martedì 20 settembre 2011

Il gusto di Porta Pia

~ PICCOLI ORRORI ESTETICI A 141 ANNI DALLA BRECCIA ~

C’era una volta, nel rione Colonna, la chiesa di San Silvestro in Capite, chiamata così, pare, perché conservava la reliquia della testa di san Giovanni Battista, quella che fu portata su un vassoio a Salomè e su cui pittori, scrittori e gente di spettacolo fantasticarono sempre. Accanto alla chiesa, sorgeva un monastero di suore con un bel chiostro. Dopo l’arrivo dei bersaglieri a Porta Pia, ennesimo segno delle piccole violenze inflitte dai 'piemontesi' alla Roma cristiana, i conquistatori trasformarono il convento in un grande palazzo delle poste secondo i più vieti canoni dei revivals rinascimentali e, passata la moda, restò la bruttura, proprio come accade per tutti quegli interventi all’insegna dell’effimero che infliggiamo all’antica metropoli. La piazza ottocentesca che si apriva di fronte al principale ufficio postale della città sembrava un piatto cortile condominiale, ma nel Novecento si caratterizzò come una stazione urbana di trasporti pubblici a cielo aperto, un luogo cruciale dove gli strilloni andavano ad annunciare cose che si spacciavano per apocalittiche e adesso ci apparirebbero insulse, come quasi tutto quel che si scrive sui giornali. Ed ecco che questa estate gli amministratori della città hanno deciso di investire denaro e interesse per un simile posto. Roma cade a pezzi, la crisi economica impazza, ma i dirigenti capitolini si occupano di Piazza San Silvestro. Sarà una operazione di restyling – si congettura – , un aggiustamento di questa nostrana Piccadilly, che come la piazza londinese gode di una felicissima posizione pur non avendo nulla di buono da mostrare, un centro nevralgico della rete dei trasporti, dove magari si vorranno enfatizzare le pensiline, renderle più old fashion con molta ghisa, aggiungere sedili, aprire (magari tra cento anni) un ingresso che colleghi alla metropolitana della vicina piazza di Spagna, ritoccare l’illuminazione, sottolineare il carattere di stazione nel centro della città… Oppure – si fantastica – vorranno scavare una super-stazione sotterranea per gli autobus extraurbani imitando New York che riesce a fare uscire i suoi pullman da Manhattan, e a lasciarsi alle spalle la metropoli in pochi minuti, percorrendo lunghissimi sottopassaggi. Macché, le autorità hanno deciso che piazza S. Silvestro è bella – e solo per questo andrebbero rimossi dal loro incarico – e va perciò liberata dai bus che vi sostano. L’unico servizio cui era adatto questo moderno quadrilatero adiacente al Corso e a Piazza di Spagna viene smantellato.

La Domus Area è intransitabile per mancanza di fondi, ma il comune sperpera i nostri soldi per San Silvestro, sconvolge il traffico nel centro storico, poi si accorge che sta venendo fuori qualcosa di molto più sgraziato di prima, e allora chiede consigli ai suoi luminari, ci si inventa strada facendo le più ridicole soluzioni, si parla così di un luogo per concerti en plein air. Vorrebbero aprire una cavea, ma ormai la pavimentazione è fatta e quindi i concertisti si dovranno accontentare di una superficie. E uno si chiede: ma perché non tenere i piccoli concerti a Villa Borghese, come era tradizione, come avviene nelle ville di mezza Europa, e anche degli Usa, senza palchi speciali e senza buttar denaro pubblico? Perché l’attuale missione dei sindaci e degli assessori municipali è di «portare la cultura» a chi se ne straimpipa. Proporre la musica in piazza in mezzo allo shopping, portare la cultura a domicilio, in borgata o ai Parioli, senza mai riflettere su quanto andava prescrivendo astutamente l’inventore della psicoanalisi: si deve pagare, e pagare profumatamente, i quarantacinque minuti sul lettino davanti al guru silente, altrimenti nessuno darà peso e credito a quelle strane chiacchiere. Perché mai allora la cosiddetta cultura deve essere distribuita come fosse acqua da bere, senza richiedere un minimo sforzo e interesse? Perché non incamminarsi nei viali del parco, a piedi naturalmente, magari portandosi da casa una seggiolina e uno spartito, come si vide in paesi anglosassoni, preparandosi spiritualmente, interrompendo il flusso quotidiano, per godere di un concerto campestre?

Scriviamo di questa autentica castroneria di Piazza San Silvestro nel giorno fatale del Venti settembre, centoquarantunesimo anniversario della conquista savoiarda di Roma. Nei precedenti duemila anni circa di Stato pontificio, equivoci estetici come quello raccontato forse non se ne ebbero. Sciaguratissime scelte si contarono certamente – i papi non sono infallibili in campo urbanistico – committenze che ferirono Bernini o Borromini, barbarie addirittura, interessi privatissimi dei principi romani, rivalità feroci tra cardinali, eccetera eccetera, però mai nella sua lunga storia Roma aveva visto il piccolo borghese al comando. Arrivò nel 1870 attraverso la breccia di Porta Pia, e i nuovi quartieri innalzati sull’Esquilino sono ancora là a testimoniare del misero sentire e della boria impiegatizia. Si costruirono a ridosso dei Fori imperiali boulevards in sedicesimo, edifici modestissimi con tanti fronzoli, eclettismi invidiati alle altre capitali europee viste in viaggio di nozze. Dietro l’Impero di cartapesta, il fascismo tradiva il medesimo gusto, lo racconta superbamente Gadda nel suo Pasticciaccio. I film in bianco e nero del dopoguerra mostrano invece la difficoltà e la paura di quei piccolo-borghesi di fronte alla calata di proletari e baraccati. Guardia e ladro, Totò e Aldo Fabrizi, i sogni dell’Americano a Roma. Così fu ridotta la capitale del mondo. Mancava però la presa del potere ufficiale del piccolo borghese, senza mediazioni del personale politico, senza ideologia. Ed ecco il sindaco attuale che incarna fisicamente quel tipo, che a Natale mette strani pupazzi sulla cordonata del Campidoglio, che illumina i palazzi michelangioleschi con le lampade a neon (amministratore condominiale risparmiatore), che rimette in moto sagre dopolavoristiche, Carri di Tespi, che organizza pajate della riconciliazione in piatti di carta a piazza Montecitorio, che elemosina modifiche al garage dell’Augusteo e si fa ridere dietro da un volgare architetto americano, che pota gli alberi – ordinaria amministrazione – e permette che i suoi insudicino l’intera città con manifesti plaudenti al «nuovo Rinascimento»…

Si potrebbe riempire un volume di malinconiche gesta del piccolo borghese con la fascia tricolore, del trionfo del gusto meschino. Grazie, liberatori del Venti settembre, grazie.