sabato 30 aprile 2011

Il creato è bello

~ SULLA SCIA DEL BEATO KAROL MAGNO,
IL «NON ABBIATE PAURA»
DI JEAN CLAIR,
RIVOLTO AI CATTOLICI
CHE SI LASCIANO
CONFONDERE DAL CONTEMPORANEO ~

Che piacere avere l’avallo di Jean Clair su un aspetto almeno di una faccenda complicata come quella dell’arte sacra oggi. Scriveva questo «Almanacco» in occasione della mostra Tracce del sacro (che suscitava stolti entusiasmi nel mondo cattolico): «… Nell’ubriachezza del mondo predicata da tutta la gnosi, l’uomo è dispensato da ogni sforzo morale e l’unica azione valida per lui resta il rifiuto del mondo, della sua bellezza sensuale, un rifiuto così radicale da non escludere l’immoralità libertina, senza piacere: il vizio in sé dei carpocraziani, per esempio. O gli estremismi dell’encratismo che negano la famiglia, il vino, i godimenti materiali, il futuro del mondo. Sulle tracce dello gnosticismo sarebbe stato il titolo veridico per la mostra parigina» [http://almanaccoromano.blogspot.com/search/label/Mostre%2FTraces%20du%20sacr%C3%A9]. Oggi Jean Clair a proposito di quell’evento parigino del 2008 parla di «una mostra, confusa come approccio intellettuale, ma soprattutto perversa come approccio morale, che è stata chiamata Tracce del sacro. Il sacro che vi si celebrava era in realtà più vicino a Carpocrate che a Sant’Agostino». La concordia di giudizio discende semplicemente da una distinzione che i teologi hanno scordato e che alcuni storici dell’arte provano a ricordare, ossia che il cattolicesimo è «una religione del visibile». Clair lo ha proclamato davanti a un particolare uditorio, nel cosiddetto Cortile dei Gentili di Parigi, dove il cardinal Ravasi ha invitato eccentrici intellettuali francesi a parlare del loro rapporto con il sacro. Si è corso di nuovo il rischio dunque di finire nei ghiacci dello gnosticismo moderno, magari addirittura nella volgare versione del New Age, ed è in quel contesto mondano e modaiolo che il vecchio Clair ha riportato tutti con i piedi per terra. La sua lezione si intitolava «Culto dell’avanguardia e cultura di morte» e adesso viene ripresa con il dovuto risalto sul numero 642 della rivista online «Il Covile».

Dire ‘rivista online’ evoca la trasandatezza formale dei materiali in rete, mentre «Il Covile» è un esempio di eleganza ormai introvabile perfino nei più nobili periodici cartacei. Covo e ospizio di quanti sono irritati dalla cultura imperante, inalbera la citazione di Nicolás Gómez Dávila: «Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo» (ricorrere alla stampante e metterne su carta un’annata è un dono raccomandabile per se stessi e per gli amici). Il discorso di Jean Clair viene pubblicato per la cura di Gabriella Rouf, una paladina che si batte contro i piccoli mostri del Contemporaneo, e che ha arricchito il testo di schede e note.

Insiste Jean Clair: il cattolicesimo è religione della rappresentazione e i suoi nemici sono allora coloro che diffondono «un odio della bellezza, un gusto per l’informe, per la lordura, per la sostanza corrotta e che cola, l’attrazione per la sofferenza fisica…». Alcuni di questi nemici non si limitano a sostare nel Cortile dei Gentili, sono penetrati nel Tempio, disorientano i celebranti che dimenticano come «un tempo il culto tradizionale» ostacolasse con la sua liturgia proprio questo genere di minacce; la magnificenza del rito ‘tridentino’ e bizantino, avvolto nelle innumerevoli incensazioni, provava a riflettere la Bellezza celeste e ad allontanare quindi le brutture del mondo.

«Non abbiate paura», la parola d’ordine di Karol Magno, che oggi l’umanità venera riconoscente, vale anche nel mondo pavido della cultura. Non lasciatevi ricattare dagli intellettuali e dalle mode, dalle chiacchiere sofisticate quanto anti-evangeliche. Da quasi due secoli, la Chiesa sembrava rincorrere gli idolatri della modernità, dimenticando anzitutto che tale modernità era stata inventata dal cristianesimo e trovava il suo senso nell’incarnazione di Dio nella storia. Da tempo soggiaceva alle peggiori superstizioni estetiche, sociologiche, politiche, scientiste, quando sopraggiunse un atleta polacco, un «violento di Dio» (espressione paolina), una figura potente e luminosa – secondo quanto preconizzato dal poeta Adam Mickiewicz – che avanzando sul sagrato di San Pietro e brandendo una croce come fosse una spada rincuorava i cattolici succubi del protestantesimo, del marxismo, della psicoanalisi… «Non abbiate paura», esortava, «spalancate le porte alla salvatrice potestà di Cristo…». Che parole d’altri tempi si saranno detti i timidi curiali, i devoti del dialogo che nascondevano il nome del Salvatore, che si imbarazzavano a parlare di religione salvifica; non ne coglievano il soffio messianico nonostante le estenuanti disquisizioni sul profetismo di cui avevano riempito il Concilio, non si accorgevano che la Chiesa di Roma tornava a essere protagonista nelle vicende della storia. Il terribile comunismo, il sistema che in pochi ritenevano si potesse mettere in discussione, si sciolse come neve al sole, ma in questa vigilia della giubilante beatificazione, nel palazzo berniniano-borrominiano di Propaganda Fide, si pensa di glorificare il papa santo con una «installazione», segno che l’umana stupidità è più resistente della ferocia. Che meditino attentamente le parole di Jean Clair i cardinali ancora intimoriti dalle avanguardie e dalle post-avanguardie, abbagliati dal neon dell’insensatezza, riverenti verso pratiche che Sedlmayr avrebbe definito senza mezzi termini sataniche. Adesso è lo storico dell’arte francese a fare da esorcista: «La religione cattolica è invincibilmente religione del visibile, della carne e del corpo, ed è necessariamente una religione della bellezza del visibile. Essa richiede l’immagine, al contrario di altre fedi che rifiutano l’immagine, o piuttosto che l’accettano solo in forme mostruose. Non si trova nulla in essa di quegli spettri e di quei demoni, di quelle maschere spaventose, di quelle gorgone, di quelle creature giganti e orrende che così spesso sono le divinità di altre religioni». Gli iconoclasti da sacrestia capiranno la posta in gioco?

«Non abbiate paura», non vi lasciate deprimere dal nichilismo, dai vortici della moda: negli anni Trenta sembrava tramontata la forma-romanzo, nessuno osava più narrare; oggi il racconto – la fabula – è tornato a imporsi nella letteratura, sono le arti belle a soffrire una eclissi, una piccola iconoclastia devasta la rappresentazione, non per questo bisogna piegarsi alle imposizioni delle «tendenze», si tratta di trovate sciocche, di tecniche per far soldi o per conquistare una fama facile. Roma, la religione romana non cederà nonostante tutto. «La religione cattolica – spiega Jean Clair – mi è apparsa per molto tempo come la più rispettosa dei sensi, la più attenta alle forme e ai profumi del mondo. È in essa che si incontra anche la più profonda e la più avvincente e sorprendente tenerezza».

venerdì 22 aprile 2011

La Pasqua del ladro

~ COME UN MALFATTORE RIUSCÌ
A ENTRARE PER PRIMO IN PARADISO ~


Lo racconta il Vangelo di Marco (23, 39-43), i Padri della Chiesa vi aggiunsero un po’ di fine umorismo: il brigante che fu crocifisso accanto a Gesù, colui che era esperto nel violare le serrature, nell’aprire le porte, riuscì a varcare le soglie del Paradiso prima dei santi e dei profeti; la sua arte ladronesca fu volta a conquistare una ricchezza senza pari. Inoltre il passaggio pasquale si risolse rapidamente: con una battuta all’ultimo minuto, una proclamazione di fede nel compagno di pena, Disma – come lo nomina un Vangelo apocrifo – si liberò di una vita di delitti e ottenne il Cielo. La liturgia bizantina sottolinea nel triduo pasquale il brigante che supera i giusti. Il Principe del Male aveva causato la chiusura delle porte del Paradiso, un povero ladro condannato a morte le fa riaprire, canta un inno orientale. Nella Passio letta nella Domenica delle palme si ricordava la viltà del primo papa, Pietro, peccatore manifesto. Che singolare religione della clemenza il cristianesimo, basata su quella che proprio la Chiesa orientale chiama la «tenerezza di Dio» e sulla comprensione della natura umana. Se lo ricordino gli accigliati moralisti, gli inquisitori d’ogni risma che si vedono sottrarre gli inquisiti dal Cristo risorto.

Non a caso il santo Ladrone è protettore dei prigionieri come dei moribondi, dei sofferenti supremi su questa terra. Oggi il Venerdì santo permette di gridare il dolore che il mondo classico nascondeva o costringeva nella bella forma. «La tragedia greca non conosceva immagini e metafore del dolore così fisiche, così viscerali», diceva Sergej Averincev. E spiegava: «nel petto dell’uomo il cuore si cela e si riversa nel ventre, le sue ossa si scuotono, e la carne si attacca alle ossa. Questa è la concretissima corporeità dei dolori del parto e dei dolori della morte, corporeità che ha il sapore del sangue, del sudore, delle lacrime, corporeità della carne umiliata; ricordiamo la ‘nudità della vergogna’ dei prigionieri e dei futuri schiavi, della quale parla Michea. In generale la percezione dell’uomo espressa nella Bibbia non è meno corporale di quella antica, con la sola differenza che in essa il corpo non è il portamento ma il dolore, non il gesto ma il tremore, non la volumetrica plastica dei muscoli ma gli oltraggiati ‘recessi del cuore’; tale corpo non è contemplato dall’esterno bensì percepito dall’interno, e la sua immagine è composta non dalle impressioni degli occhi ma dalle vibrazioni delle ‘viscere’ umane. È l’immagine di un corpo sofferente, di un corpo straziato nel quale, tuttavia, vive il calore ‘carnale’, ‘viscerale’ ‘cordiale’ dell’intimità…» (L’anima e lo specchio. L’universo della poetica bizantina, p.101).

Buona Pasqua, secondo le parole dell’innografo bizantino: «che la chiave del buon Ladrone ci apra le porte del Paradiso».

giovedì 21 aprile 2011

La prima contemplazione

~ EMILIO CECCHI CELEBRA
LE IMMAGINI VELATE
DELLA SETTIMANA SANTA ~

In un appunto dei Taccuini di Emilio Cecchi leggiamo: «I ragazzi, la gente comune, non si sostengono nella preghiera. Ma guardano. E il lungo guardare produce una penetrazione delle cose più profonda» di quella intellettuale. «È questa la base delle scuole artistiche come erano praticate nel vecchio tempo […]. Mescolarsi quasi fisicamente alle cose dell’arte, assumerne un possesso sensibile». Di questa straordinaria pedagogia, l’arte sacra era il modello sommo. E le immagini velate nella Settimana santa facevano risaltare al massimo questa scuola dei sensi. In un articolo sul «Corriere della Sera» del 5 maggio 1935, intitolato «Piaceri della pittura», Cecchi torna su questo tema, rievocando la chiesa della sua infanzia.

«Senza ombra di esagerazione letteraria, posso dire che molte fra le più belle opere artisticamente dipinte o scolpite da quelli della mia terra [la Toscana], la prima volta m’apparvero come trionfali figure o processioni che camminassero su pavimenti o scalinate di nuvole d’incenso. […] Imbacuccati negli immensi mantelli d’oro, i preti cantavano davanti all’altare passandosi il turibolo. Le risposte dell’organo ai loro canti scoppiavano come ruggiti dentro la foresta di pietra. Nelle chiese la nera moltitudine odorava di freddo, di pioggia e di privazioni. Ma dagli affreschi e dalle tavole scintillanti, le Madonne, gli Angioli, i Martiri cercavano di farci coraggio, a noialtri laggiù in fondo inginocchiati». Beati quei poveri, beati quei bambini, confortati da affreschi e statue, andarono alla scuola della sensibilità, provarono il piacere della pittura, appunto; e doppiamente disgraziati i poveri d’oggi che devono pregare nella desolazione delle chiese contemporanee.

«… le maestose cerimonie della Settimana Santa. I tragici diverbi, le invettive, i clamori della Passione. Il giardino del Sepolcro, con le grandi siepi di camelie e le aiuole di vecce pallide, la veste nivea e la veste vermiglia, e il gallo a zampa ritta, in cima alla colonna nell’atto di cantare. I mortori che all’ora di notte entravano d’un passo strisciante, furtivo; l’odore catastrofico delle torce; i bianchi incappucciati che tristemente ci guardavano dai buchi della buffa, e la gente abbrunata dagli occhi rossi che si soffiava il naso dietro alla bara».

«Alzate sugli altari, istoriate sulle pareti, le immagini assistevano come da una sfera tranquilla e suprema all’avvicendarsi di tanti aspetti, gaudiosi, dolenti, terribili, del culto e della liturgia. Ora le indorava il raggiare dei ceri, nel respiro esaltato dei gigli e delle rose. Ora sopra all’altare spoglio, restavano solitarie e quasi neglette, come se tuttavia riempissero e signoreggiassero con la loro presenza la vastità della chiesa; anche quando, avanti Pasqua, goffamente fasciate di sacco, parevano fantasmi. […] Si pigliava contatto con qualcosa d’arcano, che a un tempo poteva chiamarsi divozione, arte, poesia. Proprio come avevano voluto quei nostri antichi, i quali prescrissero che, nelle loro tavole ornate e belle, i pittori ‘manifestassero agli uomini rozzi, che non sanno lettere, le cose miracolose operate per virtù e in virtù della fede’. […]

Nemmeno a’ vecchi tempi la chiesa dovette essere ricca. E s’era accontentata di pennelli mediocri. Quando, dopo tanti anni, ebbi curiosità di rintracciare glia autori delle immagini predilette, trovai sui cataloghi il povero Neri di Bicci, con l’arie afflitte de’ suoi santi dal colorito terreo, e le vermiglie stereotipie degli aloni intrecciati dall’ali dei cherubini. Trovai nomi che l’erudizione ha inventato per nomi che, insomma, non lasciarono neppure un nome. Lo ‘Pseudo-Pier Francesco’, il ‘Maestro della Natività di Castello’: timidi ritardatari, che riecheggiarono di tutto: il gesto d’un fanciullo, da fra Filippo; la piega d’un manto, dal Botticelli; un candelabro, il paesaggio, da qualche altro ancora, arrangiando con grazia da giardinieri, da fioristi. […]

O maestrucci! […] Consolatevi d’esserci andati diritto al cuore, o maestri elementari della pittura, o baloccai della nostra prima contemplazione».

venerdì 15 aprile 2011

Il palindromo golpista

~ PROFESSORI SENZA SAPIENZA ~

Son così fragili gli accademici, con i loro sistemi di ideine sciolte dagli umani in carne ossa e spirito, in guisa di teatro di fantasmi, che basta una smentita dei fatti, un vento di novità che scompagina le loro carte, un contrappasso ironico della Storia perché chiamino in soccorso le autorità, le guardie, la costituzione e, quando tutto ciò è ancora insufficiente a placare le loro confusioni, quando il crudelissimo Zeitgeist infierisce, eccoli invocare con voce stridula la violenza. Di volta in volta, la guerra, la rivoluzione, il golpe, forme storiche diverse della brutalità che s’accompagnano a eterne torture, l’importante è cambiare il mondo che non si sottopone ai loro schemi. La saggezza non abita le università, forse un tempo vi dominava almeno l’erudizione, ma la prudenza, l’equilibrio e soprattutto l’esperienza mancano certamente in questa clausura di teorici; i professori non sorridono del proprio pensiero, estranei all’eleganza di Michel de Montaigne, al suo spirito di moderazione appreso a corte, al suo accento scettico di derivazione italiana.

Appena il giovane dottor Martin Luther fu messo a commentare la Bibbia nelle aule universitarie, non tornandogli i conti tra la dottrina accumulata e quel che leggeva nel libro divino, invece di reagire con umiltà di fronte a un sapere che poteva apparirgli incomprensibile, si indignò con i sapienti di quindici secoli, con l’insegnamento apostolico, con la pazienza dei cristiani e, furioso, invitò alla ribellione. Da allora, la cattedra è diventata una specie di luogo dell’anima che deve sostituire il pulpito ecclesiastico e una specie di luogo del comando che si vorrebbe militare e politico, ma senza forza, senza audacia né coraggio, contando piuttosto sugli studenti costretti ad ascoltare, seduzioni facili di giovani ancora ingenui.

Nel Novecento, un filosofo che pretendeva rovesciare il Logos bimillenario provò a cercare conforto in quello che succedeva nell’agorà, a rendere organiche le sue riflessioni al destino politico, e finì in un ridicolissimo equivoco: celebrò con voce stentorea il potere di una banda di assassini come se fosse un novello Orazio alle prese con il mito di Roma. Adesso i professori hanno poche idee originali – mestiere di massa – e nessuno li prende sul serio, ma son richiesti talvolta per impacchettare i luoghi comuni, laddove non bastano i pubblicitari, la «cultura» essendo un brand che vende bene. Succede in Francia che uno di loro, specializzato in imprese umanitarie, serva per trovare una copertura ideale ai bombardamenti coloniali sulla Libia. Altri qui da noi abbracciano il fascismo putschista in tarda età per far dispetto a chi ha mandato all’aria i loro sogni di gioventù. Ripicche un po’ bambinesche, la patetica storia del Professor Unrat sopraffatto dall’Angelo Azzurro dell’ideologia.