martedì 20 luglio 2010

I tagliatori di feste


~ NESSUNA PROTESTA PER QUEL CHE ACCADE
ALLA BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE DI ROMA ~

Altro che tagli alla cultura, come piace recitare, a mo’ di giaculatoria, ai perdigiorno di una certa parte politica, qui si tratta di ferite profonde, di sbudellamenti vigliacchi, di attentati che colpiscono i bibliofili (nel senso etimologico, gli amanti dei libri). Si è dunque realizzata la distopia ingenuotta di Fahrenheit 451? È il potere oscuro che cerca di soffocare il pensiero libero? La televisione che duella con il suo avversario? No, altro che fantascienza, piuttosto l’eterno film in costume italico: i sindacati che mettono al primo posto i comodi dei propri affiliati, la mancanza di senso organizzativo in molti dirigenti statali, la strafottenza delle pubbliche istituzioni rispetto a quella che in burocratese si chiama utenza. Tutto questo insieme di cause sta uccidendo la Biblioteca nazionale centrale di Roma. Da anni, esattamente da quando con l’abolizione del servizio militare obbligatorio sono scomparsi i volenterosi ‘obiettori di coscienza’ che collaboravano a riempire i buchi lasciati dalla pletora di impiegati, la maggiore biblioteca italiana (più o meno alla pari con quella di Firenze), interrompe la distribuzione di libri alle due del pomeriggio (v. a questo proposito «Notturno veneziano», pubblicato da «Almanacco romano» il 15 giugno 2010). Ma in questi giorni succede di peggio: a chi si precipita dopo mezzogiorno per ordinare in fretta e furia qualche titolo da consultare nel pomeriggio, càpita di essere bloccato sull’ingresso, il custode accaldato risparmia il fiato e si limita a indicare un cartello. Nell’avviso è scritto che durante il periodo estivo, praticamente per una intera stagione dell’anno, la somma biblioteca chiude i battenti al termine della mattinata. Poi, nel mese di agosto, si arriverà allo sbarramento completo. Nessuno grida allo scandalo, nessuno medita sul fatto che il più imponente patrimonio librario italiano è sottratto al suo pubblico per tanti giorni all’anno. Nessuno si commuove ricordando come, fino a qualche tempo fa, l’estate fosse il periodo ideale per gli insegnanti d’ogni dove e soprattutto del Sud che approfittavano delle vacanze scolastiche per fare le loro ricerche erudite alla Nazionale di Roma e buttar giù magari un libretto sulla cattedrale del paese o su una questione storica minore. Ma non solo gli insegnanti, tutti i ricercatori per diletto avevano diritto di attingere a questo immenso deposito che faceva leccare i baffi a ogni studioso: 7.000.000 di volumi a stampa, 2000 incunaboli, 25.000 cinquecentine, 8.000 manoscritti, 10.000 stampe e disegni, 20.000 carte geografiche, 1.342.154 opuscoli. L’estate romana, prima che una fiera rumorosa, era un sogno da umanisti: starsene alla Nazionale con l’aria condizionata a leggere per piacere libri inattuali. Adesso non più, adesso non si studia e neppure si protesta per il furto che ci hanno fatto.

Come mai coloro che si riempiono la bocca con la parola cultura qui non manifestano la loro rabbia tanto schiumante per i ‘tagli’ governativi? Semplicemente perché la cultura che piace loro è quella delle feste, dei frizzi e dei lazzi, dei concertini e dei balli, del contemporaneo e dell’estemporaneo, dei cocktail e banchetti a spese del pubblico, degli eventi esclusivi cui partecipare su e giù per la penisola alla faccia dei poveri di spirito che debbono pagare, senza consumare, i godimenti di élites autoproclamatesi tali. Che gliene importa a questi gaudenti coatti dei libri estranei all’attualità? Come è démodée la carta polverosa!

Quando governava il centro-sinistra, il professor Luciano Canfora, un sapiente d’altri tempi, un maestro della cultura classica, un saggista battagliero e caustico, un comunista severo, redarguì dalla prima pagina del «Corriere della Sera» la maestrina della cultura di allora, una ministra tutta canzonette e calciatori, spiegandole l’importanza delle biblioteche pubbliche e della Nazionale in particolare, esortandola a intervenire in gran fretta per risolvere una delle periodiche crisi di questa gran casa dei libri. La solenne strigliata sortì il suo effetto. Adesso, invece, l’assessore alla cultura del Comune di Roma, un ex fascio che ha scoperto la dolce vita dei modaioli, parte all’assalto dei tagliatori di feste, i biechi governativi: basta con i tagli, urla con tutti i radical poco chic, ridateci i soldi per il Maxxi, per il Macro, per tutte le nostre sigle vezzose, per le adunate intorno ai totem delle installazioni. I restauri del Colosseo, la Domus Aurea che cade a pezzi, la Nazionale ormai a porte chiuse non sembrano suscitare il suo interesse. No Contemporary, no Party è il motto della allegra combriccola.