minima / The Great Swindle
Fa freddo, un ottobre così invernale non si vedeva da tempo; sembrano un ricordo le ‘ottobrate romane’ che incantavano i viaggiatori stranieri. In una pagina celebre, Stendhal raccontava di come uscisse presto di casa per non soffrire lungo la via il caldo di mezzo ottobre e, una volta raggiunto il Gianicolo, si affacciasse per contemplare la città sotto un «sole magnifico» e sentire nel corpo un «delizioso tepore», accarezzando la felicità.
A Boston la settimana scorsa nevicava, in mezzo mondo c’è un’ondata di gelo. Per carità, niente di strano, sono capricci di stagione. Sennonché su questi capricci si è costruita una impresa ecologica di miliardi di dollari che potrebbe cambiare l’economia dell’Occidente. Ma nonostante gli immensi interessi in gioco, la stampa internazionale comincia a smentire timidamente la crociata di un Nobel in catastrofismo (quello degli svedesi è ormai un vero e proprio premio al contrario). D’altronde è duro annunciare le temperature tropicali quando si tirano fuori in anticipo i cappotti dagli armadi. L’altro giorno, sotto la sferza del freddo, «Le Monde» informava a tutta pagina e con un certo candore che il surriscaldamento progressivo della Terra «segna una pausa». Comicissimo titolo, come dire: l’Apocalisse interrompe per qualche anno i suoi lavori. Forse non mancano più novantanove mesi alla fine del mondo, così come forse non moriremo a causa della pandemia influenzale prevista per questo autunno. A lungo andare, la fede in queste simulazioni scarseggerà. Chi crederà più al «grande caldo»?E al ruolo antropico?«Post-umani», diceva il linguaggio in voga, ma poi si gonfiavano i petti, convinti di mutare il corso delle stagioni, quasi si fosse tutti dei demiurghi.
C’è aria di immiserimento in giro. Non si dice miseria, il pane non manca ma lo spettacolo dei negozi senza clienti turba il mancato acquirente, non funziona più bene il sistema del consumo. Così anche l’arricchimento progressivo del mondo sembra rimandato. Serpeggia qualche paura nei branchi dei modaioli. Anche in questo caso, la simulazione, quella estetica, perde i suoi fedeli. L’economia della cultura in tempi di vacche magre fa la figura di un norcino in un paese di vegetariani. Mondadori arriva in ritardo e pubblica il libro di un certo Donald Thompson, divulgatore di segreti economici, che si fa forte delle iperboli e spara nel titolo Uno squalo da 12 milioni di dollari. Ma ormai l’attrazione per il mondo degli affari anni Ottanta è in declino, i banchieri sono i nuovi orchi e il pubblico sempliciotto di tali traffici si allontana disgustato. Restano manuali effimeri, scritti senza vita. Uno li guarda in libreria, dà un’occhiata al risvolto e li rimette subito nello scaffale con la mano un po’ schifata.
Dei ragazzotti pieni di droga e di soldi, i Sex Pistols, fecero un film negli anni Settanta, The Great Rock’ n’ Roll Swindle. La trama, condita con l’autoironia dei piccoli cinici, era semplicissima: storia di un successo strepitoso arriso a una band che non sapeva suonare; di loro stessi, cioè, la fabula narrava. L’astuzia consisteva nel conquistare il pubblico denunciando le manipolazioni dell’industria del successo. Si sentivano furbissimi. Stupidi, quanta boria! Il rock’n’roll era un imbroglio di poco conto in confronto alla grande truffa planetaria. «Global warming», «Contemporary Art», secondo il latinorum da call center, sono ben più portentose invenzioni per muovere capitali. La prima usa il terrore come arma di ricatto fantascientifico, la seconda usa il terrore come arma per immobilizzare e deprimere. Il mondo sarà bruttissimo, pagate per salvarlo – così il messaggio ambientale; il mondo è bruttissimo, questa non-arte è il segno del «tempo della fine», pagate per goderne – così il messaggio estetico. Piccole crepe però si aprono in tali credenze coatte.
Fa freddo, un ottobre così invernale non si vedeva da tempo; sembrano un ricordo le ‘ottobrate romane’ che incantavano i viaggiatori stranieri. In una pagina celebre, Stendhal raccontava di come uscisse presto di casa per non soffrire lungo la via il caldo di mezzo ottobre e, una volta raggiunto il Gianicolo, si affacciasse per contemplare la città sotto un «sole magnifico» e sentire nel corpo un «delizioso tepore», accarezzando la felicità.
A Boston la settimana scorsa nevicava, in mezzo mondo c’è un’ondata di gelo. Per carità, niente di strano, sono capricci di stagione. Sennonché su questi capricci si è costruita una impresa ecologica di miliardi di dollari che potrebbe cambiare l’economia dell’Occidente. Ma nonostante gli immensi interessi in gioco, la stampa internazionale comincia a smentire timidamente la crociata di un Nobel in catastrofismo (quello degli svedesi è ormai un vero e proprio premio al contrario). D’altronde è duro annunciare le temperature tropicali quando si tirano fuori in anticipo i cappotti dagli armadi. L’altro giorno, sotto la sferza del freddo, «Le Monde» informava a tutta pagina e con un certo candore che il surriscaldamento progressivo della Terra «segna una pausa». Comicissimo titolo, come dire: l’Apocalisse interrompe per qualche anno i suoi lavori. Forse non mancano più novantanove mesi alla fine del mondo, così come forse non moriremo a causa della pandemia influenzale prevista per questo autunno. A lungo andare, la fede in queste simulazioni scarseggerà. Chi crederà più al «grande caldo»?E al ruolo antropico?«Post-umani», diceva il linguaggio in voga, ma poi si gonfiavano i petti, convinti di mutare il corso delle stagioni, quasi si fosse tutti dei demiurghi.
C’è aria di immiserimento in giro. Non si dice miseria, il pane non manca ma lo spettacolo dei negozi senza clienti turba il mancato acquirente, non funziona più bene il sistema del consumo. Così anche l’arricchimento progressivo del mondo sembra rimandato. Serpeggia qualche paura nei branchi dei modaioli. Anche in questo caso, la simulazione, quella estetica, perde i suoi fedeli. L’economia della cultura in tempi di vacche magre fa la figura di un norcino in un paese di vegetariani. Mondadori arriva in ritardo e pubblica il libro di un certo Donald Thompson, divulgatore di segreti economici, che si fa forte delle iperboli e spara nel titolo Uno squalo da 12 milioni di dollari. Ma ormai l’attrazione per il mondo degli affari anni Ottanta è in declino, i banchieri sono i nuovi orchi e il pubblico sempliciotto di tali traffici si allontana disgustato. Restano manuali effimeri, scritti senza vita. Uno li guarda in libreria, dà un’occhiata al risvolto e li rimette subito nello scaffale con la mano un po’ schifata.
Dei ragazzotti pieni di droga e di soldi, i Sex Pistols, fecero un film negli anni Settanta, The Great Rock’ n’ Roll Swindle. La trama, condita con l’autoironia dei piccoli cinici, era semplicissima: storia di un successo strepitoso arriso a una band che non sapeva suonare; di loro stessi, cioè, la fabula narrava. L’astuzia consisteva nel conquistare il pubblico denunciando le manipolazioni dell’industria del successo. Si sentivano furbissimi. Stupidi, quanta boria! Il rock’n’roll era un imbroglio di poco conto in confronto alla grande truffa planetaria. «Global warming», «Contemporary Art», secondo il latinorum da call center, sono ben più portentose invenzioni per muovere capitali. La prima usa il terrore come arma di ricatto fantascientifico, la seconda usa il terrore come arma per immobilizzare e deprimere. Il mondo sarà bruttissimo, pagate per salvarlo – così il messaggio ambientale; il mondo è bruttissimo, questa non-arte è il segno del «tempo della fine», pagate per goderne – così il messaggio estetico. Piccole crepe però si aprono in tali credenze coatte.
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