martedì 8 dicembre 2009

minima / Blasfemia del colore

La Carmen meneghina non riguarda un «Almanacco Romano», ma l’empietà futile è affar nostro, rientra nella critica delle arti e delle lettere. Una paffuta signora della «Repubblica», la disneyana Fata Smemorina del nostro giornalismo, si infiamma per «un’eretica alla Scala», profonde lodi per la regista torva che vilipende i simboli cattolici, gode per le santuzze derise, per le croci violate, per il Cristo fatto a pezzi in scena. Questione di gusti. Fairy Godmother prova con la bacchetta magica a trasformare in un’accolita di Goya la signora palermitana che non ha nemmeno il talento anticlericale di Buñuel. Ma a un certo punto si fa seria. Lei così eccitata dal sacrilegio ha trovato qualcosa di insopportabile nella dissacrazione della festa mondana e lo bolla con la parola appropriata: bestemmia. Perciò definisce «blasfemi» i cravattini verdi sullo smoking di alcuni deputati locali in abbigliamento ideologico. Povera vecchia signora, il suo senso del sacro è legato al mondo di sarti e sartine, alla Moda compagna della Morte.
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