E QUANDO SI ACCORSERO D’ESSERE TUTTI
DEVOTI DI EIRENE. ~ «Il
‘900», IV PUNTATA ~
Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo
scorso. Le puntate precedenti qui qui e qui.
Quando
ancora sopravviveva una qualche forma di solidarietà religiosa, sia pure nella
versione più laica, i genitori assistettero con angoscia e con fede alla
partenza dei loro figli per la guerra, e questi trovarono ragionevole
partecipare al conflitto del mondo come volontari, rischiando con buona
probabilità di incrociare la morte.
PACIFISMI
- Francia 1936. «Non ci riusciva facile valutare il peso di quelle voci che si
inebriavano per la settimana lavorativa di quaranta ore e ignoravano che in
Germania si lavorava intorno alle sessanta ore. E neppure l’influenza di quei
sognatori che non si facevano scoraggiare nel loro antimilitarismo e
continuavano a pretendere che la linea Maginot fosse smantellata: il riarmo a
tappe forzate della Germania nazista non li toccava affatto. C’era da
disperarsi». Willy Brandt scriveva così nelle sue Memorie. Chi scriverà dei ‘cortei per la pace’ che volevano
smantellare la linea Maginot dei missili puntati sull’Urss? Chi racconterà
delle epiche battaglie italiane contro il tycoon televisivo, fino alla vittoria
totale, mentre si proclamava la trattativa estrema se non la capitolazione verso
gli Stati più violenti del pianeta? Realisti, senza emozioni, senza lanciare
proclami, solo di fronte all’esercito serbo che massacra intorno e dentro il Grande
Lager di Sarajevo, appena sull’altra riva della Romagna in festa.
Anche i
bambini capiscono dai libri di storia della scuola primaria come la bilancia
della pace e della guerra, della trattativa e dell’oltranzismo, oscilli a seconda
delle circostanze politiche. Gli americani dovevano combattere fino alla resa
totale di Germania e Italia, guai a chi avesse parlato di trattative, di morti
da evitare, di bombardamenti da sospendere, perfino la bomba atomica era
accettata pur di distruggere il terzo alleato del Patto d’Acciaio. Dopo di che
l’atomica diventava il simbolo della distruzione della madre terra e quindi
scendeva su di essa il tabù, nessun essere umano poteva pensare di ricorrere a
un’arma simile. Naturalmente scervellato e criminale doveva apparire chi
pensava di prendere le armi per rispondere alle striscianti occupazioni russe e
cinesi, e addirittura come un mostro politico era raffigurato Israele che non
accettava, per amore della pace, la
capitolazione e lo scioglimento dello Stato (senza sottilizzare sulla sorte di
quei milioni di ebrei in Medio Oriente, una volta consegnate le armi agli arabi).
BONTÀ -
Si cade spesso in baratri demoniaci per le tentazioni della Bellezza e della
Bontà. I misfatti del XX ebbero i loro aedi e filosofi e volgari giustificatori
tra gli uomini incantati da queste due divinità. Talvolta si ebbero
contraddittori atteggiamenti: si restò affascinati dalla bellezza della faccia
cattiva per troppa bontà, come ammetteva il povero B.B. Nulla, infatti, era
proporzionato alle infinite ingiustizie
del passato e qualsiasi violenza nuova non riusciva mai a riequilibrare la
bilancia della Storia né a strappare le brutture del mondo, le storture che lo
rendono asimmetrico e disarmonico.
BENE
COMUNE - «… gli antichi, una volta che
un’entità ideale avesse trovato una determinata raffigurazione materiale, la
rispettavano scrupolosamente. […] Il motivo è evidente: senza questa uniformità
non è possibile una interpretazione concorde» (Gotthold Ephraim Lessing, Come gli antichi raffiguravano la morte,
1769).
LA DISFATTA - Quando l’impero sovietico precipitò, i suoi feudatari
occidentali furono inchiodati ad alcune meditazioni: chi aveva lottato per la
«distensione» non si era forse ingannato sulla natura di questa potenza, tigre
di carta che, come volevano i falchi, bastava stringere all’angolo per portarla
a una rapida resa? Non si sarebbe meglio contribuito, così facendo, alla pace
mondiale e alla libertà dei popoli che gli erano sottomessi? Come al tempo del
Patto di Monaco, non furono proprio quelli del partito della moderazione con i
prepotenti a favorire le peggiori conseguenze belliche? Non sono domande facili
come sembrano.
SUSSULTO
- È in corso una resipiscenza a proposito della violenza. Dopo avere invocato
per un ventennio il dio Marte nelle città d’Europa, dopo essersi ispirati alle
rivolte sanguinarie sudamericane, fantasticato di assedi contadini alla
metropoli industriale, benedetto perfino le sparatorie di quartiere, adesso è tutta
una celebrazione dell’irenismo. Nuove formazioni militanti scalano palazzi
rinascimentali, sabotano i party nelle ambasciate francesi, dichiarano guerra
al governo di Parigi. Qual è il pericolo che squassa la terra e minaccia
l’umanità? Pesci tropicali e acque marine trasparenti corrono dei rischi in un
angolo del Pacifico per colpa del presidente francese, faccia da bon vivant,
che vuole saggiare le armi nucleari dell’invecchiatissimo suo arsenale.
Potrebbero questi intrepidi combattenti in favore dei Tropici giurare sulla
loro coscienza che con il bazar atomico istallato nell’ex impero sovietico,
parzialmente in mano ad anonimi avventurieri privati, non risultino utili nei prossimi anni questi
esperimenti finalizzati alle armi di dissuasione? Chi può escludere ricatti
atroci che non si respingono con il dialogo e le buone intenzioni? Ma il solo
pensiero di antichi esperimenti con l’atomo su isole felici fa correre un
brivido tra i frequentatori dei salotti planetari che custodiscono
l’«ambiente». E la gioventù più avventurosa dell’Occidente si incarica di
giocare alla guerra con la
Francia gaudente. Ci si potrebbe accontentare di un decimo di
questo sdegno per impiegarlo utilmente a favore degli assediati di Sarajevo. Ma
là c’è una guerra vera, il gioco non vale, la realtà supera la virtualità. Per
le anime belle meglio la guerra ai vini francesi. Come nell’operetta, senza
morti né feriti. Guerricciole disarmate.
PACIFISMI/2
- Avere urlato alla minaccia totalitaria, con tanto di dittatura alle porte,
soltanto perché nella Penisola al posto di vecchi maneggioni arrestati
sopraggiungevano al potere giovani senza esperienza di governo ma con voglia,
fino ad ora frustrata, di metter le mani sul tesoro; avere evocato le tecniche
goebbelsiane per la campagna elettorale del re delle televisioni in versione
politica, proprio mentre un inferno a cielo aperto ricorda con dettagli assai
precisi e terrifici i Lager degli anni Quaranta, potrebbe apparire ai posteri
(che forse però saranno – chissà? – più
cinici dei nostri contemporanei) anche un crimine. Sventurati bosniaci,
sventurati per essere europei ma non cristiani, musulmani ma non arabi, privi
del clamore del Vietnam dal momento che non sono in scena gli americani, privi
di una buona causa, privi dell’esotismo della lontananza. Nessuna potenza
appoggia dei miserabili in stato d’assedio, i giovanottoni delle truppe Onu li
consegnano direttamente ai loro nemici. Guerre pacifiste.
NATI
IERI - C’erano in Italia dei marchi politici assai antiquati: «comunisti»,
«fascisti», «mazziniani», «cattolici democratici»… Un po’ Risorgimento e un po’
primo Novecento. Hanno fatto un restyling, le bandiere sono cambiate tutte, i
colori sono stati corretti, ma il personale è rimasto lo stesso, o quasi.
Tagliati
i ponti con ogni tradizione, ci si presenta come orfanelli vezzosi ma l’unica
cosa che ancora ci accomuna in tanto spaesamento è lo scontro fratricida come
Leitmotiv nazionale.
ASSOLUTISMI Stato assoluto, umanesimo ‘integrale’,
religione senza Dio.
ANTI -
Che fuori dalla guerra ci si organizzi politicamente intorno a qualsiasi parola
che contenga un prefisso anti è cosa sommamente ridicola. Ma nel
nostro linguaggio c’era un aggettivo che riportava all’ordine quel prefisso. A
chi infatti pretendeva criticare radicalmente il sistema russo si apponeva l’aggettivo
«viscerale» in modo da non esagerare. Si raccomandava insomma il realismo
politico, quel po’ di diplomazia che avrebbe evitato il cattivo gusto della
battaglia militante, una volta tanto considerata come fanatismo sgraziato.
Anche gli storici dovevano valutare i tiranni bolscevichi con il massimo di
freddezza, senza coloriture morali ma, se lo stesso metodo fosse stato
applicato alla Germania della Seconda guerra mondiale, ecco spuntare per loro l’accusa
senza remissione di «revisionismo». In ogni caso non c’era mai solidarietà
piena con le vittime dell’esperimento marxista perché esse erano una pietra di
inciampo nella costruzione radiosa della umanità.
I
FLAGELLI - Dopo l’esplosione della patria internazionalista si è aperto il vaso
di Pandora dei nuovi mali. Non si tratta della punizione per avere osato
distruggere il paradiso in terra, casomai è la conferma terribile che i
paradisi in terra esplodono e i frantumi incandescenti ricadono sul mondo
sgomento.
CIRCOLO
VIZIOSO - «In Europa per loro la partita è persa. Almeno per cinquant’anni non
ci saranno più». E anche: «Se il pericolo li deprime, al minimo successo non
temono più di nulla. È la più completa leggerezza e mobilità». Si diceva così
dei liberali dell’Ottocento. Oggi lo si può ripetere per chi credette nella
liberazione ex Oriente.
LA VOCE DI VICHY - La sottolineatura krausiana dell’indifferenza dei
giornali nel «lanciare una guerra o un’operetta» mette in luce con i moderni evidenziatori
traslucidi i titoli delle gazzette contemporanee. Gli assediati di Sarajevo
sono bilanciati dalle file ai caselli e dai primi temporali che rompono
l’estate. Ricordano desolanti fogli di Vichy che informavano pedantemente su
viaggi forzati in Germania, battaglie della guerra mondiali, malinconiche
conferenze del professor X sul platonismo provenzale, applauditi concerti di
mademoiselle Y alla sala comunale, incidenti di ciclisti sulla strada
provinciale, tutto uguale come all’Inferno.
COLPE -
L’Illuminismo rende naturale la morte fino ad allora causata da colpe, magie
malriuscite, malefizi. Nello stesso tempo rende la società colpevole di magie e
malefizi. Sennonché nessuna colpa ‘laica’ può assurgere all’importanza di
quella che causa la morte. Ragion per cui la spiegazione religiosa della morte
torna a sedurre…
TOLLERANZE
- La tolleranza islamica, la fama che si è conquistata, non deriva forse dal
fatto che Maometto prescrisse di non convertire in ogni caso l’infedele bensì
di limitarsi talvolta a sottometterlo? Non convertire, non agire sulla sua
coscienza definitivamente reietta ma sottoposta a pressioni fiscali in modo di
pagare il fio della sua natura di sottouomo, non degno di evangelizzazione, di
attenzione…
SADISMI
- In quale altra parte del mondo sviluppato – oltre all’Urss al suo tramonto –
si patì un anno di totale isolamento e altri dieci di lavoro forzato per avere
richiesto un passaporto per Israele? Perché allora di fronte a crudeltà di
porno scrittorelli, e per di più verso ebrei che già ne avevano passate tante,
in Occidente si fu così tiepidi? Perché i più sensibili alle sventure umane non
apposero il loro nome e cognome sotto un appello vibrante in appoggio di chi
chiedeva nient’altro che un documento di identità per andarsene? Perché nessuna scuola fu occupata in favore
della libertà di migrare? Come mai neppure i claustrofobici ritennero di
solidarizzare con chi era incarcerato duramente per aver voluto scappare via da
una cella eterna? Neppure i facinorosi Robin Hood delle periferie scesero in
piazza, organizzarono un concerto o tracciarono una scritta sui muri già tanto
martoriati delle nostre città.
DEFINIZIONI
- Quando Willy Brandt, borgomastro della Berlino eroica prima che tessitore
della Ostpolitik, chiese ai suoi alleati un aiuto contro i Vopos che alzavano
un muro per dividere in due la capitale tedesca era forse un bieco oltranzista?
Un alleato della reazione mondiale? Un guerrafondaio che scherzava con il
fuoco? Un servo del capitalismo perché non si piegò al filo spinato? Questioni
bizantine di terminologia. E bastò al gruppo di dissidenti italiani, poi
espulsi dal partito, la riserva mentale per cui quello sovietico non era il
comunismo autentico a salvarli dalle cattive compagnie pur avendo fatto denunce
impeccabili dei mali dell’Est?
Ci fu
una critica di Mosca che salvava Pechino, una scelta spregiudicata tra due
tirannie. Così alcuni preferirono i cinesi perché più estremisti nella teoria
(e nei numeri assoluti degli sterminati). E capitò che futuri irenisti
approvassero e teorizzassero a loro volta l’eventualità di una Terza guerra
mondiale, promossa dai marxisti asiatici, che avrebbe travolto insieme i
vincitori della Seconda, americani e russi.
IL
PASSATO - Quando il Mondo dei Morti
parla e dà ordini ai vivi, quando impone le sue regole sui viventi, si può
parlare di una forma di tradizione? E il Vangelo che insegna a «lasciare che i
morti seppelliscano i morti» si ribella a questa tradizione? Eppure l’ordine
nuovo che si contrappone al passato e alle richieste dei trapassati si presenta
come un tradimento, produce terribili angosce. Ed ecco che ogni sopravvissuto,
testimoniando sul passato, raccontandolo sia pure per frammenti, mitiga la
violenza della novità con l’affettuoso rispetto per gli avi scomparsi.
IL
PIACERE DI CONDANNARE - Elias Canetti tocca un nervo scoperto della cultura:
«Il piacere di esprimere una sentenza negativa è sempre inconfondibile […]. Ci
si eleva svilendo gli altri. […] In ogni caso egli si annovera tra i buoni».
Non riguarda soltanto l’atroce mestiere del giudice, qui cominciano le
disavventure del cosiddetto «pensiero critico», le sue facili degenerazioni.
ANCIEN
RÉGIME - Gli atei? Sostenitori della sovranità assoluta della Morte.
PICCHI
- Talvolta viene da fantasticare su un maturo conservatore bismarckiano che a
un certo punto si imbatte, sul finire dell’Ottocento, nelle teorie di
Nietzsche, negli scritti pubblicati a proprie spese del professore di Basilea:
wagnerismo filosofico, eccitata presunzione giovanile di essere a un passaggio
d’epoca, forse una vena di follia ereditaria – avrà borbottato. Senza ricorrere
all’esuberanza indiana dell’eterno ritorno, la circolarità del balletto umano
era garantita ai suoi occhi dalla tradizione familiare, dai prosaici rogiti che
attestavano possedimenti stabili nelle variazioni bizzose del tempo, dalle
storie degli antenati che ripetevano a distanza di secoli gli stessi peccati di
debolezza amorosa o di crudeltà, con analogie così precise da fare irridere
ogni ripartizione definitiva d’epoca, e da schiudere continue vie di fuga à rebours. Si sapeva che soltanto le
vecchie dame civettuole e gli altalenanti giovinetti si consolavano con
l’unicità del tempo dei loro vent’anni (per quanto protratti), la saggezza
dell’età di mezzo consigliava un po’ di scetticismo a proposito dello sfondo
storico cui è dato di vivere. Non avrebbe sospettato, il nostro gentiluomo, che
il pensiero conservatore, di lì a poco, sarebbe stato irretito dagli squilli
rivoluzionari, dagli annunci di un’èra completamente nuova, senza più metafisica,
con forti dubbi anche sulla dimensione umana. L’Apostolo di Zarathustra
credeva di essere sul picco dei secoli,
diventò poeta di quella escursione storica. I suoi esegeti presero alla lettera
le parole oracolari: fatti rapidi conti, stabilirono di essere giunti al
meridiano zero. E la prima parte del Novecento si trovò dinanzi a una filosofia
che si voleva più radicale di ogni rivoluzione, compresa quella di Mosca che
prometteva un totale rovesciamento della storia. Orda orientale e pensiero
germanico per lavorare ai fianchi l’attempata società borghese. Così, nella
gara al maggiore estremismo giocata dalle avanguardie sopraggiunsero i tanks
filosofici tedeschi e azzerarono tutto. Con gli occhiali nietzscheani si poteva scorgere nichilismo dappertutto. Nel
paesaggio eroico, militarizzato, degli anni Trenta, e in quello colmo di
macerie del dopoguerra, nel deserto del più scientifico sterminio di umani o
nel malinconico scenario dell’affondamento degli imperi, con i bagliori
nucleari ancora minacciosi, le previsioni dei devoti di Zarathustra sembravano
avverarsi. Stato mondiale – auspicato o temuto, non importa –, «guerre
cosmopolite», fine del mondo millenario. Poi rispuntarono le questioni
nazionali, anche nei cortili nostrani del Tirolo, riapparve perfino l’egemonia
tedesca, e il conservatore misteriosamente sopravvissuto avrà sorriso sotto i
suoi baffoni dell’altro secolo. Insomma, terminati i fracassi della guerra
mondiale della cultura, della mobilitazione generale dei cosiddetti
intellettuali, ci si accorse che la borghesia, per quanto esteticamente
malconcia, resisteva. I superuomini profetizzati si trovano soltanto tra gli
eroi dello sport, protesi a imporre nuovi record sempre più distanti dalla
natura umana. Ma si tratta di esseri cresciuti all’ombra della tecnologia,
meglio: di prodotti tecnologici per la gioia dello spettatore televisivo
accovacciato sul sofà.
Non
accadde forse lo stesso per le tinte criminali dei testi surrealisti, con tanti
eroi negativi onde rendere ancora appetibile una letteratura illanguidita?
Polemizzerà in seguito con i suoi ex confratelli Roger Caillois: «Predatori di
cadaveri col pubblico consenso, pretendete di passare anche per eroi e di fare
del vostro cinismo una virtù supplementare della vostra arte». Per forza di cose
il pensiero anglosassone si offriva come una tisana onde smorzare tanta enfasi
apocalittica. «Niente» divenne intanto un intercalare ossessivo del gergo
adolescenziale, punto di appoggio per sostenere un discorso balbettante,
confuso dalla timidezza, una parola non da poco per minimizzare.
(4.- continua)
Nessun commento:
Posta un commento