venerdì 5 dicembre 2008

Calendario dell’Avvento 5. Breza, radiomessaggio del ’56

Uscito nel 1962 da Feltrinelli, La porta di bronzo, diario romano di Tadeusz Breza (1905-1970), ottenne in Polonia il premio per la saggistica laica, idest anticlericale, mentre l’autore veniva considerato un redivivo Stendhal che ironizzava sulla Roma dei papi. A rileggere oggi, a distanza di mezzo secolo, il giornale segreto che un aristocratico spedito a Roma a dirigere l’Istituto culturale polacco tenne negli ultimi anni del pontificato di Pio XII, vi si avverte, dietro la cortina dell’ufficialità, una ammirazione straordinaria per la città eterna, il suo pontefice, la curia, oltre che per le corti della nobiltà nera, dei parroci, dei frati, del popolo romano. Breza, diplomatico e scrittore, aveva lavorato negli anni Trenta all’ambasciata polacca a Londra, negli anni Cinquanta decise di continuare a rappresentare il suo paese anche se nel frattempo al potere erano andati i comunisti. E da diplomatico colto si districò tra il nuovo regime e l’antica istituzione universale: da una parte raffigurò lo splendore della capitale cattolica prima degli ascetismi conciliari, dall’altra si convinse e volle convincere, sbagliando, che il comunismo era un destino d’Europa con il quale anche la Chiesa doveva fare i conti. Un libro così, scovato magari nella rete, può essere un autentico dono di Natale per sé o per le persone amiche.

Roma, 24 dicembre ’56

Il Radiomessaggio natalizio del Sommo Pontefice ai fedeli e ai popoli di tutto il mondo occupa due colonne dell’Osservatore Romano. Un anno fa la Pravda moscovita pubblicò alcuni brani del messaggio natalizio del papa «ai fedeli e ai popoli di tutto il mondo» e alcuni altri ne pubblicò l’Unità: i primi parlavano del divieto di usare la bomba atomica, i secondi si pronunciavano in maniera enigmatica, ma promettente, circa gli accordi e i concordati «tra la Chiesa e i regimi ad essa ideologicamente molto lontani».

Quest’anno nessuno dei due giornali sopra citati pubblica dei frammenti del radiomessaggio. È un discorso interessante. La parte ideologica è condotta con molto garbo intellettuale; leggendola si può intuire quale sarebbe la spina principale del pontificato di Pio XII, se non ci fosse il comunismo: la spina principale, il problema numero uno sarebbe l’America e l’americanizzazione spirituale del mondo. Il papa non ne parla, non la nomina mai chiaramente. Definisce la nostra epoca come l’epoca della «seconda rivoluzione tecnica». Tale rivoluzione fa sì, questo è più o meno il suo pensiero, che ormai ci appaiano vicini gli orizzonti di un’era in cui non solo la natura del mondo non avrà più segreti ma non ne avrà neanche quella dell’uomo, preso sia individualmente che nelle sue connessioni sociali. I gabinetti medici e le cliniche ristabiliranno l’equilibrio morale; i problemi sociali che man mano si presenteranno verranno risolti in un baleno dai cervelli elettronici; non ci sarà più posto per le passioni, per gli impulsi, per l’irrazionale. La scienza umana, sempre più fantastica, troverà per ogni cosa una soluzione tecnica matematicamente esatta.

Tra le righe di tutta questa parte del discorso fa continuamente capolino il pensiero espresso meglio di tutti dal titolo di un romanzo di Huxley, che «il tempo si deve fermare». Più piano! Più piano! Lasciate che l’uomo riprenda fiato! Lasciate che s’abitui. Coloro che accusano la Chiesa di tradizionalismo, prosegue Pio XII, non capiscono che oggigiorno al mondo non c’è niente di più umano della tradizione. Tra i componenti elementari della tradizione egli enumera anche «l’unione sociale nella proprietà privata». La statistica, la tecnologia, la meccanizzazione, l’automazione intese non solo esecutivamente, ma come direttive di ogni pensiero, anche il più generico, sui problemi e sugli interrogativi dell’uomo e del mondo: ecco quale sarebbe la minaccia più grave della nostra epoca per il pontificato di Pio XII, se non ve ne fosse già un’altra, se non più grande, certo più urgente ed immediata.

La tradizione, sempre a detta di Pio XII, non solo ha un valore terapeutico per la piaga della vita moderna, e cioè la rapida e incessante trasformazione del mondo sotto la spinta delle illimitate possibilità tecniche, ma dovrebbe anche venir applicata preventivamente dovunque il progresso non sia ancora arrivato, e dove si propone di arrivare in nome dello sviluppo dei territori depressi. [...]

[Dal discorso] emana una sorta di stoicismo meravigliosamente triste. Il nuovo, il magnifico mondo è un mondo ametafisico, un mondo per il quale la religione, e tutto ciò che ad essa è connesso, non sono cose serie. Proprio su ciò si basa il suo rispetto e la sua tolleranza. Che profondo dolore, un simile alleato, anche se aiuta a combattere un nemico pericoloso!

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