Gli stiliti, mistici del cristianesimo orientale, passarono la vita sulle colonne senza contemplare la terra e neppure il cielo. Performances negative asservite all’ineffabile che rimaneva tale, silenzioso, sfuggente, neoplatonico. Altrettanto astratti furono i furori della mistica germanica, quella dei maestri di Lutero, i teologi del sine modis che respingevano l’arte per amore di un buio divino. Narrano invece i testimoni che, sentendosi morire, san Pio da Pietrelcina chiese ai suoi confratelli di essere condotto sul terrazzino del convento per guardare un’ultima volta il cielo stellato. Colui che aveva impressi i segni fisici di Cristo nel corpo, che mescolava il miracolo della santità con le assai prosaiche questioni del sangue, volle vedere lo spettacolo del creato qualche istante prima di varcare la misteriosissima soglia del Paradiso. Il bello come viatico per il cielo: ‘fioretto’ di un santo meridionale, di un seguace di Francesco d’Assisi. Nel cattolicesimo il firmamento notturno o il mare luminoso sono anticipazioni del Paradiso, immagini create da Dio, un dono celeste per gli umani. Il nostro maggior santo contemporaneo, in mancanza di artisti, ce lo ricorda, riconsacrando il senso della vista tanto bistrattato dai teologi post-conciliari.
lunedì 30 luglio 2012
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