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I giornali di sinistra, «Repubblica» in testa, riportano oggi con grande enfasi, almeno nella versione online, le parole del papa. Che nel giorno della Pentecoste ha condannato le «immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna». Chissà se aveva in mente la Biennale che si apre nei prossimi giorni con le sue icone del nichilismo, o i magazines che le fanno eco, o i musei contemporanei, insomma l’immaginario esaltato quotidianamente da questi giornali. Ci si sarebbe aspettati una immediata controffensiva verso un professore tedesco tanto retrivo, magari con il concorso di qualche lazzo dei comici di turno. Invece stavolta, pur di asservire le parole ratzingeriane alla loro campagna politica in difesa dei «valori», che adesso sembrano oltremodo trendy in quegli ambienti, i laici relativisti si sono fatti zuavi pontifici. Anche qualche giorno fa, gli zuavi erano partiti all’attacco delle misure governative sull’immigrazione in nome della Chiesa, equivocando magari le dichiarazioni discutibilissime di un vescovo con il magistero di Roma. Le battaglie sguaiate, il condom negli stendardi al vento, contro Benedetto XVI che difendeva l’Africa da quella caricaturale identità fornitale dai cinici eurocrati sono ormai lontane. Adesso torna comodo un papa ridotto ad agitprop di questioni vernacolari. Strumentalizzazione che ricorda quando, mezzo secolo fa, la stampa al servizio dei sovietici commentava angelica l’udienza concessa dal papa al genero di Chruščёv, confondendo a bella posta l’attività politica della Santa Sede e il messaggio evangelico. Come sovrano di uno Stato, Gregorio XVI incontrava a Roma lo zar che perseguitava i cattolici polacchi, e Giovanni XXIII dialogava con il successore di Stalin che massacrava i cristiani d’ogni confessione. Storicamente discutibili, non tutti eroici come Pacelli che disse ai potenti dell’epoca cose che nessun altro osò dire nel mondo, non è tuttavia questo il compito del vicario di Cristo. Dal momento che la sua Chiesa non è «una sorta di agenzia umanitaria», come giustappunto ha ricordato il papa oggi in un altro passaggio della sua omelia. I discorsi di circostanza possono pure piacere ai media, quasi fossero quelli del segretario dell’Onu, e si prestano a essere sfruttati giocando sull’allusività. È quando parla ex cathedra che il sommo pontefice romano enuncia le verità più scomode al mondo che non vuole sentire. Quando ripete che non può piegarsi alle soluzioni facili del moderno, indicandone anzi le vittime innocenti. Quel non possumus è il prezzo che la Chiesa paga per la sua resistenza all’idolatria del desiderio. Appena lo sentono, gli zuavi della Gauche passano subito dall’altra parte, sparando sull’Inattuale.
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