~ CONTRO IL LAVORO DOMENICALE ~
«Ma vi immaginate in una capitale europea, che so a Londra o a Berlino, trovare chiusi i negozi la domenica e restare senza pane fresco…». Qualche settimana fa, gli ascoltatori di Radio Tre si svegliarono con un questa frase: un gazzettiere veneto, specializzato in scandalismo, dai microfoni pubblici esortava in diretta con il suo accento cantilenante a non tener più conto dei giorni festivi, del terzo comandamento del Decalogo (che nel disegno divino viene prima del settimo, lodato dai perbenisti sensibili ai loro schei), a cancellare il «dies dominicus» che interrompe il sempreuguale pagano, a dimenticare il tempo con un orientamento, un senso, per glorificare l’eterna presenza delle merci. E naturalmente, per rafforzare l’esortazione, il più venduto tra gli autori dei libri moralisti ricorreva ai vecchi modi della propaganda dei Lumi: guardate come fanno in Cina, dicevano i Philosophes, guardate i «paesi normali» dicono adesso coloro che, nonostante i tricolori esibiti in gran copia recentemente, provano orrore per gli italici costumi. Mentivano gli illuministi quando edulcoravano le satrapie cinesi, mente il gazzettiere con le sue capitali senza riposo. Tutti sanno infatti dei particolarissimi orari londinesi dei pub, per esempio, che talvolta risalgono a ordinanze dei secoli passati, la tradizione laggiù non si fa mettere i piedi in testa dagli euroburocrati. Quanto al pane di Berlino, al buon pane nero berlinese, qualsiasi guida informa che nella città sulla Sprea i fornai chiudono alle 4 di pomeriggio del sabato per riaprire alle prime ore del lunedì (anche se da qualche tempo, alcuni negozi vendono pane nel dì di festa grazie all’espediente del selfservice). Oggi, domenica 4 marzo, promossa dalla European sunday alliance, dalle organizzazioni religiose e dai sindacati si svolge in tutto il vecchio continente una «festosa protesta» contro il lavoro domenicale. Come nei canti delle prime leghe operaie: se sei giorni vi sembran pochi…
«Ma vi immaginate in una capitale europea, che so a Londra o a Berlino, trovare chiusi i negozi la domenica e restare senza pane fresco…». Qualche settimana fa, gli ascoltatori di Radio Tre si svegliarono con un questa frase: un gazzettiere veneto, specializzato in scandalismo, dai microfoni pubblici esortava in diretta con il suo accento cantilenante a non tener più conto dei giorni festivi, del terzo comandamento del Decalogo (che nel disegno divino viene prima del settimo, lodato dai perbenisti sensibili ai loro schei), a cancellare il «dies dominicus» che interrompe il sempreuguale pagano, a dimenticare il tempo con un orientamento, un senso, per glorificare l’eterna presenza delle merci. E naturalmente, per rafforzare l’esortazione, il più venduto tra gli autori dei libri moralisti ricorreva ai vecchi modi della propaganda dei Lumi: guardate come fanno in Cina, dicevano i Philosophes, guardate i «paesi normali» dicono adesso coloro che, nonostante i tricolori esibiti in gran copia recentemente, provano orrore per gli italici costumi. Mentivano gli illuministi quando edulcoravano le satrapie cinesi, mente il gazzettiere con le sue capitali senza riposo. Tutti sanno infatti dei particolarissimi orari londinesi dei pub, per esempio, che talvolta risalgono a ordinanze dei secoli passati, la tradizione laggiù non si fa mettere i piedi in testa dagli euroburocrati. Quanto al pane di Berlino, al buon pane nero berlinese, qualsiasi guida informa che nella città sulla Sprea i fornai chiudono alle 4 di pomeriggio del sabato per riaprire alle prime ore del lunedì (anche se da qualche tempo, alcuni negozi vendono pane nel dì di festa grazie all’espediente del selfservice). Oggi, domenica 4 marzo, promossa dalla European sunday alliance, dalle organizzazioni religiose e dai sindacati si svolge in tutto il vecchio continente una «festosa protesta» contro il lavoro domenicale. Come nei canti delle prime leghe operaie: se sei giorni vi sembran pochi…
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