi della Madonna Sistina? Il mento in mano, i gomiti puntati, guardano distratti il pubblico con una innocenza che gli occhi delle vecchie miss, dietro le lenti e la grata delle dita incrociate, non ne hanno il più piccolo riflesso.

«Roman Catholic! La scritta al neon mi fa pena. Non per altro che per la tradizione, il decoro, la nostalgia di una fede che fu la mia. E mi fa pena la restrizione mentale e pittoresca di questi Capuchins (Cappuccini) che, per non contravvenire alla regola d’ordine e insieme non offendere troppo i gusti americani, portano pizzettini curatissimi e si  rasano ogni mattina collo e gote.

«Oh i bei barboni di via Veneto e del mio Monte! Dalla sagrestia odorosa di muffa e di incenso secolare, sotto un cartello oblungo, nero e oro, dove è ancora il Silentium dei pomeriggi del soleggiato Seicento, appaiono qua e là per gli stalli del coro, nella penombra marrone solcata da raggi polverosi, i solenni fratoni in preghiera. Volti scolpiti dalle gioie e dalle sofferenze della vita; orbite scavate in fondo a cui brillano le pupille come dal segreto abisso dei confessionali; barbe fluttuanti che paiono nascondere il bene e il male componendoli in nobili armonie: nei cappuccini italiani vive ancora, se non l’anima e la dottrina, un nostalgico fantasma della Controriforma.

«Antica pace e verità, sommerse, come un ricordo della prima puerizia, nel fluire disordinato di tre secoli. Mai più potremo, a volta a volta, peccare e pentirci: uccidere chi ci è odioso sulla soglia di un convento e súbito, entrati, con sincere lacrime sentirci assolti. O San Pietro, primo degli Apostoli, caduti sono da tempo i Tuoi altari. Sotto il colonnato che Bernini Ti dedicò, ormai gli spazzini del governatorato puliscono accuratamente ogni mattina. La morale ha fatto passi da gigante. C’è una gran vigilanza: le serve a Te care più non osano nascondersi col focoso soldato tra colonna e colonna, le dolci sere di primavera. E le pellegrine americane arricciano il naso quando vedono i nostri Cappuccini: pensano al bagno quotidiano.

«Panem nostrum quotidianum da nobis hodie, il celebrante sull’altare aspira l’h di hodie. Glabri maggiordomi in tight passano stendendo tra i banchi le rosee mani: esigono da ogni fedele un quarto di dollaro. I cattolici poveri, in America, non possono entrare in tutte le  Chiese cattoliche. Devono andare nelle loro chiese per i poveri diavoli, nelle chiese dei gangsters  perseguitati: delle mogli e delle sorelle dei gangsters, i giorni pericolosi che soltanto più la Madonna di Pompei può far la grazia e salvare Tony dalla mitraglia dei nemici o dalle manette della polizia federale.

«Gli organizzatori, i dirigenti del Cattolicesimo americano sono corrotti fino in fondo dallo spirito  protestante. Nella maggioranza dei casi le forme sono salve e non possiamo intentare un processo alle intenzioni. Ma quando, sui giornali della domenica, la pagina riservata alla pubblicità dei Culti riunisce insieme ad una quarantina di sette protestanti e alle sette ebraiche e a quelle massoniche, l’annunzio delle funzioni Roman Catholic, dove questi due grandi esclusivi attributi sono stampati nello stesso carattere di certe abominevoli aberrazioni come Christian Science o i vari crocchi dei Teosofi – allora la nostra inconscia dignità cattolica si ribella, vincendo gli scetticismi: invochiamo da Roma provvedimenti disciplinari. Scomunicare, il Successor di Piero dovrebbe, scomunicare quegli eretici.

«Proibire, il giorno della commemorazione dei Caduti in Guerra, proibire al Sacerdote cattolico di intervenire alla cerimonia e di recitare il nostro De Profundis accanto al borbottio del rabbino e all’enfasi del ministro episcopale. Proibire alle università dei Gesuiti (perfino i Gesuiti sono sradicati) di farsi réclame reclutando i migliori giocatori di foot-ball. Scatenare ancora una volta la potenza dell’anatema. Forse. Lo trattiene la paura di non far colpo. Ma è certo che più aspetta, peggio è. Verrà un giorno che ci sarà obbligato. Ma forse sarà troppo tardi». (pp.179-185)