~ DIVAGAZIONI SULLA LITURGIA DELLA DOMENICA DELLE PALME. ~ LA PAROLA E L’IMMAGINE, LA MISTICA E IL LOGOS. ~ UNA ESPOSIZIONE A TORINO RACCONTA COME LA BELLEZZA FU ILLUMINATA DALLA DIVINA INCARNAZIO NE ~
La Domenica delle Palme, secondo il rito Vetus Ordo, dei drappi viola nascondono alla vista le immagini sugli altari ma la parola evangelica, il racconto della Passione, nel canto a varie voci della Messa solenne – da lì sarebbero scaturiti quei capolavori della musica d’Occidente che sono la Matthäus-Passion e la Johannes-Passion di J.S.Bach – sostituisce la Biblia pauperum, egemonizza tutti i sensi. La parola e l’immagine non sempre vanno d’accordo. Si intrecciano nei rebus o nei più delicati calligrammi, e nei suoi derivati come certi quadri di Magritte, ma talvolta ricordano il cieco e lo zoppo che si accompagnano per rimediare alle loro infermità.
È lecito che in straordinari momenti tragici l’arte pittorica accenni a una resa, mostri l’impotenza delle umane tecniche a dar conto di quello che va al di là della nostra vita, a rappresentare quanto sfugge ai sensi. L’impossibilità di rappresentare non è pertanto riducibile al manierismo dell’ornamento, alle composizioni di colori insensate, agli svolazzi che seguono l’orlo del capriccio, bensì si traduce nel silenzio, nel nascondimento dell’immagine, nel velato. Così come l’indicibile nella scrittura non mimerà le balbuzie e le insensatezze degli ubriachi ma lascerà uno spazio bianco dopo il punto che mette termine a un discorso.
Dante è un luminoso esempio di chi si spinse fino alle regioni supreme, tentando allo stremo di descrivere, raccontare, dire, appunto. Se accostandosi ai discorsi fondamentali, come di fronte alla morte o alla violenza dispiegata, può venir meno la parola o l’immagine non riesce a trovare una forma, subito dopo torna a imporsi il Logos. Altrimenti si sarebbe dannati alla stoltizia eterna. La mistica non prescinde dal racconto storico né sostituisce il Vangelo e il suo commento. Altrettanto si può dire della pittura: ecco le immagini velate dei giorni luttuosi nel calendario liturgico, poi dovrà tornare al suo immenso compito, illustrare la narrazione evangelica e la testimonianza di essa nel corso dei secoli, sostanziare il discorso della incarnazione, incarnare cioè le parole salvifiche. Guai se, come certe immagini moderne, mostrassero per tutto l’anno, davanti ai fedeli genuflessi, l’impotenza di parlare delle cose celesti, l’intraducibilità dei discorsi che il Figlio dell’uomo fece in modo piano ai suoi contemporanei. «A sua immagine» non può divenire uno sgorbio mistico, la caricatura del discutibile aforisma di Wittgenstein che sbarra la strada al pensiero, di quel cartello stradale del nichilismo già assai buffo di per sé.
La Domenica delle Palme ci racconta anche di piccole folle che accorrono nelle strade di Gerusalemme perché vogliono vedere il messia. Non bastava loro una icona ascetica, una comunione spirituale, quella epifania che apre i giorni supremi dell’anno liturgico è, una volta tanto nei Vangeli, un fatto pubblico, un misto di devozione e di umana curiosità, di riconoscimento e di mondanità nel senso più pieno del termine. All’incirca le medesime motivazioni che spingono le folle di oggi a scrutare la Sindone. Gli spiritualisti criticheranno il feticismo, l’idolatria del pellegrinaggio a un lenzuolo con l’immagine misteriosa di un uomo; i protestanti assicurano che si tratta di un culto estraneo al messaggio evangelico, noi abbiamo ancora nell’orecchio le parole addolorate di Sergio Quinzio quando seppe che un’analisi con il Carbonio 14, poi rivelatasi fuorviante, negava l’autenticità della tela. L’errore della scienza del tempo non metteva in discussione la sua fede, faceva perdere piuttosto un dono singolare ai sensi dell’umanità.
Dunque, il messaggio evangelico della Domenica delle Palme, con buona pace dei protestanti, ci testimonia di quello speciale culto del corpo messianico, dei mantelli stesi sulla strada dove passava, delle fronde agitate come di fronte a un sovrano. Domani nella Reggia di Venaria a Torino si apre la mostra «Gesù. Il corpo, il volto nell’arte» (fino a tutto il mese di agosto). Il combattimento tra la mistica e il Logos, quel contrasto tra la concezione di Dio e il corpo umano ben individualizzato con cui «venne ad abitare tra noi» è il tema dominante di alcuni secoli della storia dell’arte occidentale. Dall’Umanesimo in poi, la pittura e la scultura soprattutto italiane provarono a mettere in figura la paradossale situazione. E così facendo la bellezza umana fu illuminata dal divino.
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