domenica 13 novembre 2011

È arrivato Godot?

~ LA VITA COMUNQUE SE NE È ANDATA ~

Poveri connazionali ingannati dalle loro piccole furbizie. Sono quasi vent’anni che hanno avuto la testa piena del tycoon prestato alla politica, tornando ossessivamente a lui nei discorsi, giorno e notte, quando Jünger affermava di non aver concesso il suo tempo ai tristi ed esorbitanti figuri davvero tirannici che si trovò di fronte, dedicandosi a ben più nobili imprese, in ogni caso a pensieri più liberi. Loro invece si dedicavano a lui senza tregua laddove perfino i suoi devoti si concessero distrazioni e qualche dimenticanza. Non sapevano liberarsi da questa italianissima figura che volgeva al grottesco (del resto era sopravvissuta alle mode del suo tempo, dalla tv dispiegata si è arrivati al più privato tablet, dalle canzonettiste sanremesi ai romanzieri della camorra, agli scultori del dito medio eretto nella piazza della Borsa a Milano, forme più ambiguë di cultura pop, certamente più sguaiate e arroganti). Le loro letture, conversazioni, interessi, battute, spettacoli, talvolta perfino amori, si son nutriti dell’odio per un miliardario lombardo che provava a governare l’Italia. Si ruppero antiche amicizie, cene e feste domestiche finirono in rissa. Erano la migliore prova di un bisogno di idoli, anche se rovesciati. Si risuscitò allora, e fuori tempo massimo, la fede nella politica benché la società del tutto privatizzata cominciasse ad accettare l’eventualità che anche il governo potesse diventare un affare privato delle banche e dei mercati; infatti quando il gioco si fa duro, quando la crisi si aggrava, quel che resta della finzione politica viene accantonato e si chiama il tecnico, l’impolitico per eccellenza: a che serve allora la nobile arte della politica? Buona per i soli giorni di festa? Rispuntavano anche dei culti dimenticati, perfino il patriottismo, politeismo dei tempi di crisi profonda. All’ombra del nichilismo sorgono infatti idoli nani. Nell’epoca della privatizzazione della fede religiosa, si rendono pubblici gli umori, le morali fai da te, all’opposto esatto di quanto andava dicendo il poeta Charles Lamb: «Le pubbliche faccende – a meno che non mi tocchino direttamente e così si tramutino in private – non posso sforzare l’animo mio a provarci alcun interesse». Ma lo scrittore inglese era sotto la potestà della letteratura, i nostri indignati sono agit-prop della cultura, un’entità astratta che, proprio mentre si fa più corriva e mediocre, viene posta sugli altari. La si è usata recentemente come macchinetta da guerra, in assonanza con quanto rappresentò nell’èra dei totalitarismi europei, almeno secondo l’enfatica ricostruzione storica per cui fu come una fonte di resistenza al potere, irriducibile al Male; ma anche in quel tempo i nomi di Gentile, Sironi, Pirandello, Schmitt, Pound, Jung, Heidegger, von Karajan e tanti altri, pur con distinguo e sfumature, finirono dall’altra parte. Brutti scherzi fa la cultura come talismano.

Godot non arrivava mai e intanto il tempo passava. Vent’anni sono un notevole pezzo di vita, nello specchio ci si riconosce a stento. Allora si finge magari una malinconia per motivi pubblici, in realtà cambia il paesaggio cui eravamo abituati, è la giovinezza che fugge via. Adesso che il signore delle televisioni sembra uscire di scena, le loro chiacchiere si svuotano di senso e i chiacchieroni appaiono intontiti come pugili suonati. Seguirà il rimpianto per un pezzo di vita sprecato.

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