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Una domenica dopo il tramonto, trovandosi a passare per alcune strade della Balduina, quartiere romano aggrappato ai costoni di Monte Mario, periferico ma abitato da gente facoltosa, nella sera di festa particolarmente vuoto e spento, veniva da riflettere sulla miseria delle soluzioni architettoniche moderniste. Dentro saranno state pure case spaziose e doviziose ma l’esterno si presentava nella solita forma di scatoloni, un accampamento di contenitori umani, un bivacco di cementificatori. Borghesi che avevano collocato sulla pubblica via i loro involucri residenziali e le loro auto potenti in modo più violento dei campi nomadi che almeno si vogliono provvisori. Pareva infatti un raduno di caravans in muratura, standards ripetuti, prodotti dell’industria delle costruzioni. Le strade non presentavano suggestioni prospettiche né offrivano una visione di scorcio, un qualsivoglia gioco di luci e di ombre, un uso garbato dei giardini prospicienti, un cortile, un chiostro. Passività geometrica, e di una geometria molto elementare. Fedeli ai dettami di un razionalismo dialettale del dopoguerra, i muri si presentavano come in una fabbrica tirata su in fretta: dov’era finita la dignità della classe media? Senza alcun décor veniva così a mancare anche il decoro. «Garbatelle dei ricchi» chiamava Praz questi agglomerati urbani. Cosicché, a ogni raro vecchio che si incontrava, magari a passeggio con il cane, veniva da domandarsi perché mai delle persone agiate e talvolta colte avessero investito il loro denaro in simili boîtes à vivre.
Una domenica dopo il tramonto, trovandosi a passare per alcune strade della Balduina, quartiere romano aggrappato ai costoni di Monte Mario, periferico ma abitato da gente facoltosa, nella sera di festa particolarmente vuoto e spento, veniva da riflettere sulla miseria delle soluzioni architettoniche moderniste. Dentro saranno state pure case spaziose e doviziose ma l’esterno si presentava nella solita forma di scatoloni, un accampamento di contenitori umani, un bivacco di cementificatori. Borghesi che avevano collocato sulla pubblica via i loro involucri residenziali e le loro auto potenti in modo più violento dei campi nomadi che almeno si vogliono provvisori. Pareva infatti un raduno di caravans in muratura, standards ripetuti, prodotti dell’industria delle costruzioni. Le strade non presentavano suggestioni prospettiche né offrivano una visione di scorcio, un qualsivoglia gioco di luci e di ombre, un uso garbato dei giardini prospicienti, un cortile, un chiostro. Passività geometrica, e di una geometria molto elementare. Fedeli ai dettami di un razionalismo dialettale del dopoguerra, i muri si presentavano come in una fabbrica tirata su in fretta: dov’era finita la dignità della classe media? Senza alcun décor veniva così a mancare anche il decoro. «Garbatelle dei ricchi» chiamava Praz questi agglomerati urbani. Cosicché, a ogni raro vecchio che si incontrava, magari a passeggio con il cane, veniva da domandarsi perché mai delle persone agiate e talvolta colte avessero investito il loro denaro in simili boîtes à vivre.
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La chiesina anni Cinquanta, alle origini del quartiere, ancora concepita con simmetria e bonarietà, aveva subìto le piccole violenze post-conciliari: strappati via candelieri e crocefisso, spostato il tabernacolo sulla sinistra e collocato due file asimmetriche di candeline in plastica con fiammelle elettriche sulla destra. Molti dei fedeli, provenienti dalle strade circostanti, nei loro interni di lusso erano abituati a spargere per la casa a ogni occasione candele di pura cera e mai avrebbero tollerato nella loro abitazione quelle lucette da Natale neorealista che illuminavano il tempio. Se l’arredamento era discutibile, il rito risultò ancora più strano. Nel silenzio compatto un signore con un maglione nero uscì da un banco e con le mani serrate dietro la schiena si accostò a passi lenti all’altare, quindi aprì un libro sul leggio e cominciò a recitare una pagina oscura. Terminata la lettura – come quasi sempre in questi casi, i laici paiono non avere la benché minima conoscenza di quel che dicono ad alta voce – , se ne tornò al suo posto senza particolare devozione, di nuovo con le mani dietro la schiena, di nuovo molto lentamente Allora, dall’altro lato, un secondo signore con abito scuro e capelli argentati si levò e, invece di giungere le mani come ci si sarebbe aspettati in una sacra cerimonia, evidentemente per il medesimo imbarazzo, pose le braccia anche lui dietro la schiena e andò a fare la sua lettura. Gesti slegati, privi di consequenzialità, abiti neutri, nudità dell’ambiente, rinuncia ai suoni, ai canti, agli scampanii, solitudine (protestante) dei personaggi, mancanza assoluta di emozioni: forse per questi concomitanti motivi, si ebbe l’impressione di essere capitati in un teatrino dell’assurdo, in una recita di un circuito decentrato, già fuori moda. La Messa tridentina nasceva anche dallo splendore rubensiano che rispecchiava le glorie celesti e dall’umanesimo michelangiolesco che nella Cappella Sistina ritraeva Adamo davvero 'a sua immagine', ma bastava poco per rendere la Messa di Paolo VI una riproduzione dello sconforto novecentesco, tratteggiata sugli scarti surrealisti. La liturgia (laitos ed ergia, opera popolare) era diventata uno scherzo alla Ionesco; la disarticolazione del linguaggio, teorizzata dal drammaturgo rumeno per mostrare la commedia disumana, doveva servire al sacrificio che ricompone il mondo riscattandolo dal peccato. Quella bellezza che Dostoevskij dice essere immagine della redenzione, sulla piccola montagna che sovrasta la valle del Vaticano, ieri sera sembrava mancare del tutto.
La chiesina anni Cinquanta, alle origini del quartiere, ancora concepita con simmetria e bonarietà, aveva subìto le piccole violenze post-conciliari: strappati via candelieri e crocefisso, spostato il tabernacolo sulla sinistra e collocato due file asimmetriche di candeline in plastica con fiammelle elettriche sulla destra. Molti dei fedeli, provenienti dalle strade circostanti, nei loro interni di lusso erano abituati a spargere per la casa a ogni occasione candele di pura cera e mai avrebbero tollerato nella loro abitazione quelle lucette da Natale neorealista che illuminavano il tempio. Se l’arredamento era discutibile, il rito risultò ancora più strano. Nel silenzio compatto un signore con un maglione nero uscì da un banco e con le mani serrate dietro la schiena si accostò a passi lenti all’altare, quindi aprì un libro sul leggio e cominciò a recitare una pagina oscura. Terminata la lettura – come quasi sempre in questi casi, i laici paiono non avere la benché minima conoscenza di quel che dicono ad alta voce – , se ne tornò al suo posto senza particolare devozione, di nuovo con le mani dietro la schiena, di nuovo molto lentamente Allora, dall’altro lato, un secondo signore con abito scuro e capelli argentati si levò e, invece di giungere le mani come ci si sarebbe aspettati in una sacra cerimonia, evidentemente per il medesimo imbarazzo, pose le braccia anche lui dietro la schiena e andò a fare la sua lettura. Gesti slegati, privi di consequenzialità, abiti neutri, nudità dell’ambiente, rinuncia ai suoni, ai canti, agli scampanii, solitudine (protestante) dei personaggi, mancanza assoluta di emozioni: forse per questi concomitanti motivi, si ebbe l’impressione di essere capitati in un teatrino dell’assurdo, in una recita di un circuito decentrato, già fuori moda. La Messa tridentina nasceva anche dallo splendore rubensiano che rispecchiava le glorie celesti e dall’umanesimo michelangiolesco che nella Cappella Sistina ritraeva Adamo davvero 'a sua immagine', ma bastava poco per rendere la Messa di Paolo VI una riproduzione dello sconforto novecentesco, tratteggiata sugli scarti surrealisti. La liturgia (laitos ed ergia, opera popolare) era diventata uno scherzo alla Ionesco; la disarticolazione del linguaggio, teorizzata dal drammaturgo rumeno per mostrare la commedia disumana, doveva servire al sacrificio che ricompone il mondo riscattandolo dal peccato. Quella bellezza che Dostoevskij dice essere immagine della redenzione, sulla piccola montagna che sovrasta la valle del Vaticano, ieri sera sembrava mancare del tutto.
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