*NATALE 2011*
La cultura protestante che privatizza la religione ha trovato nel Natale la sua festa per eccellenza: il rito è domestico, celebrano genitori e figli, fidanzati e amici, il sacerdozio universale ottiene la sua realizzazione palpabile. In terra americana ha trovato la sua patria, le innumerevoli canzoni che l'accompagnano da un secolo hanno conquistato il mondo. E la sera del 24 dicembre i pragmatici che seppero costruire un impero con una massa di esuli si commuovono, «… And every mother's child is going to spy, / To see if reindeer really know how to fly» (The Christmas Song). Non fu sempre così, naturalmente, le Cantate natalizie di Bach non si eseguivano nei salotti e tantomeno nelle sale da concerto, bensì nelle chiese luterane, erano parte integrante della liturgia. Strada facendo però il laicismo protestante prese il sopravvento, il sacro si stemperò in una festa borghese d’inverno e, per ridar fiato all’evento, non bastando il padrone di casa a far da mediatore tra il Cielo e la Terra, si tirarono fuori figure misteriose, il vecchio benefico a metà tra il generoso San Nicola e la personificazione della estrema stagione dell’anno che, in consonanza con quella della vita, ha i connotati della decrepitezza. Negli ultimi tempi, una multinazionale delle bevande gassose si impadronirà di quel personaggio, gli metterà i suoi colori, il rosso e il bianco, ne farà una forma di pubblicità indiretta. Il vecchio così sostituisce il puer e sovraintende al nuovo rito dello scambio di doni materiali (nella ‘profanazione’ della festa sacra questi infatti da segni, da testimonianze, si trasformano in feticci). Il messianismo è ridotto a un ammasso di merci, a un bazar di simboli ormai incomprensibili, confusi, come sempre nel cosiddetto post-moderno.
Il presepio cattolico rammemora invece come l’incarnazione divina non fu un fatto intimo, con la famigliola nel chiuso domestico: l’Invisibile divenne visibile davanti al teatro del mondo. Pastori e altri miserabili furono i primi ad accorrere, ma vi si aggiunsero i re, i saggi, i suonatori di zampogna – almeno secondo il presepio italiano –, gli artisti dunque, e gli angeli fecero corona alla scena. Non era un racconto lineare, si snodava lungo una via narrativa contorta con curve a gomito come nelle raffigurazioni dei primi maghi della prospettiva che dietro alla scena della natività piazzavano diversi tornanti per rompere la piattezza della parete di fondo.
Il presepio enfatizza il fatto storico che si incrociò con il censimento romano, con l’editto imperiale, con i voleri del pontefice massimo. Al contempo la natura partecipa a questa festa, dalle stelle del cielo alle piante sempreverdi, e vi partecipano gli animali, a compimento delle profezie, asino, bue, pecore, capri, cani che vediamo per esempio raccolti da Giotto in gran copia.
Il presepio cinquecentesco, quello concepito da Albrecht Dürer, faceva incrinare le architetture classiche, una specie di terremoto della storia. Gli archi romani spezzati sottolineavano la nascita del moderno che coincide con l’avvento di Dio in forma umana. La storia non era finita – sembrava dire l’artista tedesco – ma c’era ormai un prima e un dopo, al senza-tempo del mondo antico si sostituiva il tempo che corre verso lo scioglimento di tutti i legami, di tutte le servitù. Il superamento del classico fu annunciato dagli artisti tedeschi che più gli erano estranei, che ne subivano il giogo, che rappresentavano i semplici, i barbari, gli ansiosi della modernità salvifica. Eccessivi, eterni espressionisti, i germanici credevano che l’annuncio evangelico fosse il rintocco dell’ora presente. Ma i pittori italiani ripresero quel tema pur conservando con pietà filiale le rovine del loro passato, quell’impero che la Provvidenza aveva messo al servizio del puer divino. Moderno era una complicata conseguenza di quella notte in terra di Israele e del suo riverbero nel mondo romano.
Nei giorni del buio invernale, non era più sufficiente la luce delle lampade negli interni delle case, il fuoco domestico, il simbolico verde delle piante sopravvissute, il cibo in abbondanza: la modernità cristiana pretendeva aver superato la morte. Di qui il suo fascino, la sua grandezza morale, il suo sommo privilegio; verrà utilizzata in modo strumentale dai propagandisti del progressismo, dai fedeli dei Lumi.
Profano significa fuori del tempio, pro-fanum, lontano dalla chiesa. Si riconsacra il Natale soltanto nella partecipazione alla Messa, là dove il teatrum mundi del presepio si incarna nella comunità vivente. Là dove si ricongiunge la davidica Betlemme e il Golgota, e il mistero del puer si svela. Allora soltanto il moderno diviene un’aggiunta preziosissima all’eburneo mondo classico.
Buon Natale, amici che leggete questo Almanacco, buona festa della vita e, come sempre nelle occasioni solenni dell’anno, buon ricordo dei morti.
La cultura protestante che privatizza la religione ha trovato nel Natale la sua festa per eccellenza: il rito è domestico, celebrano genitori e figli, fidanzati e amici, il sacerdozio universale ottiene la sua realizzazione palpabile. In terra americana ha trovato la sua patria, le innumerevoli canzoni che l'accompagnano da un secolo hanno conquistato il mondo. E la sera del 24 dicembre i pragmatici che seppero costruire un impero con una massa di esuli si commuovono, «… And every mother's child is going to spy, / To see if reindeer really know how to fly» (The Christmas Song). Non fu sempre così, naturalmente, le Cantate natalizie di Bach non si eseguivano nei salotti e tantomeno nelle sale da concerto, bensì nelle chiese luterane, erano parte integrante della liturgia. Strada facendo però il laicismo protestante prese il sopravvento, il sacro si stemperò in una festa borghese d’inverno e, per ridar fiato all’evento, non bastando il padrone di casa a far da mediatore tra il Cielo e la Terra, si tirarono fuori figure misteriose, il vecchio benefico a metà tra il generoso San Nicola e la personificazione della estrema stagione dell’anno che, in consonanza con quella della vita, ha i connotati della decrepitezza. Negli ultimi tempi, una multinazionale delle bevande gassose si impadronirà di quel personaggio, gli metterà i suoi colori, il rosso e il bianco, ne farà una forma di pubblicità indiretta. Il vecchio così sostituisce il puer e sovraintende al nuovo rito dello scambio di doni materiali (nella ‘profanazione’ della festa sacra questi infatti da segni, da testimonianze, si trasformano in feticci). Il messianismo è ridotto a un ammasso di merci, a un bazar di simboli ormai incomprensibili, confusi, come sempre nel cosiddetto post-moderno.
Il presepio cattolico rammemora invece come l’incarnazione divina non fu un fatto intimo, con la famigliola nel chiuso domestico: l’Invisibile divenne visibile davanti al teatro del mondo. Pastori e altri miserabili furono i primi ad accorrere, ma vi si aggiunsero i re, i saggi, i suonatori di zampogna – almeno secondo il presepio italiano –, gli artisti dunque, e gli angeli fecero corona alla scena. Non era un racconto lineare, si snodava lungo una via narrativa contorta con curve a gomito come nelle raffigurazioni dei primi maghi della prospettiva che dietro alla scena della natività piazzavano diversi tornanti per rompere la piattezza della parete di fondo.
Il presepio enfatizza il fatto storico che si incrociò con il censimento romano, con l’editto imperiale, con i voleri del pontefice massimo. Al contempo la natura partecipa a questa festa, dalle stelle del cielo alle piante sempreverdi, e vi partecipano gli animali, a compimento delle profezie, asino, bue, pecore, capri, cani che vediamo per esempio raccolti da Giotto in gran copia.
Il presepio cinquecentesco, quello concepito da Albrecht Dürer, faceva incrinare le architetture classiche, una specie di terremoto della storia. Gli archi romani spezzati sottolineavano la nascita del moderno che coincide con l’avvento di Dio in forma umana. La storia non era finita – sembrava dire l’artista tedesco – ma c’era ormai un prima e un dopo, al senza-tempo del mondo antico si sostituiva il tempo che corre verso lo scioglimento di tutti i legami, di tutte le servitù. Il superamento del classico fu annunciato dagli artisti tedeschi che più gli erano estranei, che ne subivano il giogo, che rappresentavano i semplici, i barbari, gli ansiosi della modernità salvifica. Eccessivi, eterni espressionisti, i germanici credevano che l’annuncio evangelico fosse il rintocco dell’ora presente. Ma i pittori italiani ripresero quel tema pur conservando con pietà filiale le rovine del loro passato, quell’impero che la Provvidenza aveva messo al servizio del puer divino. Moderno era una complicata conseguenza di quella notte in terra di Israele e del suo riverbero nel mondo romano.
Nei giorni del buio invernale, non era più sufficiente la luce delle lampade negli interni delle case, il fuoco domestico, il simbolico verde delle piante sopravvissute, il cibo in abbondanza: la modernità cristiana pretendeva aver superato la morte. Di qui il suo fascino, la sua grandezza morale, il suo sommo privilegio; verrà utilizzata in modo strumentale dai propagandisti del progressismo, dai fedeli dei Lumi.
Profano significa fuori del tempio, pro-fanum, lontano dalla chiesa. Si riconsacra il Natale soltanto nella partecipazione alla Messa, là dove il teatrum mundi del presepio si incarna nella comunità vivente. Là dove si ricongiunge la davidica Betlemme e il Golgota, e il mistero del puer si svela. Allora soltanto il moderno diviene un’aggiunta preziosissima all’eburneo mondo classico.
Buon Natale, amici che leggete questo Almanacco, buona festa della vita e, come sempre nelle occasioni solenni dell’anno, buon ricordo dei morti.
2 commenti:
Grazie. Ricambio gli auguri (seppure in ritardo).
Buon proseguimento.
La ringrazio molto per la sua bella riflessione
Posta un commento