Per celebrare il primo secolo della pubblicazione del Manifesto futurista, in Italia impazzano le commemorazioni stracittadine. Con la scusa del mito della velocità, diffuso da quel drappello di eroi fulminei, le pubbliche istituzioni che vogliono darsi un tono se la cavano con le corse podistiche. Si ricorda con acida pignoleria storicista, e con una scorta di antiquari, un gesto giovanile contro la storia. Una commemorazione a cento anni di distanza è quanto forse li irriterebbe di più. Furono una meteora e così vollero apparire. Già alla fine della Prima guerra mondiale, quando de Chirico e de Pisis passarono a trovare Marinetti nella sua casa milanese ebbero l’impressione di un uomo d’altri tempi, come di una diva sopravvissuta alla sua fama e al suo mondo, lasciarono scritto malignamente i due artisti. Anche la mostra romana inaugurata ieri alle Scuderie del Quirinale ci riportava a epoche lontanissime e, soprattutto le sale del piano superiore, dedicate alla diffusione del verbo marinettiano nell’arte europea, spargevano un’aria cupa, vi regnava la visionarietà da trincea. Una metamorfosi della gioia divina che in questi ambienti fuoriusciva dai quadri di Bellini ancora un mese fa.
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Tra qualche ora, nella città eterna poco amata dai velocisti si festeggia il futurismo con una freddissima ‘notte bianca’ ancora più miserella del solito, ed è proprio una cattiveria nei loro confronti, forse una vendetta. Ma anche l’ennesima conferma dei contraddittori esiti delle avanguardie: nate nella torre eburnea esoterica, finirono en plein air nel coincidere con i più sguaiati riti di massa, quel cult che è già un marchio di ignominia. La gloria delle avanguardie storiche del resto passò più rapidamente, come si addiceva ai loro ritmi. Il modernismo è subito decrepito.
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Stanotte si avranno le processioni democratiche per una squadra di ragazzi violenti poco consoni alle idee oggi dominanti: guerrafondai, nazionalisti, schiaffeggiatori di pacifisti nelle aule universitarie; e Marinetti, il loro leader, un miliardario che sapeva assoggettare i media, andò in giro con la pistola in pugno per le strade di Milano a caccia di socialisti. Ma il mercato culturale, si sa, con le sue ricorrenze, i suoi libri, i cataloghi, le mostre, i documentari, annacqua tutto. A quando, dunque, un tè di vecchie dame per il compleanno di Nietzsche, una partita di calcetto all’oratorio per qualche anniversario del marchese de Sade, una dedicazione di una scuola elementare a Gilles de Rais, una bocciofila intitolata a Gottfried Benn o un canile municipale a Hermann Nitsch?
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