~ I BENEFICI DELLA CRISI ~
La media sociologica nasconde, si sa, le disperazioni individuali, ma talvolta fa sentire la fragranza di una stagione, offre la fotografia di gruppo con determinati colori, irriproducibili in un altro tempo, purché non la si idolatri come Zeitgeist, moloch a cui sacrificano i modaioli. L’ultimo Annuario Istat propone l’immagine di un paese più sobrio, senza troppe lamentazioni, anzi, abbastanza soddisfatto, che ritiene di avere «risorse adeguate», sotto sotto compiaciuto della svolta meno spendacciona intrapresa per paura della crisi economica. Ci si accorge così che si può vivere egregiamente senza le dissipazioni banali, senza cioè l’economia dell’inutile estetico. Per maggior parsimonia, adesso ci si interroga se un film raccomandato dalla pubblicità dei giornali o una mostra propagandata da critici che non possiedono la grazia della scrittura valgano la spesa del biglietto. Né si entra nelle librerie come se fossero supermercati dove riempire la sporta; «meglio dormire che leggere», osava dire Kafka, perché gli obblighi, i sensi di colpa, imposti dall’industria editoriale, a uno come lui gli scivolavano addosso. Perfino la transumanza culturale sembra arrestarsi qua e là. Laudato si’ mi’ Signore per sora Crisi. Benedetti i tagli agli eventi con le file bovine, benedetti i tagli alle ‘provocazioni’ pagate dal pubblico erario, benedetti i tagli ai concerti nelle biblioteche dove si dovrebbe leggere in silenzio, benedetti i tagli ai tappeti rossi dei festival, alle animazioni museali, alle notti bianche, ai giorni oscuri come l’anima offesa da tanti stimoli corrivi. Jean Clair scriveva che l’Europa delle cattedrali era stata sostituita da quella dei musei, sorti come funghi, spesso templi del consumismo culturale piccolo borghese. Chissà che il paesaggio di domani non stia già cambiando.
Che ne faremo allora degli installatori, dei curators, degli uffici stampa, dei critici in sovrappiù? Come tutti i mortali, quando è in corso il passaggio da un’economia all’altra, andranno in cassa integrazione, si riqualificheranno, si ridimensioneranno.
La media sociologica nasconde, si sa, le disperazioni individuali, ma talvolta fa sentire la fragranza di una stagione, offre la fotografia di gruppo con determinati colori, irriproducibili in un altro tempo, purché non la si idolatri come Zeitgeist, moloch a cui sacrificano i modaioli. L’ultimo Annuario Istat propone l’immagine di un paese più sobrio, senza troppe lamentazioni, anzi, abbastanza soddisfatto, che ritiene di avere «risorse adeguate», sotto sotto compiaciuto della svolta meno spendacciona intrapresa per paura della crisi economica. Ci si accorge così che si può vivere egregiamente senza le dissipazioni banali, senza cioè l’economia dell’inutile estetico. Per maggior parsimonia, adesso ci si interroga se un film raccomandato dalla pubblicità dei giornali o una mostra propagandata da critici che non possiedono la grazia della scrittura valgano la spesa del biglietto. Né si entra nelle librerie come se fossero supermercati dove riempire la sporta; «meglio dormire che leggere», osava dire Kafka, perché gli obblighi, i sensi di colpa, imposti dall’industria editoriale, a uno come lui gli scivolavano addosso. Perfino la transumanza culturale sembra arrestarsi qua e là. Laudato si’ mi’ Signore per sora Crisi. Benedetti i tagli agli eventi con le file bovine, benedetti i tagli alle ‘provocazioni’ pagate dal pubblico erario, benedetti i tagli ai concerti nelle biblioteche dove si dovrebbe leggere in silenzio, benedetti i tagli ai tappeti rossi dei festival, alle animazioni museali, alle notti bianche, ai giorni oscuri come l’anima offesa da tanti stimoli corrivi. Jean Clair scriveva che l’Europa delle cattedrali era stata sostituita da quella dei musei, sorti come funghi, spesso templi del consumismo culturale piccolo borghese. Chissà che il paesaggio di domani non stia già cambiando.
Che ne faremo allora degli installatori, dei curators, degli uffici stampa, dei critici in sovrappiù? Come tutti i mortali, quando è in corso il passaggio da un’economia all’altra, andranno in cassa integrazione, si riqualificheranno, si ridimensioneranno.
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