~ QUESTO NON È UN PAESE PER IL BIEDERMEIER ~
Fu lo slogan di un politico coi baffi ormai in declino, ma gli resiste gagliardamente. Tutti infatti fanno a gara nel ripetere crucciati che «questo non è un paese normale», in genere anzi nella forma ipotetica che accentua l’effetto retorico e lascia immaginare un sospiro nostalgico: «se questo fosse un paese normale!». Certo che non lo è, per fortuna che non lo è. Grazie al cielo l’Italia non appare un paese normale e non si tratta di una questione degli ultimi secoli: lo ricordava l’altro giorno il direttore dei Musei vaticani, parlando della Galleria delle carte geografiche: «L’Italia è, fra tutti i paesi del mondo, il ‘più nobile’ intendendo nel termine tutto quello che è storia, memoria, cultura, varietà, bellezza. Così pensava Gregorio XIII Boncompagni. Così sta scritto nei cartigli che sovrastano la carta dell’Italia antica (‘Commendatur Italia locorum salubritate, coeli temperie, soli ubertate’) e quella dell’Italia moderna (‘Italia artium studiorumque plena semper est habita’».
La penisola italiana che appare un Eden, il giardino comune dell’umanità, anche a un anti-latino come Dostoevskij, l’Italia che esce prima di tutti dalle guerre perché, secondo quanto osserva Montaigne, è un paese carico di saggezza, l’Italia di Dante e di Raffaello, delle città incantate, dell’arte, della musica, dei mille incroci di civiltà, delle invenzioni machiavelliche, delle fantasie leonardesche, della dolce vita millenaria, sarebbe dunque da ricondurre alla norma, una via di mezzo tra il Belgio e la Finlandia? Nessun paese è ‘normale’, ciascuno risulta legato in modo unico al cuore della sua gente. Il nostro vecchissimo popolo casomai è più eccentricamente anormale degli altri. Questo non è un paese per il Biedermeier. Lo sosteneva con posa cinica Orson Welles nel Terzo uomo, quando, sulla Ruota del Prater di Vienna, confrontava l’Italia dei pugnali e veleni del Rinascimento con la Svizzera degli orologi a cucù. Tanto diverso dagli altri che il suo popolo, immune da ogni sciovinismo, si diletta nella maldicenza autolesionista, si compiace per spirito vendicativo di qualsiasi straniero che abbia da far critiche feroci al Belpaese, invidia la ‘normalità’ degli altri, la loro mediocrità, il loro grigiore (forse abbagliato da troppa luce). Alla retorica patriottarda ricorrono solo le pubbliche istituzioni quando innalzano monumenti ai caduti e organizzano le celebrazioni per l’unità d’Italia massonica. Ma nessuno ci crede, divorati tutti da una robusta e antica faziosità.
Fu lo slogan di un politico coi baffi ormai in declino, ma gli resiste gagliardamente. Tutti infatti fanno a gara nel ripetere crucciati che «questo non è un paese normale», in genere anzi nella forma ipotetica che accentua l’effetto retorico e lascia immaginare un sospiro nostalgico: «se questo fosse un paese normale!». Certo che non lo è, per fortuna che non lo è. Grazie al cielo l’Italia non appare un paese normale e non si tratta di una questione degli ultimi secoli: lo ricordava l’altro giorno il direttore dei Musei vaticani, parlando della Galleria delle carte geografiche: «L’Italia è, fra tutti i paesi del mondo, il ‘più nobile’ intendendo nel termine tutto quello che è storia, memoria, cultura, varietà, bellezza. Così pensava Gregorio XIII Boncompagni. Così sta scritto nei cartigli che sovrastano la carta dell’Italia antica (‘Commendatur Italia locorum salubritate, coeli temperie, soli ubertate’) e quella dell’Italia moderna (‘Italia artium studiorumque plena semper est habita’».
La penisola italiana che appare un Eden, il giardino comune dell’umanità, anche a un anti-latino come Dostoevskij, l’Italia che esce prima di tutti dalle guerre perché, secondo quanto osserva Montaigne, è un paese carico di saggezza, l’Italia di Dante e di Raffaello, delle città incantate, dell’arte, della musica, dei mille incroci di civiltà, delle invenzioni machiavelliche, delle fantasie leonardesche, della dolce vita millenaria, sarebbe dunque da ricondurre alla norma, una via di mezzo tra il Belgio e la Finlandia? Nessun paese è ‘normale’, ciascuno risulta legato in modo unico al cuore della sua gente. Il nostro vecchissimo popolo casomai è più eccentricamente anormale degli altri. Questo non è un paese per il Biedermeier. Lo sosteneva con posa cinica Orson Welles nel Terzo uomo, quando, sulla Ruota del Prater di Vienna, confrontava l’Italia dei pugnali e veleni del Rinascimento con la Svizzera degli orologi a cucù. Tanto diverso dagli altri che il suo popolo, immune da ogni sciovinismo, si diletta nella maldicenza autolesionista, si compiace per spirito vendicativo di qualsiasi straniero che abbia da far critiche feroci al Belpaese, invidia la ‘normalità’ degli altri, la loro mediocrità, il loro grigiore (forse abbagliato da troppa luce). Alla retorica patriottarda ricorrono solo le pubbliche istituzioni quando innalzano monumenti ai caduti e organizzano le celebrazioni per l’unità d’Italia massonica. Ma nessuno ci crede, divorati tutti da una robusta e antica faziosità.
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