~ MODESTA PROPOSTA DI AUMENTO
DELL’INDENNITÀ PARLAMENTARE ~
Straparlano a sproposito di caste per ogni élite messa a fuoco pur venerando, negli ambienti intellettuali, la religione induista che suddivide e fissa l’umanità in sì aberranti gironi. Perfino i piccoli guru massmediatici si commuovono in televisione per le dottrine veda. Sempre pronti a far le pulci a ogni aspetto del cristianesimo, si guardano bene dal ricordare che l’India dei loro sogni metafisici si sostanzia di un simile sistema, schiacciando i fuori casta nel rango degli animali, e che ci volle l’amore di un’occidentale, una suora cattolica, per insegnare ad accarezzare gli «intoccabili». Sedotti dalla cultura religiosa orientale ormai da due secoli, neppure di fronte al recente suicidio col fuoco di una monaca buddista hanno trovato niente da ridire su una rivelazione che spinge a trascurare a tal punto il corpo. Gli allegri fans del Dalai Lama non si permetterebbero mai di criticare le pratiche religiose di quei puri così come fanno quotidianamente con i corrotti cattolici: immaginate che si direbbe se nel nostro mondo si scegliesse un bambino di sei sette anni, scrutandone orecchie e scapole, per ricercarvi i segni della «reincarnazione» e quindi, sottopostolo a inquietanti indovinelli, se ne decidesse il destino, facendone un «piccolo Buddha».
Ma adesso in Italia, casta sta a significare nelle menti di chi si nutre di antipolitica l’insieme delle centinaia di eletti in Parlamento e nelle assemblee locali (non però i signori delle municipalizzate appena riconsacrate dai referendum unanimi sull’acqua «pubblica»). Ad ascoltare qualche giorno fa i deputati che spiegavano il loro voto al «governo dei salvatori» sembrava, in verità, una combriccola di poveracci, nell’eloquio come nell’abbigliamento, alcuni addirittura pittoreschi, rappresentanti di gruppetti dai nomi improvvisati per organizzare la diaspora degli scissionisti senza bussola. Una casta di miserandi, si sarebbe detto, una casta di sfigati – secondo la terminologia giornalistica. E quando si conobbero, proprio in quell’occasione, le cifre vertiginose dei guadagni di certi banchieri – alcuni milioni di euri l’anno – , fu chiaro che questi disgraziati parlamentari erano ben lontani dal mondo del privilegio. Che gli invidiosi aizzati dai gazzettieri diventino compassionevoli davanti ai ridicoli personaggi, che ci si vergogni di ricorrere alla parola magica: casta (tra l’altro, in un paese bonariamente cattolico, ogni rango ha un’entrata e un’uscita). Come si fa ad ambire l’attuale status dei politici? Il potere? Un tempo decidevano della vita e della morte dei cittadini, pace e guerra per esempio, oggi sono nel migliore dei casi piccoli ragionieri che debbono ratificare decisioni prese altrove; amministratori di condominio in palazzi rissosi nei quali si industriano a far passare le volontà di gente straniera e altolocata. Quanto ai soldi, prendono appunto stipendi da magistrati, non da banchieri. Appena un’elemosina elargita a figuranti che non sanno parlare dignitosamente – ne conveniamo –, se è per questo che non riescono neppure a rispondere ai faceti intervistatori della televisione, capaci di inchiodare alcuni di loro, muti o pateticamente evasivi, su termini come «spread», «pil», ecc. Qualche mese fa, le medesime iene col microfono rincorsero altri deputati nella piazza di Montecitorio per domandine di storia patria cui, a destra come a sinistra, ministri e peones, non diedero risposta. Nel contesto informativo attuale, trattasi insomma di parlamentari analfabeti, di parlamentari che non parlano, che non sanno, che non studiano, che non leggono (sempre con le dovute, limitatissime, eccezioni). Il fatto è che a inzeppare il Parlamento accorrono centinaia di mediocri, gente che forse non riuscirebbe a strappare altrove uno stipendio decente. È questo lo scandalo? Si riduca allora a cento il numero dei deputati, cento giusti e saggi da sacrificare alla politica son già difficili da trovare. Per invogliarli perciò li si strapaghi, altrimenti finiscono tutti nelle industrie e nelle banche o qualcuno di loro andrà a governare da dilettante o tecnico che dir si voglia ma saltando l’umiliazione della campagna elettorale e del voto. Cento persone pagate dieci volte almeno quanto guadagnano oggi, senza demagogia, senza risparmiare sulla guida del Belpaese, senza travestire con la porpora senatoriale i falliti delle professioni. Una Camera a quel punto basterà da sola, non c’è bisogno di inventarsi fantasiosamente i compiti della seconda, che allungherebbe i tempi e le chiacchiere.
DELL’INDENNITÀ PARLAMENTARE ~
Straparlano a sproposito di caste per ogni élite messa a fuoco pur venerando, negli ambienti intellettuali, la religione induista che suddivide e fissa l’umanità in sì aberranti gironi. Perfino i piccoli guru massmediatici si commuovono in televisione per le dottrine veda. Sempre pronti a far le pulci a ogni aspetto del cristianesimo, si guardano bene dal ricordare che l’India dei loro sogni metafisici si sostanzia di un simile sistema, schiacciando i fuori casta nel rango degli animali, e che ci volle l’amore di un’occidentale, una suora cattolica, per insegnare ad accarezzare gli «intoccabili». Sedotti dalla cultura religiosa orientale ormai da due secoli, neppure di fronte al recente suicidio col fuoco di una monaca buddista hanno trovato niente da ridire su una rivelazione che spinge a trascurare a tal punto il corpo. Gli allegri fans del Dalai Lama non si permetterebbero mai di criticare le pratiche religiose di quei puri così come fanno quotidianamente con i corrotti cattolici: immaginate che si direbbe se nel nostro mondo si scegliesse un bambino di sei sette anni, scrutandone orecchie e scapole, per ricercarvi i segni della «reincarnazione» e quindi, sottopostolo a inquietanti indovinelli, se ne decidesse il destino, facendone un «piccolo Buddha».
Ma adesso in Italia, casta sta a significare nelle menti di chi si nutre di antipolitica l’insieme delle centinaia di eletti in Parlamento e nelle assemblee locali (non però i signori delle municipalizzate appena riconsacrate dai referendum unanimi sull’acqua «pubblica»). Ad ascoltare qualche giorno fa i deputati che spiegavano il loro voto al «governo dei salvatori» sembrava, in verità, una combriccola di poveracci, nell’eloquio come nell’abbigliamento, alcuni addirittura pittoreschi, rappresentanti di gruppetti dai nomi improvvisati per organizzare la diaspora degli scissionisti senza bussola. Una casta di miserandi, si sarebbe detto, una casta di sfigati – secondo la terminologia giornalistica. E quando si conobbero, proprio in quell’occasione, le cifre vertiginose dei guadagni di certi banchieri – alcuni milioni di euri l’anno – , fu chiaro che questi disgraziati parlamentari erano ben lontani dal mondo del privilegio. Che gli invidiosi aizzati dai gazzettieri diventino compassionevoli davanti ai ridicoli personaggi, che ci si vergogni di ricorrere alla parola magica: casta (tra l’altro, in un paese bonariamente cattolico, ogni rango ha un’entrata e un’uscita). Come si fa ad ambire l’attuale status dei politici? Il potere? Un tempo decidevano della vita e della morte dei cittadini, pace e guerra per esempio, oggi sono nel migliore dei casi piccoli ragionieri che debbono ratificare decisioni prese altrove; amministratori di condominio in palazzi rissosi nei quali si industriano a far passare le volontà di gente straniera e altolocata. Quanto ai soldi, prendono appunto stipendi da magistrati, non da banchieri. Appena un’elemosina elargita a figuranti che non sanno parlare dignitosamente – ne conveniamo –, se è per questo che non riescono neppure a rispondere ai faceti intervistatori della televisione, capaci di inchiodare alcuni di loro, muti o pateticamente evasivi, su termini come «spread», «pil», ecc. Qualche mese fa, le medesime iene col microfono rincorsero altri deputati nella piazza di Montecitorio per domandine di storia patria cui, a destra come a sinistra, ministri e peones, non diedero risposta. Nel contesto informativo attuale, trattasi insomma di parlamentari analfabeti, di parlamentari che non parlano, che non sanno, che non studiano, che non leggono (sempre con le dovute, limitatissime, eccezioni). Il fatto è che a inzeppare il Parlamento accorrono centinaia di mediocri, gente che forse non riuscirebbe a strappare altrove uno stipendio decente. È questo lo scandalo? Si riduca allora a cento il numero dei deputati, cento giusti e saggi da sacrificare alla politica son già difficili da trovare. Per invogliarli perciò li si strapaghi, altrimenti finiscono tutti nelle industrie e nelle banche o qualcuno di loro andrà a governare da dilettante o tecnico che dir si voglia ma saltando l’umiliazione della campagna elettorale e del voto. Cento persone pagate dieci volte almeno quanto guadagnano oggi, senza demagogia, senza risparmiare sulla guida del Belpaese, senza travestire con la porpora senatoriale i falliti delle professioni. Una Camera a quel punto basterà da sola, non c’è bisogno di inventarsi fantasiosamente i compiti della seconda, che allungherebbe i tempi e le chiacchiere.
Nessun commento:
Posta un commento