giovedì 5 novembre 2009

minima / Immagini vietate

Più iconoclasti di così: i giudici europei proibiscono l’esposizione dell’immagine della croce. Avevamo commentato a caldo la sentenza con una battuta sull’Europa che vuole perdere e perdersi nello sciocchezzaio corretto rifiutando la promessa della Provvidenza a Costantino Magno. Ma vista la serietà della questione, la stoltizia cioè di molti europei oggi, che si sentono più liberi senza la «spes unica» della croce celebrata in un anonimo inno latino e invocata nei Lager con le medesime parole da Edith Stein, vogliamo tirar fuori dall’archivio dell’«Almanacco» alcuni titoli. Non certo per citarci quanto per riportare le citazioni nascoste in quegli scritti.

A cominciare da quella di Heinrich Heine, quasi una impressionante profezia: «In un certo modo il cristianesimo – e questo è il suo merito più alto – ha calmato la furia bellicosa di germani, senza peraltro eliminarla del tutto, e se un giorno si spezzasse la croce, il talismano che placa le passioni, si scatenerebbe di nuovo la violenza selvaggia degli antichi guerrieri, l’irrazionale brama di distruggere cantata dai poeti nordici». Il poeta d’origine ebraica, il bardo delle rivoluzioni, l’amico di Marx aveva intuito che il giorno in cui la croce fosse stata tolta di mezzo e sostituita dalla parodistica forma uncinata, l’Europa sarebbe stata travolta da una forza distruttiva mai vista: «usciranno dalle loro rovine le antiche divinità di pietra, si toglieranno dagli occhi la polvere millenaria, e Thor, con la sua mazza enorme si ergerà pronto a distruggere le cattedrali gotiche…». Per leggere il testo nella sua integrità, una pagina che commosse i cattolici tedeschi che combattevano il nazismo, si vada al titolo Letture / Il tuono tedesco del 27 settembre 2008, nella colonnina qui a fianco, e vi si clicchi sopra.

Per riflettere su questa iconoclastia aggressiva si veda: minima / Il giudice che teme la croce del 24 novembre 2008; minima / Se l’Occidente cancellasse la croce del 26 novembre 2008.

Infine, nessuno ricorda che l’arte italiana nasce con un crocefisso, quello di Cenni di Pepi, il Cimabue, di cui Giorgio Vasari dice che ruppe per primo con la «scabrosa goffa e ordinaria maniera greca», cioè bizantina. Sicuramente gli autori della sentenza iconoclasta non ne sapevano niente, né potevano capire che proprio partendo dal Cristo che muore, l’immagine umana di Dio, la nostra arte figurativa riuscì a spingersi così in alto. Devono però avere intuito che per colpire al cuore la civiltà occidentale bisogna cominciare dalla croce.