CORROMPONO I POLITICI. ~
DAL DIARIO DI UN DIPLOMATICO
PRESSO LA SANTA SEDE ~
I diari degli ambasciatori hanno spesso un tono distaccato, inattuale, proprio mentre rendono conto di tutti i dettagli più impercettibili e più segreti del mondo. Quello di Gian Franco Pompei, ambasciatore italiano presso la Santa Sede negli anni Settanta, è una singolare lettura: spirito aristocratico, cultura di chi si è formato nelle grandi biblioteche familiari, ironia di chi offre per ufficio preziosi consigli a personaggi mediocri, con scarsa intelligenza e ancor più scarso gusto. Così un giorno il suo sguardo si posa sulle miserie piccolo-borghesi dei monsignori post-conciliari che buttano a mare le meraviglie degli arredamenti nei palazzi apostolici per ristrutturare in falsa semplicità e ad altissimo costo le antiche stanze che adesso paiono sale d’aspetto di società petrolifere. Oppure, presente a una solenne liturgia in lingua volgare a piazza San Pietro, una delle prime se non la prima, nota subito melodie da paesello, povertà e bruttezza delle musiche che hanno sostituito il gregoriano. In ambedue i casi, il grottesco che quel genio di Fellini estraeva a quei tempi dalla Roma dei prelati aggiornati.
I diari degli ambasciatori talvolta fanno pensare ai libri di viaggio dei settecenteschi e quando si tratta di nostri contemporanei riescono a rendere settecentesco, lontano e spesso buffonesco il mondo che ci circonda. Dalle carte di questo diplomatico di quarant’anni fa, riportiamo due citazioni: una del 30 gennaio 1974, ai tempi della crisi petrolifera che fermava le auto la domenica e mandava gli italiani a letto presto; l’altra, del 25 giugno 1975, sui politici corrotti linguisticamente dal vocabolario della critica d’arte:
«Un ‘artista’ bulgaro, Christo, con la complicità di Palma Bucarelli impacchetta i monumenti. A parte i disagi, il lavoro perso, i rischi di incendio, ci domandiamo quello che costa questa sciocchezza (a base di petrolio) nel momento dell’austerità a un comune che ha 3.000 miliardi di debito e non ha provveduto a nessuna delle strutture essenziali. Al muro! (e non alle mura aureliane)».
«Le responsabilità dei teorici dell’estetica e dei praticanti della critica d’arte, in ogni ramo, sono gravissime. Per tentare di dare dignità di scienza a una ricerca che consiste nel cogliere stati d’animo dell’autore e dei ‘fruitori’ (come si dice oggi) dell’opera d’arte e che dà risultati diseguali, basati più che altro su qualche rara intuizione individuale, i responsabili di questa professione hanno edificato un cumulo di sciocchezze e creato un vocabolario di follie. È impossibile confutare le loro affermazioni, poiché sono talmente prive di senso che non possono essere confrontate con nessun criterio di verità e di esistenza. [...]. Non è senza grave pericolo per la salute individuale e sociale che si pratica la follia collettiva. L’abitudine a sentir dire qualunque sciocchezza ha aperto la via comoda e facile ai politici, che hanno perfezionato quel linguaggio: i loro discorsi, poco utili per l'intelligenza dei problemi dei quali pretendono trattare, basati sull’accordo di sentimenti procacciato con ogni mezzo verbale, sono uno scatenamento di aberrazione» (Gian Franco Pompei, Un ambasciatore in Vaticano. Diario 1969-1977, Il Mulino, 1994, pp. 463-464).
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