lunedì 6 luglio 2015

Il rito delle scuse


~ CATTOLICI, ANCORA UNO SFORZO
PER ESSERE DEI GENTILUOMINI ALLA MODA ~

Giudicare il passato con il paradigma giuridico e linguistico dell’oggi è cosa illegittima e ingenerosa. Sconcertante dunque quel ripetuto scusarsi della gerarchia cattolica (rivolto al genere umano? ai propri fedeli?) per teorie e pratiche, risalenti ad alcuni momenti della sua  lunghissima storia, che non si conciliano con il pensiero dominante della nostra epoca. Eppure, subito dopo lo sconcerto – anche per lo svilimento delle pie intenzioni di chi ci ha preceduto, dei maggiori sempre da venerare, delle loro imprese a gloria di Dio –, subentra la vecchia idea della barchetta di Pietro nel mare procelloso, della navigazione miracolosa tra venti furiosi, del magistero asintotico, della solidarietà complice tra pontefici lontani nel tempo che permette correzioni reciproche. In questi pubblici atti di umiliazione possono magari brillare lampi di tradizione viva. I papi fanno a gara nel lucidare l’immagine della Catholica, nel cancellare le umane imbrattature che la ammorbano come una muffa. Nobile dunque l’intento, c’è però il rischio di guardare alla storia da un punto di vista privilegiato, come se si fosse ormai pervenuti, per opera del progresso, a un’altura celeste, definitiva. Dalla sommità delle umane presunzioni ci vergogneremmo delle rozzezze del passato, senza renderci conto dell’abisso dove siamo precipitati noi, i moderni. Di scusa in scusa, arriverà il tempo in cui, davanti al tribunale del pensiero a una sola dimensione, si reciterà un estremo «mea culpa».

Appena liberato dal carcere della Bastiglia, il marchese libertino della algolagnia dedicò ai suoi liberatori, nel frattempo divenuti regicidi, un libello titolato Francesi, ancora uno sforzo per diventare repubblicani, dove si promuovevano le peggiori nequizie, il suo repertorio per l’appunto sadico, onde trarre le definitive conseguenze teologiche dalla decapitazione del re: se avete ucciso il garante divino dell’ordine, tutto è permesso. L’opinione pubblica attuale è meno affabile del perverso settecentesco e impone i suoi diktat: Cattolici, ancora uno sforzo se volete essere dei gentiluomini alla moda, ripete all’infinito e in modo ossessivo su tutti i media. Ovvero, non bastano gli aggiornamenti, la cancellazione della liturgia secolare, l’annacquamento delle regole morali, l’ossequio verso il pensiero dei nemici: ci sono delle pagine nei libri sacri che proprio non vanno. Sì – essa dirà –, avete cassato la preghiera per gli ebrei del venerdì santo, senza sottilizzare, ve ne diamo atto, se la parola «perfidi» si riferisse a una malvagità congenita del popolo di Mosè o all’etimologia che spiega: «ostinati a non riconoscere una verità», ma c’è ben altro da fare. Prendiamo il biblico Deuteronomio. Siete al corrente, signori del dialogo, di che cosa c’è scritto in quel libro del Pentateuco? Leggiamo, citando dalla Bibbia nella versione ufficiale della Cei: «Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: gli Ittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, quando il Signore, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro confronti non avrai pietà. Non costituirai legami di parentela con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché allontanerebbero la tua discendenza dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe. Ma con loro vi comporterete in questo modo: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco» (7, 1-5).

Ecco, i signori della tolleranza trovano spesso decisamente «intollerabili» molti pensieri e molte pagine delle culture a loro opposte, esigendo e ottenendo dal potere politico assai rigide censure. Diranno allora gli avversari: può la Chiesa di Roma che ha chiesto  perdono per le incomprensioni con Galileo e per la repressione delle eresie, lodare, incensare e diffondere un libro che comanda di comportarsi in tal modo? E a questo punto faranno menzione di un altro passo: «Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della città: ‘Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è un ingordo e un ubriacone’. Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà. Così estirperai da te il male, e tutto Israele lo saprà e avrà timore» (21, 18-21). Razza di lapidatori, aggiungeranno i moderni nemici, pentitevi, pentitevi, ritrattate, chiedete scusa. Né le aperture dei sinodi sulla famiglia – insisteranno i critici della Chiesa – potranno attenuare raccomandazioni come questa: «La donna non si metterà un indumento da uomo né l'uomo indosserà una veste da donna, perché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore, tuo Dio» (22, 5). E condanne a morte – sottolineeranno – sono comminate dalla Bibbia per ogni tipo di adulterio, lunga è la sequenza deuteronomica, a cominciare da: «Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l'uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele» (22, 22).

Di fronte a queste severissime citazioni, all’opposto dell’attuale sentimentalismo asfissiante, quanti ecclesiastici resisteranno alla voce del progresso che impone loro di scusarsi per il libro santo? Quanti vorranno fare il gentiluomo e saranno pronti a bruciare (simbolicamente, s’intende) le pagine bibliche incriminate? E quanti troveranno la soluzione del problema rifacendosi all’eresiarca Marcione, rigettando cioè l’Antico Testamento e cercando di piegare il cristianesimo alla vita moderna? Ma anche senza collazionare gli innumerevoli precetti violenti del Messia che annuncia di aver portato la spada in questo mondo, basterà nominare l’Apocalisse, libro canonico, parte integrante e conclusiva della Bibbia cristiana, perché sia subito scandalo anche nel Nuovo Testamento. La vendetta divina, il Giudizio sonoro e tremendo non sono motivi che piacciono ai contemporanei, i discorsi ‘ebraici’ del visionario di Patmos sembrano poco adatti alla angelicità in voga. Anzi, mai come adesso, il tono apocalittico, consentito alla science fiction come al catastrofismo socio-politico, è negato alla religione. Perfino nel mondanissimo Rinascimento le pagine escatologiche avevano maggior risalto, e la Cappella papale per eccellenza, il cuore della corte che oggi si condannerebbe come ‘paganeggiante’, le metteva in scena  nella più grandiosa immagine della storia dell’arte: il Giudizio michelangiolesco. Icone della guerra finale, che adesso ci proibiamo per tabù impostoci dagli altri. Libro «oscuro, sublime, sanguinoso» (Balzac), dalla prima all’ultima parola è l’intera Bibbia che appare estranea al nostro tempo. Non basta nascondere o svilire nei commenti l’Apocalisse come le più dure parabole di Cristo, negli ultimi tempi alla Chiesa di Roma vien intimato a gran voce di chiedere scusa per il fatto di non rassomigliare a nessun’altra istituzione, a nessun’altra religione. E il suo passato non somiglia neppure alla lontana a questo presente. Peccato gravissimo di anacronismo agli occhi dei contemporanei. Imperdonabile essere inattuali, nonostante i capi ecclesiastici ricorrano a ogni camuffamento, pure al glamour, per nascondere tale colpa. Del resto, benché sempre accusata di saper tessere compromessi come nessun altro, la Chiesa di Roma si caratterizzò fin dall’inizio con quella caparbia difesa dei «valori non negoziabili» per cui, unica tra le sètte che pullulavano nella capitale pagana, rifiutava il culto dell’imperatore di turno, facendosi massacrare per resistere all’idolatria politica. «O Roma felix», si canta nella festa di Pietro e Paolo, «es consecrata glorioso sanguine», imporporata dal sangue che la fa santa. In tempi tanto soft, nella realtà virtuale che prende le forme di una pseudo eleganza del design al servizio delle merci, il sangue è inopportuno.  L’Apocalisse risulta più minacciosa di ogni effimero terrorismo, dal momento che annuncia la distruzione definitiva delle fondamenta del mondo.

L’ipocrisia del discorso pubblico condanna le guerre antiche condotte in nome della verità e accetta le stragi dell’oggi compiute in nome della comodità: che crepino in mare donne e bambini dell’altra costa purché non turbino con la loro presenza il ‘tenore di vita’ opulento del Nord Europa protestante e ordinato, eticamente corretto. «Questo orribile protestantesimo che ci divora» (ancora Balzac) e ci divora tutti, anche in modo inavvertito. Non ne vogliono più sapere del legislatore ebreo che raccomanda di passare a fil di spada il nemico, che indica le regole per vincere la guerra difficilissima, e che ordina di rispettare lo straniero che viene tra noi. Ignorano le parole dolcissime con cui l’Apocalisse parla al cuore dei disperati.

Verrà forse un vescovo a dire: «Perdonateci se abbiamo un libro intollerante, dove c’è l’istigazione all’odio e un esecrabile spirito di vendetta». È già luogo comune che solo le religioni sono feroci, quella cattolica prima fra tutte. Ci scusiamo perciò – finiranno col balbettare – per il nostro libro, per i nostri avi impresentabili, ci scusiamo per il nostro Dio di altri tempi.