~ IN RICORDO DI UN POLITICO UMANO, DI UNO STATISTA CRISTIANO, DI UN PERSONAGGIO D’ALTRI TEMPI ~
Pian piano si è passati dalla politica all’etica, quindi alla giustizia spicciola e facinorosa, all’illusione di un giudizio finale continuo, celebrato da omini patetici e senza quella pietà che è propria del Pantocrator. Nel contempo si celebra l’economico, come si trattasse di un’eterna quanto pomposa riunione di condominio. Quello che furoreggia adesso in Italia è l’oscillare tra il trionfo del corretto e il trionfo dell’utile, l’etico e l’economico mano nella mano. La sinistra perde definitivamente – si trasforma in un club snobistico – dal momento che accetta come criterio quello della ‘scienza triste’ senza il correttivo della politica. Carl Schmitt pensava che la coppia nemico/amico con cui tentava di definire la politica comportasse la più drammatica serietà di intenti, non a caso il nemico precedeva l’amico, come la guerra precedeva la pace, il bellum era infatti la massima espressione della politica, momento supremo della decisione, che coinvolgeva i corpi, il sangue, il dolore, le vite dei cittadini. Inimmaginabile la politica nel glamour della dimensione televisiva. «Il politico è ciò che è decisivo». Altrimenti la polarizzazione tra gli individui e tra i popoli si riduce a un isterico vociare di impotenti, al chiacchiericcio violento delle tricoteuses che s’eccita per il sangue e mai si placa se non per la noia della ripetizione insensata. Oppure al futile della fotogenia.
Ecco allora la pericolosità di una violenza senza un politico in grado di mettervi un freno. È inutile aspettarsi da un giornale, da un editoriale, da un movimento di opinione pubblica la forza (anche morale) per porre un argine alla aggressività umana. Soltanto il politico può tenere a bada la folla e i suoi umori. Questa appunto l’arte speciale che non confida esclusivamente nella repressione e nella prevenzione da parte della forza pubblica. Ecco perché un mondo interamente pacificato, senza contrasti, sarebbe assolutamente impolitico, non avrebbe più bisogno del politico come dei militari. E là dove regna, almeno a parole, il pacifismo, dove la guerra è ormai un tabù anche se il nemico ti attacca abbattendo aerei e grattacieli nel cuore della capitale dell’Occidente, la politica perde ogni chance: è inutile tentare di rianimarla con la buona volontà. Se si sopprime il politico, perciò, sopprimendo per esempio anche la sola possibilità della guerra (e non perché l’umanità si sia riconciliata in eterno, realizzando la profezia di Isaia che richiede un intervento messianico, ma solo per un gesto presuntuoso), si deve essere consapevoli di quello cui si va incontro. Del resto, in via teorica, la guerra dei pacifisti contro i non-pacifisti essendo l’ultima, la suprema, sarebbe per forza la più crudele. Forse interminabile. A sentire Aristotele, molto prima di Schmitt, se il destino dell’uomo è il politikon, l’antipolitica è l’antiumano.
Utile e corretto, finalizzati al consumo, come pubblicità impone, producono invece un litigio sulle norme, sui codici che regolerebbero il mercato e i cosiddetti «stili di vita» derivati dal mercato. Questa l’Italia che occulta gli interessi nei valori, secondo la più triviale rappresentazione piccolo-borghese.
Ogni normatività è nient’altro che «finzione» contrapposta alla «possibilità reale dell’uccisione fisica» in mano al politico. Con tale suggestiva riflessione il grande costituzionalista tedesco apriva baratri concettuali. Nelle oscure pieghe del discorso si intravedeva la conclusione: quale legittimità potrebbe mai giustificare quest’immenso potere?
Il regno dell’intrattenimento è invece là dove il mondo appare senza più contrasti, dominio di Apollonio, il personaggio satanico che, nel libro profetico di Solov’ëv, si fa padrone del mondo, bello e giovane, cinico e seduttore, insensibile alle differenze umane ma protettore dell’animalismo, pacifista e universalista, che unisce la scienza occidentale e il misticismo orientale, conciliante e dialogante. Contro Apollonio, un vecchio papa invita alla lotta, non si arrende e convince i suoi amici dottori protestanti e rabbini ebrei a non cedere all’idolatria di questo Anticristo. Talvolta il presidente emerito citava nelle sue rutilanti interviste i personaggi di Solov’ëv, pur senza fare nomi sconosciuti agli intervistatori, senza sfoggio di cultura, come si conviene ai discorsi che attraversano i media, appena un accenno alla minaccia sotterranea, apocalittica, di cui parlavano «certi russi all’inizio del Novecento».
«La sola garanzia perché il mondo non divenga un mondo di intrattenimento, è politica e Stato; conseguentemente, ciò che gli avversari del politico vogliono va a finire nella produzione di un mondo di intrattenimento, di un mondo di divertimenti, di un mondo senza serietà» (Leo Strauss, Note sul concetto di politico, chiosando Schmitt). Proprio il saggio presidente che visse il tragico come nessun altro politico italiano dell’ultima parte del secolo capì che soltanto la maschera del trickster poteva consentirgli di rivolgere ai suoi connazionali un salutare avvertimento per difendere la politica dalle manomissioni della magistratura e di un’opinione pubblica abnorme e organizzata, contro l’arrendevolezza degli stessi politici. L’ultimo avvertimento.
Pian piano si è passati dalla politica all’etica, quindi alla giustizia spicciola e facinorosa, all’illusione di un giudizio finale continuo, celebrato da omini patetici e senza quella pietà che è propria del Pantocrator. Nel contempo si celebra l’economico, come si trattasse di un’eterna quanto pomposa riunione di condominio. Quello che furoreggia adesso in Italia è l’oscillare tra il trionfo del corretto e il trionfo dell’utile, l’etico e l’economico mano nella mano. La sinistra perde definitivamente – si trasforma in un club snobistico – dal momento che accetta come criterio quello della ‘scienza triste’ senza il correttivo della politica. Carl Schmitt pensava che la coppia nemico/amico con cui tentava di definire la politica comportasse la più drammatica serietà di intenti, non a caso il nemico precedeva l’amico, come la guerra precedeva la pace, il bellum era infatti la massima espressione della politica, momento supremo della decisione, che coinvolgeva i corpi, il sangue, il dolore, le vite dei cittadini. Inimmaginabile la politica nel glamour della dimensione televisiva. «Il politico è ciò che è decisivo». Altrimenti la polarizzazione tra gli individui e tra i popoli si riduce a un isterico vociare di impotenti, al chiacchiericcio violento delle tricoteuses che s’eccita per il sangue e mai si placa se non per la noia della ripetizione insensata. Oppure al futile della fotogenia.
Ecco allora la pericolosità di una violenza senza un politico in grado di mettervi un freno. È inutile aspettarsi da un giornale, da un editoriale, da un movimento di opinione pubblica la forza (anche morale) per porre un argine alla aggressività umana. Soltanto il politico può tenere a bada la folla e i suoi umori. Questa appunto l’arte speciale che non confida esclusivamente nella repressione e nella prevenzione da parte della forza pubblica. Ecco perché un mondo interamente pacificato, senza contrasti, sarebbe assolutamente impolitico, non avrebbe più bisogno del politico come dei militari. E là dove regna, almeno a parole, il pacifismo, dove la guerra è ormai un tabù anche se il nemico ti attacca abbattendo aerei e grattacieli nel cuore della capitale dell’Occidente, la politica perde ogni chance: è inutile tentare di rianimarla con la buona volontà. Se si sopprime il politico, perciò, sopprimendo per esempio anche la sola possibilità della guerra (e non perché l’umanità si sia riconciliata in eterno, realizzando la profezia di Isaia che richiede un intervento messianico, ma solo per un gesto presuntuoso), si deve essere consapevoli di quello cui si va incontro. Del resto, in via teorica, la guerra dei pacifisti contro i non-pacifisti essendo l’ultima, la suprema, sarebbe per forza la più crudele. Forse interminabile. A sentire Aristotele, molto prima di Schmitt, se il destino dell’uomo è il politikon, l’antipolitica è l’antiumano.
Utile e corretto, finalizzati al consumo, come pubblicità impone, producono invece un litigio sulle norme, sui codici che regolerebbero il mercato e i cosiddetti «stili di vita» derivati dal mercato. Questa l’Italia che occulta gli interessi nei valori, secondo la più triviale rappresentazione piccolo-borghese.
Ogni normatività è nient’altro che «finzione» contrapposta alla «possibilità reale dell’uccisione fisica» in mano al politico. Con tale suggestiva riflessione il grande costituzionalista tedesco apriva baratri concettuali. Nelle oscure pieghe del discorso si intravedeva la conclusione: quale legittimità potrebbe mai giustificare quest’immenso potere?
Il regno dell’intrattenimento è invece là dove il mondo appare senza più contrasti, dominio di Apollonio, il personaggio satanico che, nel libro profetico di Solov’ëv, si fa padrone del mondo, bello e giovane, cinico e seduttore, insensibile alle differenze umane ma protettore dell’animalismo, pacifista e universalista, che unisce la scienza occidentale e il misticismo orientale, conciliante e dialogante. Contro Apollonio, un vecchio papa invita alla lotta, non si arrende e convince i suoi amici dottori protestanti e rabbini ebrei a non cedere all’idolatria di questo Anticristo. Talvolta il presidente emerito citava nelle sue rutilanti interviste i personaggi di Solov’ëv, pur senza fare nomi sconosciuti agli intervistatori, senza sfoggio di cultura, come si conviene ai discorsi che attraversano i media, appena un accenno alla minaccia sotterranea, apocalittica, di cui parlavano «certi russi all’inizio del Novecento».
«La sola garanzia perché il mondo non divenga un mondo di intrattenimento, è politica e Stato; conseguentemente, ciò che gli avversari del politico vogliono va a finire nella produzione di un mondo di intrattenimento, di un mondo di divertimenti, di un mondo senza serietà» (Leo Strauss, Note sul concetto di politico, chiosando Schmitt). Proprio il saggio presidente che visse il tragico come nessun altro politico italiano dell’ultima parte del secolo capì che soltanto la maschera del trickster poteva consentirgli di rivolgere ai suoi connazionali un salutare avvertimento per difendere la politica dalle manomissioni della magistratura e di un’opinione pubblica abnorme e organizzata, contro l’arrendevolezza degli stessi politici. L’ultimo avvertimento.
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