mercoledì 4 febbraio 2009

minima / Lacrime flaubertiane

«Voglio commuovere, far piangere le anime sensibili
essendone una io stesso. Ahimè!
»
G. Flaubert, Lettera a Mme Roger des Genettes, 1876

Dopo la meraviglia, nei primi Sessanta, per i sarti che pretendevano il titolo di artisti, si ebbero i pubblicitari americani che imposero i loro marchi con il nome di pop art; adesso tutto un sistema, aziendale, ben strutturato, vende champagne e abiti e vacanze con una cornice estetica. Va da sé che l’esteticità della cornice, la sua bellezza, risulta del livello di sartoria, piuttosto una trovata di moda, un tocco abile nel mercato dei desideri, un titillamento dell’inconscio – dopo che il profondo ritrovato nella superficie (Hofmannsthal) dalla grande arte del primo Novecento è stato messo da parte –, uno sfarfallio per gli occhi, uno spostamento nel sistema di segni che imprigiona gli umani di oggi, mimetico degli alti bassi della Borsa, senza più neppure scomodare i sentimenti. E i musei come degli show room.

In un confronto tra gli animatori di simili aziende del lusso (senza più alcuna eleganza) che si rivolgono aridi al pubblico pretenziosetto della 'cultura' e gli inventori delle televisioni commerciali che con i feuilleton fanno vibrare i flaubertiani cuori semplici, non saranno allora da prediligere questi ultimi, secondo l’insegnamento talmudico, «meglio nessuna cultura che un po’ di cultura»?