lunedì 17 ottobre 2011

La guerra morale

~ QUANDO L’INDIGNAZIONE PROVOCA
UNA VIOLENZA APOCALITTICA ~

L’indignazione allegra è un non senso. Si può genericamente protestare col sorriso ebete, ma indignarsi presuppone una increspatura della fronte, un aggrottare le sopracciglia, un corrucciare il volto, un’aria arcigna, una voce irata, un tremore fisico, il corpo stesso infatti vien chiamato in causa da quel moto del cuore e della mente. Talvolta provoca la bava alla bocca; la bile chiamerebbero in causa quelli della bio-politica. La collera si accompagna allo sdegno ed esige una reazione dura. Che sono dieci o mille bidoni della spazzatura in fiamme di fronte allo scandalo della finanza che gioca con l’esistenza di uomini e di donne? Che sono delle automobili distrutte, i fuoristrada odiati dai modernisti invidiosi, di fronte alla retrocessione della Grecia? Così si dicono i ragazzi che credono nell’assoluto della giustizia terrena, e purtroppo anche alcuni frati, alcune suore, altrettanto creduli. Che sono tre rapine o una violenza sessuale di fronte a un reparto di oncologia infantile? A cercare delle proporzioni esatte si esce dall’umano. E l’indignazione, portata alle estreme conseguenze, esige che la vita quotidiana sia interrotta bruscamente dal momento che non è degna d’esser vissuta. Non c’è alcun bisogno della favoletta dell’uomo nero che si cala il cappuccio e sopraggiunge nel bel mezzo di una processione di anime belle a produrre violenza nello stupore generale dei processionanti. Dei video ripropongono i veementi manifestanti che sputano addosso al guru radicale reo di aver insozzato la nobile protesta delle opposizioni aventiniane: non sono abbigliati di nero, non mascherati, soltanto aggressivi, spaventosamente minacciosi; il trovarsi di fronte a un ottantenne non li porta ad abbassare il tono truce, anzi si appigliano all’età, «vecchio schifoso» gli urlano. È un continuo ripetere «venduto», un riaffermare la propria identità di ‘incorrotti’ ed un’evocazione di escrementizi insulti vari. Mai un «mea culpa, mea maxima culpa». Son feroci i ragazzotti che si battono in nome della morale, è tutta un’ordura il mondo e in special modo i nemici che non appartengono alla schiera degli eletti (si veda nel blog di Magister come reagiscono anche a Mario Tronti che vuole dialogare con Ratzinger: il teorico operaista di un tempo dovrebbe «esser messo in un centro di igiene mentale» urlano i militanti al computer). A quel punto, suggerirebbe Manzoni, con il suo uso di mondo, «non mancava altro che un’occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti». C’è sempre una scintilla come quella che provocò la romanzesca rivolta di Renzo. Le parole urlate in piazza diventano fatti in men che non si dica.

La statuetta dell’Immacolata finita in pezzi nella strada dove è passato il corteo degli «indignati» è eloquente nel web dove troneggia. Un gruppo di ragazzi ha sfondato le porte di un’antica chiesa di martiri e ha preso a sprangate un crocefisso e una madonna. Mandanti sono le dame che si indignano sui futili social network per le presunte evasioni fiscali della Chiesa di Roma di cui nulla capiscono. I ragazzi si sono limitati a eseguire e a lasciare una scritta con gli slogan untorelli di Facebook.

Eccitati dalle televisioni di mezzo mondo, benedetti da imprenditori, editori, magistrati e banchieri imbonitori, i giovanotti modaioli, lettori del pamphlet di un novantenne eccentrico, innamorati della primavera egiziana (con relative stragi di cristiani) e chissà anche dell’autunno siriano con massacri di bambini, attenti a rifare le pose del globalismo, si sono incamminati come in centinaia di città di tutto il mondo, in piena ortodossia del pensiero unico e con buona volontà. Ma, Carl Schmitt ce lo ha insegnato, le guerre mosse dalla morale sono violentissime e interminabili. Se per i re imparentati tra loro le mosse belliche erano dentro una strategia politica, ossia avanzare di pochi chilometri e firmare subito un compromesso, dalla Rivoluzione francese in poi il nemico diventa assoluto, «qu’un sang impur abreuve nos sillons» canta sacrificale la Marsigliese, Napoleone ordina le grandi stragi, la prima guerra mondiale moltiplica le stragi napoleoniche e riprende l’uso poco nobile di coinvolgere donne e bambini, la seconda è un insieme di stragi, il tradimento delle virtù militari, centrale è lo sterminio di donne, bambini ed ebrei, i disarmati per definizione, dopo di che i vincitori processano gli sconfitti e li condannano a morte. L’indignazione non conosce l’armistizio del compromesso.

Altro è lo sprezzo letterario, la sprezzatura di cui parlava Cristina Campo: gli irriconciliati con il mondo sono anzitutto irriducibili alle seduzioni facili della politica. «Prima d’ogni altra cosa sprezzatura è infatti una briosa, gentile impenetrabilità all’altrui violenza e bassezza», spiegava la scrittrice, «ma attenzione, non la si conserva né trasmette a lungo se non sia fondata, come un’entrata in religione, su un distacco quasi totale dai beni di questa terra, una costante disposizione a rinunciarvi se si posseggono…». Avvertiva inoltre la aristocratica Cristina che chi vuole attingere a questa musica della misura deve mostrare «l’umor lieto. Ciò significa, tra l’altro, capacità di volare incontro alla critica con impeto sorridente, con la graziosa enfasi dell’incuranza di sé: un tratto che troviamo tanto nei precetti dell’educazione mistica quanto in quelli della scienza mondana» (Con lievi mani).

La politica dunque mal si apparenta con lo sdegno morale. L’Italia dei Cinquanta, con le fiammate in piazza contro l’America o per Trieste, conobbe queste esplosioni di rabbia popolare ben guidate, cioè sotto controllo, dove chi convocava le adunanze era in grado di prevedere con una buona approssimazione se ci sarebbe scappato il morto. Un minuto dopo gli organizzatori sapevano anche come fermarsi e come trarre profitto da quel sangue sul selciato, come barattarlo con un ministero o una vittoria elettorale. Cinici, non irresponsabili. Ma i ragazzi convocati dalla rete virtuale vanno allo sbando contro le banche, contro la finanza, contro gli affari, contro la Borsa… Se le parole hanno un peso, trattasi di bomba atomica fatta esplodere contro l’Occidente. Saranno parole in libertà, chiacchiere che già definire anarcoidi sarebbe un complimento, ribellioni adolescenziali, umori, ma nel momento che prendono corpo in piazza non possono non essere violente.

«Veramente, la distruzion de’ frulloni e delle madie, la devastazion de’ forni, e lo scompiglio de’ fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva». È ancora Manzoni a parlare della sommossa seicentesca, e naturalmente neppure la distruzione di automobili e vetrine dei negozi e delle banche aiuta oggi a superar la crisi, questa essendo una di quelle sottigliezze metafisiche che evidentemente neppure un governatore della Bce ci arriva, per cui si mette a lusingare i giovani, confondendo loro ancor più le idee. Dalle rivolte del Maghreb in poi, sono i laureati che non trovano lavoro adeguato alle loro ambizioni a indignarsi: l’industria culturale non ce la fa ad assorbirli tutti, per fortuna non riesce a gonfiarsi più di tanto, a trasformare il mondo in un museo o in una scuola. Tra i vecchi marxisti e le nuove ‘sinistre Beautiful’, nessuno che discuta in termini adeguati di una gioventù che si rifiuta di far lavori artigianali, pure molto richiesti, di questa ‘dignità’ che non si sporca le mani, invero assai simile alla superbia piccolo-borghese, e invece ancora a metterla in modo ottocentesco sul «pan che manca», gli scioperi, i disoccupati, le bandiere rosse…

A New York, l’altro giorno, i gendarmi del messianico presidente nero erano in assetto antiguerriglia davanti a dei protestanti pacifici i quali, appena superata una linea di confine imposta dalle autorità democratiche alla loro protesta, son stati caricati dalla polizia a cavallo che travolgeva anche vecchine e bimbi al collo di genitori pazzerelli. Nei giorni precedenti il ‘presidente buono’ aveva fatto arrestare centinaia di giovanotti per una escursione davanti al tempio della Borsa. Ma noi siamo un paese cattolico, anche se ci fanno a pezzi la Madonna non diventiamo mai estremisti della legalità, non crediamo stoltamente nella assolutezza della giustizia terrena, finiamo sempre per provare un sentimento di indulgenza, comprendiamo addirittura la stupidità dei teppisti, ossia dei peccatori, senza indignarci più di tanto. E loro, i rivoltosi, confidano da sempre in questa comprensiva indulgenza. Qui manca la spietatezza puritana che pur da qualche anno si vorrebbe imporre anche nel Belpaese. Dio ce ne guardi.

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