mercoledì 16 ottobre 2013

Evangelizzazione mercificata

~ L’IRA DI ALCUNI FRATI QUATTROCENTESCHI: 
LE FORME DEL COMUNICARE NON SONO NEUTRE ~

Mentre si comincia a rimpiangere il libro a stampa, minacciato dall’elettronica, dallo schermo con le immagini virtuali, una raccolta antologica edita da Marsilio nel 2011 (Stampa meretrix, con il sottotitolo «Scrittori quattrocenteschi contro la stampa», a cura di Franco Pierno) ricorda che non si tratta di nostalgia, che già ai frati e ai laici del Quattrocento italiano risultava chiaro e irritante il processo di mercificazione che si accompagnava alla divulgazione culturale. Ovvero i pericoli, cioè i travisamenti, della diffusione evangelica dentro l’universo delle merci. Tema molto attuale. 

L’ostilità di questi colti del XV secolo, per lo più appartenenti al clero, nei confronti del nuovo modo di pubblicare non derivava da uno spirito aristocratico che difendeva i privilegi del proprio ceto, al massimo lo spirito aristocratico permetteva loro di scorgere, dietro le buone intenzioni, il travisamento della funzione culturale. Né si trattava di censure dei contenuti, del paganesimo che pur si affacciava all’alba del nostro Rinascimento, quanto della facilità d’acquisto dei nuovi libri. Sì, del commercio che si avviava con rapidissimo sviluppo, degli incunaboli dell’industria culturale. Di questa facilità il libro a stampa si avvantaggiava rispetto al manoscritto. E la facilità è termine sdrucciolevole, conduce a un cammino contrario a quello dei veri umanisti che inalberano sui loro vessilli il motto «per aspera ad astra» o «ad augusta per angusta». Il libro, riducendosi a merce, perdeva strada facendo la sua sacralità (i suoi epigoni massmediatici la ignorano addirittura). Il sapere e la tradizione venivano così minati alla radice. «Est virgo haec penna, meretrix est stampificata», sintetizzava il domenicano Filippo della Strada. La stampa – dice il curatore del librino –, «dotata del potere di manipolare e corrompere in modo sistematico le coscienze», diventava per i pii frati «una sorta di flagello apocalittico, di segno della fine dei tempi». 

Se Marsilio Ficino riteneva che l’invenzione di Gutenberg fosse una delle prime grandi imprese dell’età dell’oro all’orizzonte, i frati detrattori della stampa sembrano propagandare la diffidenza verso gli strumenti del comunicare, diffidenza che sarà ripresa e insegnata magistralmente nella nostra epoca da uno studioso cattolico degli umani linguaggi: Marshall McLuhan. Fu lui a sottolineare l’onnipotenza della vista che derivò dall’avvento della stampa (altro che le semplificazioni libro vs televisione!) e la lenta distruzione della cultura orale, dei segreti confidati tra eletti nell’accademia platonica. Allora, spogliato del manto inattuale, della tecnica salmodiante, succube dunque delle forme misere e ingannatrici imperanti nell’epoca, che fine farà il messaggio evangelico? Cibo per onnivori consumatori, in gara nelle classifiche dei più venduti, come accade per gli scritti del vescovo alla moda? Anche la sua irriducibile speranza sarà annullata dal ‘sempreuguale’ veicolato dai nuovi media? 

I severi critici del XV secolo guardavano con una certa avversione alle rilegature, alle copertine seducenti, all’arte tipografica, agli ammiccamenti editoriali, non per puritanesimo estetico, per insensibilità a queste guarniture (atteggiamento invero poco cattolico) ma perché tali addobbi erano finalizzati alla vendita dell’oggetto-libro. Gi stampatori diventavano i nuovi padroni delle cose scritte, e pur di vendere i libri costruivano un pubblico dove la moneta cattiva scacciava quella buona. Editori e venditori costituivano un piccolo sistema commerciale. I librai – afferma uno dei frati – «corrompono i cuori innocenti». Da Cervantes a Flaubert, saranno poi i romanzieri a narrare di queste creature semplici e dei loro naufragi per colpa della carta stampata. E «tuttavia gli sciocchi (diciamolo pure: gli asinelli)» si beano di tale merce editoriale scadente. Anticipando le metropoli di massa, un contemporaneo del Beato Angelico scriveva: «Le opere a stampa creano una città senza soldi e senza cuore». 

Il ritornello che proponevano i nemici del torchio ripeteva: si preferisce «un piccolo libro scritto col calamo a cento stampati alti quanto mai». Tutta la nostra cultura attuale dovrebbe riflettere sulle parole di un domenicano di sei secoli fa: «Non devi forse definire prostituta quella che simula di amarci tanto, dedita solo al guadagno rapace?».

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