mercoledì 2 giugno 2010

Un'esperienza estetica alla toilette

~ IN COMPAGNIA DI KARL KRAUS ALLE INAUGURAZIONI
DEI MUSEI ROMANI ~

I «pacifisti-linciatori» sono una nuova categoria, appena aggiunti alla corte di Ubu Roi. I demagoghi, invece, sono eterni e chiedono di devolvere ai bisognosi i soldi per la sfilata dell’esercito italiano testé tenutasi ai Fori. Pronti a cancellare con una scusa filantropica lo spettacolo coreutico della disciplina, felici anzi di nascondere il simbolismo guerresco, si guardano bene da avanzare richieste simili per le inaugurazioni a catena di musei costosissimi a Roma. Trattasi in questo secondo caso di cultura – come dice peraltro il bonario ministro ricoperto di sputi – ovvero di un nulla così sacro che guai a bestemmiarlo. Anche perché ha il consenso democratico: le folle che nello scorso fine settimana, tralasciando per una domenica i pellegrinaggi con tutta la famiglia ai centri commerciali, si sono messe in fila davanti agli specialissimi supermercati Maxxi e Macro, facevano una solenne processione del loro Corpus Domini, culto degli inafferrabili oggetti che le dominano misteriosamente. Sembra che al vecchissimo Karl Marx l’idea dell’epifania della merce gli fosse venuta in una visita al londinese Crystal Palace e alle sue esposizioni. Neppure mezzo secolo dopo al vecchio Karl Kraus erano chiare le conseguenze di questi estetismi di massa. Lasciamolo parlare, è il migliore commento ai contemporanei littoriali dell’arte, alla fiera romana.

«Due princìpi tra loro avversi muovono il nostro spirito: il senso del pittoresco e il piacere del necessario. Io vorrei scommettere cento contro uno che l’uomo che, per così dire, vegeta, e cioè il filisteo, dà la preferenza al pittoresco, mentre il poeta si accontenta del necessario. Il poeta difatti ha bisogno di avere via libera nella vita esterna per poter arrivare a quei miracoli che egli tira fuori da se stesso. Egli porta nella sua testa tutte le stelle del cielo e, per godere bene di esse, ha solo bisogno di una lampada che funzioni bene. Il fatto che esistano delle vetture pubbliche che lo conducano rapidamente e comodamente al suo tavolo di lavoro è per lui più importante che il sapere che nel museo della sua città è appeso un autentico Correggio. Per il filisteo invece il Correggio è indispensabile anche se non è in grado di distinguerlo da un autentico Knackfuss. Il filisteo vive in un presente costituito da attrattive turistiche; l’artista invece tende verso un passato dotato di tutti i comfort dell’epoca moderna. Quello non fa caso agli impedimenti della vita esterna perché non ha una vita interiore che possa essere minacciata da essi. E se ciononostante la sua scorza dura li avverte, gli rimane pur sempre una consolazione: l’arte. Essa è per il filisteo l’ornamento della sua fatica e dei suoi tormenti quotidiani: egli sbava dietro agli ornamenti, come il cane dietro alla salsiccia. Perfino gli ostacoli della vita lo attirano per il loro carattere pittoresco» (da I pittoreschi - (Fantasie di un viaggio in Italia) in Die chinesische Mauer (trad. it. La muraglia cinese, Roma, 1989).

«Tempo libero» si chiama infatti questa concessione al carcerato, al forzato del lavoro per il resto della settimana, al cane che corre dietro alla salsiccia. «È molto meglio immaginarsi i viaggi» che affrontarli davvero, sosteneva Kraus che possedeva la ricchezza del tempo in abbondanza e che non doveva ingannarlo. Il povero filisteo che viaggia sempre più e che ‘consuma cultura’ piuttosto che le suole delle scarpe ha il problema del museo e delle cose che vi sono appese, anche se non le capisce. Problema che si complica terribilmente dal momento che gli assessori che dovrebbero occuparsi di vetture pubbliche e di traffico, di illuminazione e di spazzatura, fanno, diciamo così, gli esteti e con il loro gusto impiegatizio finanziano i mercanti per la loro mercificazione del mondo. I giornali discettano quindi dell’arte degli assessori e stabiliscono quando l’evento è «imperdibile». Ancora Kraus, in un suo scritto contro il giornalismo letterario, sembra avere già letto La Repubblica di domenica scorsa, almeno la pagina eccitata per i cessi neri della francese che ha ideato e arredato un’ala del Macro (forse aveva intravisto l’originale in qualche reportage primo Novecento di quella Neue Freie Presse che lo mandava in bestia): «Questi giovani vanno la prima volta in bagno quando ci sono mandati come inviati. Può essere un’esperienza. Ma loro la generalizzano» (Heine e i successori in La fine del mondo, Firenze, 1994) .