lunedì 2 aprile 2012

La Messa di un santo

~ NEI GIORNI DEL GOLGOTA
IL RACCONTO DEL SANGUE SU UN ALTARE NEL GARGANO.~
LE TESTIMONIANZE DI GUIDO PIOVENE
E DI GRAHAM GREENE A PROPOSITO DI PADRE PIO ~

Nel suo Viaggio in Italia condotto per la radio, Guido Piovene passò per San Giovanni Rotondo e narrò di padre Pio. Correva l’anno 1953, l’aristocratico scrittore veneto che percorreva in lungo e in largo la penisola, assistette alla Messa dello stigmatizzato alle prime luci dell’alba. Quella singolare liturgia continuò fino alla morte del frate, sempre lunghissima, sempre in latino anche quando gli innovatori avevano stravolto i sacri misteri. Scrive Piovene in quel volume assai bello sull’Italia scomparsa:

«Padre Pio non si muove dal convento: non si occupa dei lavori che promuove, se non per sollecitarli, e li abbandona ai tecnici. Dire Messa è per lui l’avvenimento capitale della giornata. […] La Messa è alle cinque della mattina ad un altare secondario della chiesetta. La folla però comincia ad assediare di notte la porta chiusa. Quella Messa che, benché normale, dura un’ora abbondante, è un evento drammatico, che porta padre Pio di sbalzo molto più su della leggenda diffusasi intorno a lui. Mi limito a ricordarlo nell’emozione di quel dramma, lasciando giudicare a altri la sua fama di santo magico, su cui non saprei dire nulla. Padre Pio dice Messa in uno stato, certo autentico, di estasi e di rapimento: non un rapimento immobile; un rapimento travagliato, in cui si alternano sentimenti diversi, con una specie di altalena tra l’ebbrezza e l’affanno. Le mani, che durante il giorno ricopre con mezzi guanti di lana, sono nude all’altare e mostrano la grande macchia rossiccia delle stimmate. Si vede che gli dolgono; e specialmente soffre nel genuflettersi, come lo richiede il rito, pesando sul piede sinistro. Allora si aggrappa all’altare; un’ombra di dolore fisico gli appare in faccia, come nel sonno dei malati, che soffrono del male ma ne sono incoscienti; e si mescola ad una sofferenza maggiore. È chiaro che il frate rivive, anima e corpo, il sacrificio di Cristo; più che una Messa, il suo è un colloquio con Cristo, concitato a momenti, ed in altri disteso. I sentimenti discordanti, di gioia o d’angoscia, che palesa sul volto, sono suscitati in lui dalla vicenda a cui partecipa. Ho visto padre Pio togliersi dalla manica un fazzoletto, adoperarlo, e poi gettarlo sull’altare; la sua Messa è, nel tempo stesso, tragica e confidenziale» (Viaggio in Italia, ripubblicato da Baldini & Castoldi, 1993, pp. 765-766).

Due anni dopo è l’inglese Graham Greene a passare nel paesetto pugliese per vedere san Pio celebrare Messa. Qualche tempo fa la «New York Review of Books» rievocava il fatto in seguito a una polemica scoppiata sul numero del 2 dicembre 2004 a proposito del cattolicesimo dello scrittore che indagò nei doppi giochi dell’animo umano. Nel numero del 10 febbraio 2005 della «NYR», Kenneth L. Woodward, pubblicava una lettera speditagli da Greene l’11 settembre 1990 su quella sua lontana esperienza nel Gargano. Woodward aveva allora dato alle stampe un libro sui processi di santificazione nella Chiesa cattolica, l’autore del Fattore umano pensò di fargli cosa gradita testimoniando il suo incontro con un futuro santo. «Assistetti alla Messa di padre Pio in un villaggio del Mezzogiorno d’Italia», dice Greene, ricordando che era stato convinto a recarsi laggiù da un suo amico, un marchese italiano, che gli aveva suggerito di pernottare nei pressi del convento. Ma l’inglese preferì arrivare all’alba nella chiesina. «Non gli era concesso di celebrare all’altare maggiore, diceva la sua Messa a un altarino laterale, alle 5.30 del mattino. Soltanto poche donne fuori del convento aspettavano che aprissero le porte, e durante la Messa noi eravamo a due metri da lui. […] Cercava di nascondere le sue stigmate tirandosi giù le maniche ma naturalmente vennero fuori. Probabilmente non poteva usare i guanti. Ero stato avvertito che la sua Messa sarebbe stata molto lunga ma mi sembrò di normale durata e fui ancor più sorpreso quando il padre lasciò la chiesa e mi resi conto che erano già le sette senza che mi fossi accorto di tutto il tempo trascorso». Anche il letterato-agente di controspionaggio era stato strappato al suo tempo da quel drammatico rito sacrificale.

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