sabato 18 luglio 2015

Pace e guerra

~  QUANDO I FIGLI PARTIVANO VOLONTARI 
 E QUANDO SI ACCORSERO D’ESSERE TUTTI
DEVOTI DI EIRENE. ~  «Il ‘900», IV PUNTATA ~

 Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo scorso. Le puntate precedenti qui qui e qui.

Quando ancora sopravviveva una qualche forma di solidarietà religiosa, sia pure nella versione più laica, i genitori assistettero con angoscia e con fede alla partenza dei loro figli per la guerra, e questi trovarono ragionevole partecipare al conflitto del mondo come volontari, rischiando con buona probabilità di incrociare la morte.

PACIFISMI - Francia 1936. «Non ci riusciva facile valutare il peso di quelle voci che si inebriavano per la settimana lavorativa di quaranta ore e ignoravano che in Germania si lavorava intorno alle sessanta ore. E neppure l’influenza di quei sognatori che non si facevano scoraggiare nel loro antimilitarismo e continuavano a pretendere che la linea Maginot fosse smantellata: il riarmo a tappe forzate della Germania nazista non li toccava affatto. C’era da disperarsi». Willy Brandt scriveva così nelle sue Memorie. Chi scriverà dei ‘cortei per la pace’ che volevano smantellare la linea Maginot dei missili puntati sull’Urss? Chi racconterà delle epiche battaglie italiane contro il tycoon televisivo, fino alla vittoria totale, mentre si proclamava la trattativa estrema se non la capitolazione verso gli Stati più violenti del pianeta? Realisti, senza emozioni, senza lanciare proclami, solo di fronte all’esercito serbo che massacra intorno e dentro il Grande Lager di Sarajevo, appena sull’altra riva della Romagna in festa.

Anche i bambini capiscono dai libri di storia della scuola primaria come la bilancia della pace e della guerra, della trattativa e dell’oltranzismo, oscilli a seconda delle circostanze politiche. Gli americani dovevano combattere fino alla resa totale di Germania e Italia, guai a chi avesse parlato di trattative, di morti da evitare, di bombardamenti da sospendere, perfino la bomba atomica era accettata pur di distruggere il terzo alleato del Patto d’Acciaio. Dopo di che l’atomica diventava il simbolo della distruzione della madre terra e quindi scendeva su di essa il tabù, nessun essere umano poteva pensare di ricorrere a un’arma simile. Naturalmente scervellato e criminale doveva apparire chi pensava di prendere le armi per rispondere alle striscianti occupazioni russe e cinesi, e addirittura come un mostro politico era raffigurato Israele che non accettava, per amore della pace,  la capitolazione e lo scioglimento dello Stato (senza sottilizzare sulla sorte di quei milioni di ebrei in Medio Oriente, una volta consegnate le armi agli arabi).

BONTÀ - Si cade spesso in baratri demoniaci per le tentazioni della Bellezza e della Bontà. I misfatti del XX ebbero i loro aedi e filosofi e volgari giustificatori tra gli uomini incantati da queste due divinità. Talvolta si ebbero contraddittori atteggiamenti: si restò affascinati dalla bellezza della faccia cattiva per troppa bontà, come ammetteva il povero B.B. Nulla, infatti, era proporzionato  alle infinite ingiustizie del passato e qualsiasi violenza nuova non riusciva mai a riequilibrare la bilancia della Storia né a strappare le brutture del mondo, le storture che lo rendono asimmetrico e disarmonico.

BENE COMUNE -  «… gli antichi, una volta che un’entità ideale avesse trovato una determinata raffigurazione materiale, la rispettavano scrupolosamente. […] Il motivo è evidente: senza questa uniformità non è possibile una interpretazione concorde» (Gotthold Ephraim Lessing, Come gli antichi raffiguravano la morte, 1769).

LA DISFATTA - Quando l’impero sovietico precipitò, i suoi feudatari occidentali furono inchiodati ad alcune meditazioni: chi aveva lottato per la «distensione» non si era forse ingannato sulla natura di questa potenza, tigre di carta che, come volevano i falchi, bastava stringere all’angolo per portarla a una rapida resa? Non si sarebbe meglio contribuito, così facendo, alla pace mondiale e alla libertà dei popoli che gli erano sottomessi? Come al tempo del Patto di Monaco, non furono proprio quelli del partito della moderazione con i prepotenti a favorire le peggiori conseguenze belliche? Non sono domande facili come sembrano.

SUSSULTO - È in corso una resipiscenza a proposito della violenza. Dopo avere invocato per un ventennio il dio Marte nelle città d’Europa, dopo essersi ispirati alle rivolte sanguinarie sudamericane, fantasticato di assedi contadini alla metropoli industriale, benedetto perfino le sparatorie di quartiere, adesso è tutta una celebrazione dell’irenismo. Nuove formazioni militanti scalano palazzi rinascimentali, sabotano i party nelle ambasciate francesi, dichiarano guerra al governo di Parigi. Qual è il pericolo che squassa la terra e minaccia l’umanità? Pesci tropicali e acque marine trasparenti corrono dei rischi in un angolo del Pacifico per colpa del presidente francese, faccia da bon vivant, che vuole saggiare le armi nucleari dell’invecchiatissimo suo arsenale. Potrebbero questi intrepidi combattenti in favore dei Tropici giurare sulla loro coscienza che con il bazar atomico istallato nell’ex impero sovietico, parzialmente in mano ad anonimi avventurieri privati,  non risultino utili nei prossimi anni questi esperimenti finalizzati alle armi di dissuasione? Chi può escludere ricatti atroci che non si respingono con il dialogo e le buone intenzioni? Ma il solo pensiero di antichi esperimenti con l’atomo su isole felici fa correre un brivido tra i frequentatori dei salotti planetari che custodiscono l’«ambiente». E la gioventù più avventurosa dell’Occidente si incarica di giocare alla guerra con la Francia gaudente. Ci si potrebbe accontentare di un decimo di questo sdegno per impiegarlo utilmente a favore degli assediati di Sarajevo. Ma là c’è una guerra vera, il gioco non vale, la realtà supera la virtualità. Per le anime belle meglio la guerra ai vini francesi. Come nell’operetta, senza morti né feriti. Guerricciole disarmate.

PACIFISMI/2 - Avere urlato alla minaccia totalitaria, con tanto di dittatura alle porte, soltanto perché nella Penisola al posto di vecchi maneggioni arrestati sopraggiungevano al potere giovani senza esperienza di governo ma con voglia, fino ad ora frustrata, di metter le mani sul tesoro; avere evocato le tecniche goebbelsiane per la campagna elettorale del re delle televisioni in versione politica, proprio mentre un inferno a cielo aperto ricorda con dettagli assai precisi e terrifici i Lager degli anni Quaranta, potrebbe apparire ai posteri (che forse però saranno – chissà? –  più cinici dei nostri contemporanei) anche un crimine. Sventurati bosniaci, sventurati per essere europei ma non cristiani, musulmani ma non arabi, privi del clamore del Vietnam dal momento che non sono in scena gli americani, privi di una buona causa, privi dell’esotismo della lontananza. Nessuna potenza appoggia dei miserabili in stato d’assedio, i giovanottoni delle truppe Onu li consegnano direttamente ai loro nemici. Guerre pacifiste.
    
NATI IERI - C’erano in Italia dei marchi politici assai antiquati: «comunisti», «fascisti», «mazziniani», «cattolici democratici»… Un po’ Risorgimento e un po’ primo Novecento. Hanno fatto un restyling, le bandiere sono cambiate tutte, i colori sono stati corretti, ma il personale è rimasto lo stesso, o quasi.

Tagliati i ponti con ogni tradizione, ci si presenta come orfanelli vezzosi ma l’unica cosa che ancora ci accomuna in tanto spaesamento è lo scontro fratricida come Leitmotiv nazionale.

ASSOLUTISMI   Stato assoluto, umanesimo ‘integrale’, religione senza Dio.

ANTI - Che fuori dalla guerra ci si organizzi politicamente intorno a qualsiasi parola che contenga  un prefisso anti è cosa sommamente ridicola. Ma nel nostro linguaggio c’era un aggettivo che riportava all’ordine quel prefisso. A chi infatti pretendeva criticare radicalmente il sistema russo si apponeva l’aggettivo «viscerale» in modo da non esagerare. Si raccomandava insomma il realismo politico, quel po’ di diplomazia che avrebbe evitato il cattivo gusto della battaglia militante, una volta tanto considerata come fanatismo sgraziato. Anche gli storici dovevano valutare i tiranni bolscevichi con il massimo di freddezza, senza coloriture morali ma, se lo stesso metodo fosse stato applicato alla Germania della Seconda guerra mondiale, ecco spuntare per loro l’accusa senza remissione di «revisionismo». In ogni caso non c’era mai solidarietà piena con le vittime dell’esperimento marxista perché esse erano una pietra di inciampo nella costruzione radiosa della umanità.

I FLAGELLI - Dopo l’esplosione della patria internazionalista si è aperto il vaso di Pandora dei nuovi mali. Non si tratta della punizione per avere osato distruggere il paradiso in terra, casomai è la conferma terribile che i paradisi in terra esplodono e i frantumi incandescenti ricadono sul mondo sgomento.

CIRCOLO VIZIOSO - «In Europa per loro la partita è persa. Almeno per cinquant’anni non ci saranno più». E anche: «Se il pericolo li deprime, al minimo successo non temono più di nulla. È la più completa leggerezza e mobilità». Si diceva così dei liberali dell’Ottocento. Oggi lo si può ripetere per chi credette nella liberazione ex Oriente.

LA VOCE DI VICHY - La sottolineatura krausiana dell’indifferenza dei giornali nel «lanciare una guerra o un’operetta» mette in luce con i moderni evidenziatori traslucidi i titoli delle gazzette contemporanee. Gli assediati di Sarajevo sono bilanciati dalle file ai caselli e dai primi temporali che rompono l’estate. Ricordano desolanti fogli di Vichy che informavano pedantemente su viaggi forzati in Germania, battaglie della guerra mondiali, malinconiche conferenze del professor X sul platonismo provenzale, applauditi concerti di mademoiselle Y alla sala comunale, incidenti di ciclisti sulla strada provinciale, tutto uguale come all’Inferno.   

COLPE - L’Illuminismo rende naturale la morte fino ad allora causata da colpe, magie malriuscite, malefizi. Nello stesso tempo rende la società colpevole di magie e malefizi. Sennonché nessuna colpa ‘laica’ può assurgere all’importanza di quella che causa la morte. Ragion per cui la spiegazione religiosa della morte torna a sedurre…

TOLLERANZE - La tolleranza islamica, la fama che si è conquistata, non deriva forse dal fatto che Maometto prescrisse di non convertire in ogni caso l’infedele bensì di limitarsi talvolta a sottometterlo? Non convertire, non agire sulla sua coscienza definitivamente reietta ma sottoposta a pressioni fiscali in modo di pagare il fio della sua natura di sottouomo, non degno di evangelizzazione, di attenzione… 

SADISMI - In quale altra parte del mondo sviluppato – oltre all’Urss al suo tramonto – si patì un anno di totale isolamento e altri dieci di lavoro forzato per avere richiesto un passaporto per Israele? Perché allora di fronte a crudeltà di porno scrittorelli, e per di più verso ebrei che già ne avevano passate tante, in Occidente si fu così tiepidi? Perché i più sensibili alle sventure umane non apposero il loro nome e cognome sotto un appello vibrante in appoggio di chi chiedeva nient’altro che un documento di identità per andarsene?  Perché nessuna scuola fu occupata in favore della libertà di migrare? Come mai neppure i claustrofobici ritennero di solidarizzare con chi era incarcerato duramente per aver voluto scappare via da una cella eterna? Neppure i facinorosi Robin Hood delle periferie scesero in piazza, organizzarono un concerto o tracciarono una scritta sui muri già tanto martoriati delle nostre città.

DEFINIZIONI - Quando Willy Brandt, borgomastro della Berlino eroica prima che tessitore della Ostpolitik, chiese ai suoi alleati un aiuto contro i Vopos che alzavano un muro per dividere in due la capitale tedesca era forse un bieco oltranzista? Un alleato della reazione mondiale? Un guerrafondaio che scherzava con il fuoco? Un servo del capitalismo perché non si piegò al filo spinato? Questioni bizantine di terminologia. E bastò al gruppo di dissidenti italiani, poi espulsi dal partito, la riserva mentale per cui quello sovietico non era il comunismo autentico a salvarli dalle cattive compagnie pur avendo fatto denunce impeccabili dei mali dell’Est? 

Ci fu una critica di Mosca che salvava Pechino, una scelta spregiudicata tra due tirannie. Così alcuni preferirono i cinesi perché più estremisti nella teoria (e nei numeri assoluti degli sterminati). E capitò che futuri irenisti approvassero e teorizzassero a loro volta l’eventualità di una Terza guerra mondiale, promossa dai marxisti asiatici, che avrebbe travolto insieme i vincitori della Seconda, americani e russi.

IL PASSATO - Quando il  Mondo dei Morti parla e dà ordini ai vivi, quando impone le sue regole sui viventi, si può parlare di una forma di tradizione? E il Vangelo che insegna a «lasciare che i morti seppelliscano i morti» si ribella a questa tradizione? Eppure l’ordine nuovo che si contrappone al passato e alle richieste dei trapassati si presenta come un tradimento, produce terribili angosce. Ed ecco che ogni sopravvissuto, testimoniando sul passato, raccontandolo sia pure per frammenti, mitiga la violenza della novità con l’affettuoso rispetto per gli avi scomparsi.

IL PIACERE DI CONDANNARE - Elias Canetti tocca un nervo scoperto della cultura: «Il piacere di esprimere una sentenza negativa è sempre inconfondibile […]. Ci si eleva svilendo gli altri. […] In ogni caso egli si annovera tra i buoni». Non riguarda soltanto l’atroce mestiere del giudice, qui cominciano le disavventure del cosiddetto «pensiero critico», le sue facili degenerazioni.

ANCIEN RÉGIME - Gli atei? Sostenitori della sovranità assoluta della Morte.

PICCHI - Talvolta viene da fantasticare su un maturo conservatore bismarckiano che a un certo punto si imbatte, sul finire dell’Ottocento, nelle teorie di Nietzsche, negli scritti pubblicati a proprie spese del professore di Basilea: wagnerismo filosofico, eccitata presunzione giovanile di essere a un passaggio d’epoca, forse una vena di follia ereditaria – avrà borbottato. Senza ricorrere all’esuberanza indiana dell’eterno ritorno, la circolarità del balletto umano era garantita ai suoi occhi dalla tradizione familiare, dai prosaici rogiti che attestavano possedimenti stabili nelle variazioni bizzose del tempo, dalle storie degli antenati che ripetevano a distanza di secoli gli stessi peccati di debolezza amorosa o di crudeltà, con analogie così precise da fare irridere ogni ripartizione definitiva d’epoca, e da schiudere continue vie di fuga à rebours. Si sapeva che soltanto le vecchie dame civettuole e gli altalenanti giovinetti si consolavano con l’unicità del tempo dei loro vent’anni (per quanto protratti), la saggezza dell’età di mezzo consigliava un po’ di scetticismo a proposito dello sfondo storico cui è dato di vivere. Non avrebbe sospettato, il nostro gentiluomo, che il pensiero conservatore, di lì a poco, sarebbe stato irretito dagli squilli rivoluzionari, dagli annunci di un’èra completamente nuova, senza più metafisica, con forti dubbi anche sulla dimensione umana. L’Apostolo di Zarathustra credeva  di essere sul picco dei secoli, diventò poeta di quella escursione storica. I suoi esegeti presero alla lettera le parole oracolari: fatti rapidi conti, stabilirono di essere giunti al meridiano zero. E la prima parte del Novecento si trovò dinanzi a una filosofia che si voleva più radicale di ogni rivoluzione, compresa quella di Mosca che prometteva un totale rovesciamento della storia. Orda orientale e pensiero germanico per lavorare ai fianchi l’attempata società borghese. Così, nella gara al maggiore estremismo giocata dalle avanguardie sopraggiunsero i tanks filosofici tedeschi e azzerarono tutto. Con gli occhiali nietzscheani  si poteva scorgere nichilismo dappertutto. Nel paesaggio eroico, militarizzato, degli anni Trenta, e in quello colmo di macerie del dopoguerra, nel deserto del più scientifico sterminio di umani o nel malinconico scenario dell’affondamento degli imperi, con i bagliori nucleari ancora minacciosi, le previsioni dei devoti di Zarathustra sembravano avverarsi. Stato mondiale – auspicato o temuto, non importa –, «guerre cosmopolite», fine del mondo millenario. Poi rispuntarono le questioni nazionali, anche nei cortili nostrani del Tirolo, riapparve perfino l’egemonia tedesca, e il conservatore misteriosamente sopravvissuto avrà sorriso sotto i suoi baffoni dell’altro secolo. Insomma, terminati i fracassi della guerra mondiale della cultura, della mobilitazione generale dei cosiddetti intellettuali, ci si accorse che la borghesia, per quanto esteticamente malconcia, resisteva. I superuomini profetizzati si trovano soltanto tra gli eroi dello sport, protesi a imporre nuovi record sempre più distanti dalla natura umana. Ma si tratta di esseri cresciuti all’ombra della tecnologia, meglio: di prodotti tecnologici per la gioia dello spettatore televisivo accovacciato sul sofà.

Non accadde forse lo stesso per le tinte criminali dei testi surrealisti, con tanti eroi negativi onde rendere ancora appetibile una letteratura illanguidita? Polemizzerà in seguito con i suoi ex confratelli Roger Caillois: «Predatori di cadaveri col pubblico consenso, pretendete di passare anche per eroi e di fare del vostro cinismo una virtù supplementare della vostra arte». Per forza di cose il pensiero anglosassone si offriva come una tisana onde smorzare tanta enfasi apocalittica. «Niente» divenne intanto un intercalare ossessivo del gergo adolescenziale, punto di appoggio per sostenere un discorso balbettante, confuso dalla timidezza, una parola non da poco per minimizzare.      
(4.- continua)