martedì 2 marzo 2010

L'enigma dell'Occidente

~ ILLUMINISMO E CRUDELTÀ.~L’ARBITRIO NELLA CONQUISTA DEMOCRATICA DEL MONDO. ~ SI DOVREBBE FORSE TUTELARE IL DISPOTISMO ESOTICO COME UN BENE CULTURALE? ~ L’ARTE DEI BARBARI NEI NOSTRI MUSEI E L’ODORE DI SANGUE CHE SI DIFFONDE ~

Per tentare se non di capire almeno di formulare l’enigma dell’Occidente dei diritti e dei piaceri, che in nome dei primi muove la guerra e in nome dei secondi la rifiuta, costretto proprio per questa sua natura a espandersi e a imporre con la forza al resto del mondo i suoi caratteri, è bene prendere come guida un saggio guerriero, Ernst Jünger, nel suo Il nodo di Gordio (con una risposta di Carl Schmitt, edito in italiano da Il Mulino). Scritto più di mezzo secolo fa, ricco di anticipazioni («i simboli rossi hanno una durata breve» o «verrà il giorno in cui i Russi avranno bisogno di noi»), soltanto adesso sembra entrare nei nostri dibattiti più urgenti. Dice Jünger: «È importante chiedersi se l’europeizzazione introduca un nuovo ethos, oppure se l’arbitrio conservi, nonostante tutto, il suo rango o se addirittura, acquisendo mezzi più potenti, non acquisti portata più ampia. L’introduzione del pensiero e dei metodi occidentali avverrà sempre sotto costrizione, giacché in altro modo non sarebbe possibile distruggere l’atmosfera dominante, patriarcale e ortodossa. Un tentativo esemplare è quello di Pietro il Grande, che presenta una mescolanza, sorprendente per noi, di illuminismo e crudeltà. […] In Paesi ancora arretrati e con una società poco articolata, questi cambiamenti, a quanto sembra, incontrano una scarsissima opposizione; il nuovo ordine pare nascere dal nulla. Per quanto riguarda Pietro il Grande, la totalità del piano risulta particolarmente chiara, se si pensa che gli mancano ancora gli strumenti che saranno disponibili in seguito. Verranno poi le ferrovie, la cui rete coprirà tutto il Paese, l’elettrificazione, le piste di volo, gli aeroporti. Con un ristretto stato maggiore, oggi è possibile imporre in scarsissimo tempo ad un Paese che si trova ancora a livello di Medioevo, ad un’isola rimasta ancora all’età della pietra, uno stile di lavoro che da noi si è formato nel corso di decenni, anzi di secoli. È uno spettacolo che possiamo osservare ogni giorno». Il lavoro di Pietro il Grande è portato a termine dagli attuali satrapi russi; l’Afghanistan, tra i più resistenti alla modernità, già domani offrirà un simile spettacolo. Ogni giorno del resto assistiamo alla vertiginosa concentrazione della storia nei paesi ‘giovani’; il supplemento culturale del quotidiano degli imprenditori ci assicurava, domenica scorsa, che basterà un bancomat per fermare l’avanzata dell’Islam. I mercanti di schiavi seguivano gli eserciti vittoriosi per fare incetta dei vinti ridotti in catene, nel Novecento sono piuttosto i rappresentanti della Coca Cola che giungono con le armate americane a imporre un gusto. L’imperatore che ha conquistato anche il premio Nobel per la pace e che bombarda contadini confusi e guerriglieri feroci come combattenti preistorici, è un forte segno di contraddizione. Più in generale, ci si ripete dai tempi delle guerre napoleoniche: è giusto esportare la democrazia o i paesi extraeuropei vanno abbandonati al loro destino che li mantiene fuori la storia? Il terrore fa parte del paesaggio orientale ed è un peccato mortale tentare di rimuoverlo? Si dovrebbe forse tutelare il dispotismo esotico, proteggerlo come una cultura della differenza? Meglio i «tiranni che si succedono» laggiù piuttosto che i dominatori stranieri, estranei a quel mondo? Basta volere il bene per poter conquistare il mondo alle proprie idee? Non è forse una passione smisurata, più violenta ancora dei maggiori egoismi, quella volontà missionaria di portare il bene? E non ne deriva una guerra totalitaria come nessun’altra? Che cosa c’è di più sanguinoso di una ‘guerra etica’?

«Il desiderio di innalzare la guerra al di sopra del piano zoologico, dello scontro tra branchi e orde, porta a stabilire regole […]. Sopra ogni cosa si fa distinzione tra il nemico armato e quello inerme». Di questo si nutre la storia dell’Occidente, dalle guerre dell’Iliade alla nascita e sviluppo della cavalleria. Ma il senso critico che l’accompagna ricorda anche che Achille fa scempio del vinto Ettore, inerme ormai perché morto. E se i cimiteri di guerra, rispettati e onorati dai nemici di un tempo, sono un esempio della civiltà occidentale, restano fuori dalle regole e dal rispetto i morti (e i vivi) delle guerre civili. Da quasi un secolo è tutta una guerra civile che si impone, lo scontro tra l’Occidente dei diritti e l’Oriente delle tirannie.

Nella polarità balugina la diversa immagine della virtù militare. A Oriente il signore può ordinare la morte sicura per il suo soldato, in Occidente gli si lascia una pur minima chance di sopravvivenza, l’ethos occidentale rifiutando il suicidio; nonostante le teorizzazioni degli stoici, esso resta un atto estraneo, un’ombra nella vivida luce che si oppone al regno ctonio. «Già per i primi Cristiani il martirio cercato era il meno pregevole». Jünger si sofferma a riflettere ancora sui kamikaze giapponesi che avrebbero prodotto un ritorno di fiamma con il gesto di Mishima, il drammaturgo autore della messa in scena della propria morte, che scuote il mondo dolciastro delle rivoluzioni desideranti. La riflessione sul sacrificio umano senza scampo si può quindi concentrare sullo shaid che si lascia esplodere per la gloria dell’Islam. La morte che oggi chiamiamo assistita, per gli eufemismi di moda, entra in contrasto con la nostra tradizione: non ci si rende nemmeno più conto di urtare contro un tabù fondamentale.

Un altro lampo sull’oggi, un altro esempio di sguardo acuto che sa intravedere il futuro remoto dell’Europa come se fosse già compiuto: «i suoi imperi sono in decadenza, le sue frontiere sono ormai inesistenti». Gli extraeuropei si impadroniscono dei nostri «elementi stilistici», vestono all’occidentale, ne imitano le abitudini più vacue, non la libertà. Gli aspetti «titanici» pertanto non sono mitigati da una «volontà superiore».

L’Occidente è consapevole dell’arbitrio a cui ricorre di volta in volta e in tal modo lo riscatta. Qui l’arbitrio «esclude la grandezza, o almeno vi imprime una macchia oscura». Si è detto del Nobel per la pace che ordina bombardamenti a tappeto e ha fatto crescere le spese militari come nessun altro presidente bellicista: non per questo dobbiamo metterlo sul medesimo piano dei carnefici, dei criminali d’Oriente (che non coincide, certo, con quello geografico, basti pensare per esempio al vecchio tiranno di un’isola all’estremo ovest, di fronte alle coste degli Stati Uniti, che si incrudelisce progressivamente mentre si avvia alla propria morte naturale e tenta come tutti i criminali politici di sopravvivere in una specie di gara macabra ai suoi oppositori più liberi). L’errore dei giovani generosi e dei fanatici d’ogni età è quello di livellare tutti gli avversari in nome della morale, senza riuscire a stabilire gradi e ragioni, rifiutandosi di «sedere a tavola» se non con i propri amici. Ai fedeli obamiani che credettero appena un anno fa nell’avvento del Regno della Giustizia e della Pace dovremmo limitarci a dire che si tratta al massimo di un 'falso messia' come se ne sono affacciati tanti nella nostra storia.

Il discorso di Jünger approda repentinamente all’arte e alla non-arte di oggi. «Se la coscienza della libertà, se la pace devono diffondersi, non può mancare il freno interiore. Lo stesso vale anche per l’arte. […] Esiste una giustizia delle forme e delle linee che noi percepiamo come bellezza. […] Il gusto barbarico invece ci offende. Il mondo è pieno di opere che soggiacciono alla suggestione esercitata da dei, demoni e forze naturali, senza che l’uomo possa rispondere con la libertà. La cupezza, la pesantezza terrena, l’assenza di occhi, la stridente vivacità, la confusione, le dimensioni colossali, la forza lussureggiante, il volto da maschera ci opprimono: avvertiamo infatti che tutto ciò è collegato a sacrifici di sangue».

Il ritorno della barbarie assume un tono particolarmente agghiacciante perché in queste considerazioni la parola ‘barbaro’ non si confonde con l’insulto: «nelle metropoli e negli imperi sta facendo ritorno la barbarie. […] Chiunque voglia dominare […] ripercorrerà l’esperienza dei Romani, che furono costretti a esportare in una cerchia sempre più ampia il loro diritto civile, mentre tra di essi si insinuavano i costumi, le arti e i culti stranieri». Sennonché adesso non si bada troppo al diritto, lo scambio resta più in superficie.

«Se esistesse una metropoli in cui fossero ufficialmente adottati modelli e colori dell’antico Dahomey oppure edifici secondo l’antico stile messicano, ben presto vi sarebbero ufficialmente istituiti i sacrifici umani. Tuttavia non vi si vedrebbero l’orrore e il fasto di quegli antichi imperi, bensì una barbarie nuova, riscoperta». Solo chi ha un fiuto speciale per l’odore del sangue, sviluppato sui campi di battaglia, sa riconoscere quello che gli stolti scambiano per ludo nei musei degli orrori.

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