~ I NUOVI ARREDATORI DELLA CASA DI DIO ~
Si visitano le chiese romane che la filologia senza amore ha spogliato delle vesti barocche e che il Vaticano II ha umiliato per ripicca contro il Concilio di Trento. Ogni tanto delle foto in bianco e nero riavviano la memoria di chi ancora negli anni Cinquanta vide lo sfarzo dei lampadari settecenteschi più fastosi che in un teatro, le colonne e le lesene ricoperte di velluto rosso anche ad altezze imponenti nella solennità dei santi patroni del tempio, le liturgie rubensiane, gli altari sovrabbondanti di reliquie, aurei busti e candele, sopra i quali la fede diventava tangibile, accendendo i sensi e spingendosi quindi nella frontiera speciale dove funge da «supplementum / sensuum defectui», come canta Tommaso d’Aquino nel suo Tantum ergo. Adesso i funzionari della sovraintendenza dispongono delle cose sacre in base ai loro studi pedanti, circondati dalla soggezione di preti ignoranti. Regna un gusto catacombale, revival confuso dei primi secoli, evapora così il senso di eternità che aveva sempre dominato nelle chiese cattoliche. Talvolta in quelle affidate alle nuove comunità dell’Europa orientale di ceppo bizantino tornano per miracolo gli ex-voto che riempivano ogni spazio intorno alle sante effigi, tornano le ombre e le zone buie appena corrette dal tremolio di innumerevoli candele accese dai devoti davanti agli altari prediletti. «L’ornamento presuppone una gerarchia tra le cose», diceva acutamente Sedlmayr, nell’arte senza più ornamento impera il nichilismo per cui tutte le cose sono uguali tra loro. Senza ornamento sarebbe impossibile rappresentare il sacro.
Se per queste chiese del centro storico si accompagna un europeo del Nord è necessario ricorrere ai racconti onde spiegare come simili spazi sacri che si presentano al visitatore in massima sobrietà, facendo dimenticare trascorsi barocchi e rococò o semplicemente di vistoso culto anche novecentesco, fossero ben diversi dagli ambienti protestanti cui oggi ci si sforza di somigliare. Una tempesta di ira puritana è passata di qui. Figli scapestrati hanno venduto agli straccivendoli tesori assai preziosi avuti in eredità. Però almeno nelle chiese antiche restano quadri e statue, benché scontornati e isolati secondo i dettami postmoderni, una miriade di immagini di fronte alle quali inginocchiarsi. E non è poco.
Si visitano le chiese romane che la filologia senza amore ha spogliato delle vesti barocche e che il Vaticano II ha umiliato per ripicca contro il Concilio di Trento. Ogni tanto delle foto in bianco e nero riavviano la memoria di chi ancora negli anni Cinquanta vide lo sfarzo dei lampadari settecenteschi più fastosi che in un teatro, le colonne e le lesene ricoperte di velluto rosso anche ad altezze imponenti nella solennità dei santi patroni del tempio, le liturgie rubensiane, gli altari sovrabbondanti di reliquie, aurei busti e candele, sopra i quali la fede diventava tangibile, accendendo i sensi e spingendosi quindi nella frontiera speciale dove funge da «supplementum / sensuum defectui», come canta Tommaso d’Aquino nel suo Tantum ergo. Adesso i funzionari della sovraintendenza dispongono delle cose sacre in base ai loro studi pedanti, circondati dalla soggezione di preti ignoranti. Regna un gusto catacombale, revival confuso dei primi secoli, evapora così il senso di eternità che aveva sempre dominato nelle chiese cattoliche. Talvolta in quelle affidate alle nuove comunità dell’Europa orientale di ceppo bizantino tornano per miracolo gli ex-voto che riempivano ogni spazio intorno alle sante effigi, tornano le ombre e le zone buie appena corrette dal tremolio di innumerevoli candele accese dai devoti davanti agli altari prediletti. «L’ornamento presuppone una gerarchia tra le cose», diceva acutamente Sedlmayr, nell’arte senza più ornamento impera il nichilismo per cui tutte le cose sono uguali tra loro. Senza ornamento sarebbe impossibile rappresentare il sacro.
Se per queste chiese del centro storico si accompagna un europeo del Nord è necessario ricorrere ai racconti onde spiegare come simili spazi sacri che si presentano al visitatore in massima sobrietà, facendo dimenticare trascorsi barocchi e rococò o semplicemente di vistoso culto anche novecentesco, fossero ben diversi dagli ambienti protestanti cui oggi ci si sforza di somigliare. Una tempesta di ira puritana è passata di qui. Figli scapestrati hanno venduto agli straccivendoli tesori assai preziosi avuti in eredità. Però almeno nelle chiese antiche restano quadri e statue, benché scontornati e isolati secondo i dettami postmoderni, una miriade di immagini di fronte alle quali inginocchiarsi. E non è poco.
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