~ LO SCANDALO DI UNA FRASE MINISTERIALE ~
«La cultura non dà da mangiare» disse il ministro che economizza sulle spese pubbliche, scandalizzando tutti. Sfiorato il tabù principale della nostra epoca. Questa sfuggente entità non si discute per paura di bestemmiare, la cultura qui la cultura qua. Non si ripete sempre che essa «produce ricchezza», non si parla del suo «indotto economico»? Nel momento che l’umanesimo non conta più niente e non rilucono i suoi prodotti, ci si inventa un’estensione del concetto di cultura che coincide con quello di far soldi, con le occasioni di «consumo». Ma l’onnipresente consumo dell’arte e della parola distrae non consola della morte. Si addestrano i giovani a trarre pretesto da ogni monumento sparso nel nostro Belpaese per adunare turisti; si moltiplicano gli assessori che invece di lastricare le strade discettano di arte; si investono soldi pubblici per concertini d’ogni tipo onde moltiplicare il gruzzolo come fosse un enalotto. Si avversano inoltre gli onesti uomini del Business senza maschera e si camuffano con il gentile nome di artista gli affaristi del Nulla.
Se si provasse ad aggiustare la frase così: «la vera cultura non dà da mangiare». «Vera»: che formulazione ingenua, risponderebbero i saccenti funzionari del culturame, che sono tutt’altra genìa dalle persone colte. Ma Rainer Maria Rilke sarebbe d’accordo. Del poeta dice nel Libro d’ore, «il più misero sei dei senza-tetto,/ il mendicante che nasconde il volto,/ l'immensa rosa della Povertà, l’arcana metamorfosi perenne,/ che cangia l’oro in folgorio di sole».
«La cultura non dà da mangiare» disse il ministro che economizza sulle spese pubbliche, scandalizzando tutti. Sfiorato il tabù principale della nostra epoca. Questa sfuggente entità non si discute per paura di bestemmiare, la cultura qui la cultura qua. Non si ripete sempre che essa «produce ricchezza», non si parla del suo «indotto economico»? Nel momento che l’umanesimo non conta più niente e non rilucono i suoi prodotti, ci si inventa un’estensione del concetto di cultura che coincide con quello di far soldi, con le occasioni di «consumo». Ma l’onnipresente consumo dell’arte e della parola distrae non consola della morte. Si addestrano i giovani a trarre pretesto da ogni monumento sparso nel nostro Belpaese per adunare turisti; si moltiplicano gli assessori che invece di lastricare le strade discettano di arte; si investono soldi pubblici per concertini d’ogni tipo onde moltiplicare il gruzzolo come fosse un enalotto. Si avversano inoltre gli onesti uomini del Business senza maschera e si camuffano con il gentile nome di artista gli affaristi del Nulla.
Se si provasse ad aggiustare la frase così: «la vera cultura non dà da mangiare». «Vera»: che formulazione ingenua, risponderebbero i saccenti funzionari del culturame, che sono tutt’altra genìa dalle persone colte. Ma Rainer Maria Rilke sarebbe d’accordo. Del poeta dice nel Libro d’ore, «il più misero sei dei senza-tetto,/ il mendicante che nasconde il volto,/ l'immensa rosa della Povertà, l’arcana metamorfosi perenne,/ che cangia l’oro in folgorio di sole».
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