lunedì 20 settembre 2010

Roma rubata

~ IL GIORNO CHE SEGNA LA FINE DELL’ARTE UNIVERSALE ~

Facciamo nostra la parola d’ordine di Mallarmé, citata ieri da Quirino Principe nella sua smagliante rubrica che ravviva il supplemento domenicale color salmone: «Donner un sens plus pur aux mots de la tribu». Oggi, aprendo Google (nazionale), si scopre che il massimo organo di collegamento tribale celebra i 140 anni di «Roma capitale». Oddio – potrebbe sospettare l’ingenuo navigante – si tratta di un’oscura provincia che qualche battaglia nazionalista ha fatto ascendere a questo ruolo? Si dà invece il caso che Roma fu ininterrottamente capitale per oltre duemila anni, che anzi la parola capitale deriva dal latino 'caput', termine che fu riservato a Roma con la definizione caput mundi. Nel 1870 la capitale del mondo – prima dell’Impero poi della Chiesa – divenne la capitale di un regno subalpino: che cosa ci sarà mai da tripudiare? Dei piccoli ladri, nient’affatto ladroni, borghesucci semmai, avevano rubato Roma alla sua tradizione gloriosissima, imprigionandola nel Kitsch piemontese (il Gabriele d’Annunzio del Piacere se ne era accorto e lo diceva a chiare lettere). Tant’è che Google per vestirsi a festa ricorre al disegno michelangiolesco del pavimento capitolino, a un artista del papa come pochi altri, ovvero come se gli indiani per ricordare l’indipendenza dalla Gran Bretagna si addobbassero con i colori scozzesi o per il 14 luglio francese si agitassero le bianche bandiere borboniche. La verità è che negli ultimi centoquaranta anni la capitale 'laica' non ha lasciato nessun segno artistico riconoscibile dai più. Sì, i turisti giapponesi quando si trovano davanti all’Altare della patria scattano nervosamente e con ammirazione ma poi, già sulla strada del ritorno, quel monumento si confonde con i tanti altri accumuli di marmo senza costrutto che le città europee innalzarono sul finire dell’Ottocento. La Roma antica e quella dei papi è l’unica che resti impressa. Con buona pace del cardinale segretario di Stato che benedice la breccia (ma la Chiesa ancorata al governo dell’Urbe non si perdeva nei candori attuali di certi monsignori pii quanto impolitici) e con buona pace del sindaco di fascia tradizione che sulle rovine della bellezza canoviana organizza giornate strapiene di carri di Tespi e di altre dopolavoristiche imprese.

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