~ «SOLO LAVORO E RICREAZIONE»: QUANDO IL PESSIMISMO
DI LEO STRAUSS PENETRA NELLA «NOTTE DEL MONDO» ~
A proposito di piacere. Nonostante le autorità scolastiche abbiano scomodato Andrea Emo, l’inquieto interlocutore di Cristina Campo, l’aristocratico veneziano che sembrava uscire da un racconto di Hofmannsthal, e lo abbiano posto in una singolare compagnia che andava da Botticelli a d’Annunzio per disquisire delle umane godurie e dare così un titolo alquanto articolato all’esercitazione pubblica di componimento in lingua italiana, se ne sono ricavati verbosità e tono burocratico per poi avallare una vaga ideologia edonistica. Sintetica invece, superbamente sintetica la visione pessimistica del filosofo ebreo Leo Strauss che riassume il pessimismo di Heidegger: «Sembrava approssimarsi una società mondiale controllata o da Washington o da Mosca. Per Heidegger non faceva alcuna differenza se il centro fosse Washington o Mosca. L’America o la Russia sovietica sono metafisicamente lo stesso. Decisivo per lui è il fatto che questa società mondiale è peggio di un incubo. La chiamava la ‘notte del mondo’. Essa implicava infatti, come Marx aveva predetto, la vittoria di un Occidente sempre più completamente urbanizzato, sempre più completamente tecnologico sull’intero pianeta – livellamento e uniformità totali, indipendentemente dal fatto che a realizzarli fosse la coercizione ferrea o la réclame edulcorata dei beni offerti dalla produzione di massa. Significava unità di razza umana al più basso livello, completa vacuità della vita, auto perpetuazione della dottrina senza capo né coda; niente piacere, niente concentrazione, niente elevazione, niente distacco; niente altro che lavoro e ricreazione; niente individui e niente popoli, ma invece ‘folle solitarie'» (in Gerusalemme e Atene, Torino,1998, p.373).
Perfette le ultime righe, l’ultima proposizione. «Lavoro e ricreazione» nel tempo della solitudine di massa, una definizione secca senza l’ipocrisia del valore socialista del primo e senza l’inganno altisonante del ‘tempo libero’. Strauss scriveva queste righe (meglio, le pronunciava in un’aula universitaria) nel 1950. Poco credibile invece l’uguaglianza ‘metafisica’ di Russia e Usa: discorsi paradossali che non potrebbe mai fare un padre che dovesse scegliere dove far vivere il figlio ancora bambino. Eppure un geniale rumeno, perseguitato da una feroce amarezza, diceva da Parigi la stessa cosa ai suoi connazionali rimasti in patria sotto la dittatura comunista, in una «lettera a un amico lontano»: «Noi ci troviamo di fronte a due tipi di società intollerabili. E quel che risulta più grave è che gli abusi della vostra permettono a questa di perseverare nei suoi e di opporre assai efficacemente i propri orrori a quelli coltivati da voi» (Emil Cioran, Histoire et utopie, Gallimard, 1960, p. 23). Ma in questa simmetria, «il rimprovero principale che si può muovere al vostro regime è di aver mandato in rovina l’utopia, principio di rinnovamento delle istituzioni e dei popoli. […] lo spettacolo di una grande idea sfigurata, la delusione che ne derivava, impadronendosi degli spiriti, finiva con il paralizzarli. […] Chi poteva indovinare, nel secolo scorso, che la nuova società avrebbe, con i suoi vizi e le sue iniquità, consentito alla vecchia di sopravvivere e anche di consolidarsi, che il possibile, una volta realizzato, sarebbe corso in aiuto del rivoluzionato» (p. 24). Una bella critica per i tempi, quando gli scrittori optavano in genere per l’«idea sfigurata». Simili parole sembrano però ancora dei conforti per la coscienza di chi siede in un caffè parigino, benché inconsolabile. Proveremmo vergogna a ripeterle oggi, di fronte a una badante o a una domestica rumena.
Strauss comunque, non credette a quella simmetria metafisica di cui parlava a proposito del filosofo esistenzialista. Lui fece la sua scelta, emigrò in America. E rimase con il suo sconforto.
A proposito di piacere. Nonostante le autorità scolastiche abbiano scomodato Andrea Emo, l’inquieto interlocutore di Cristina Campo, l’aristocratico veneziano che sembrava uscire da un racconto di Hofmannsthal, e lo abbiano posto in una singolare compagnia che andava da Botticelli a d’Annunzio per disquisire delle umane godurie e dare così un titolo alquanto articolato all’esercitazione pubblica di componimento in lingua italiana, se ne sono ricavati verbosità e tono burocratico per poi avallare una vaga ideologia edonistica. Sintetica invece, superbamente sintetica la visione pessimistica del filosofo ebreo Leo Strauss che riassume il pessimismo di Heidegger: «Sembrava approssimarsi una società mondiale controllata o da Washington o da Mosca. Per Heidegger non faceva alcuna differenza se il centro fosse Washington o Mosca. L’America o la Russia sovietica sono metafisicamente lo stesso. Decisivo per lui è il fatto che questa società mondiale è peggio di un incubo. La chiamava la ‘notte del mondo’. Essa implicava infatti, come Marx aveva predetto, la vittoria di un Occidente sempre più completamente urbanizzato, sempre più completamente tecnologico sull’intero pianeta – livellamento e uniformità totali, indipendentemente dal fatto che a realizzarli fosse la coercizione ferrea o la réclame edulcorata dei beni offerti dalla produzione di massa. Significava unità di razza umana al più basso livello, completa vacuità della vita, auto perpetuazione della dottrina senza capo né coda; niente piacere, niente concentrazione, niente elevazione, niente distacco; niente altro che lavoro e ricreazione; niente individui e niente popoli, ma invece ‘folle solitarie'» (in Gerusalemme e Atene, Torino,1998, p.373).
Perfette le ultime righe, l’ultima proposizione. «Lavoro e ricreazione» nel tempo della solitudine di massa, una definizione secca senza l’ipocrisia del valore socialista del primo e senza l’inganno altisonante del ‘tempo libero’. Strauss scriveva queste righe (meglio, le pronunciava in un’aula universitaria) nel 1950. Poco credibile invece l’uguaglianza ‘metafisica’ di Russia e Usa: discorsi paradossali che non potrebbe mai fare un padre che dovesse scegliere dove far vivere il figlio ancora bambino. Eppure un geniale rumeno, perseguitato da una feroce amarezza, diceva da Parigi la stessa cosa ai suoi connazionali rimasti in patria sotto la dittatura comunista, in una «lettera a un amico lontano»: «Noi ci troviamo di fronte a due tipi di società intollerabili. E quel che risulta più grave è che gli abusi della vostra permettono a questa di perseverare nei suoi e di opporre assai efficacemente i propri orrori a quelli coltivati da voi» (Emil Cioran, Histoire et utopie, Gallimard, 1960, p. 23). Ma in questa simmetria, «il rimprovero principale che si può muovere al vostro regime è di aver mandato in rovina l’utopia, principio di rinnovamento delle istituzioni e dei popoli. […] lo spettacolo di una grande idea sfigurata, la delusione che ne derivava, impadronendosi degli spiriti, finiva con il paralizzarli. […] Chi poteva indovinare, nel secolo scorso, che la nuova società avrebbe, con i suoi vizi e le sue iniquità, consentito alla vecchia di sopravvivere e anche di consolidarsi, che il possibile, una volta realizzato, sarebbe corso in aiuto del rivoluzionato» (p. 24). Una bella critica per i tempi, quando gli scrittori optavano in genere per l’«idea sfigurata». Simili parole sembrano però ancora dei conforti per la coscienza di chi siede in un caffè parigino, benché inconsolabile. Proveremmo vergogna a ripeterle oggi, di fronte a una badante o a una domestica rumena.
Strauss comunque, non credette a quella simmetria metafisica di cui parlava a proposito del filosofo esistenzialista. Lui fece la sua scelta, emigrò in America. E rimase con il suo sconforto.
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