~ QUANDO ELÉMIRE ZOLLA PRESENTAVA PADRE PIO AI COLTI
E CRISTINA CAMPO NE CONVERSAVA CON DJUNA BARNES ~
Il 18 gennaio «Almanacco Romano» pubblicava una lettera di Giuseppe De Luca a Giovanni Papini sul suo incontro con padre Pio da Pietrelcina. Vi si leggeva una bella distinzione tra l’intelligenza comune e quella dei santi. Convochiamo stavolta un altro letterato, uno ‘studioso di religioni’ che non nascose un contorno sulfureo ma capace di sottrarsi alla demagogia dominante, Elémire Zolla. È cosa nota che il santo più acclamato del nostro tempo susciti l’avversione degli intellettuali, anche di quelli inclini ai dialoghi con i cattolici, anzi soprattutto di quelli che affollano i ‘cortili dei Gentili’. La loro mezzacultura tronfia si scandalizza per la semplicità antica del frate e condanna la paccottiglia che lo rappresenta nella mass culture, per poi adorare il Kitsch laico nell’industria culturale e nei musei del contemporaneo. Invece la più elegante tra i letterati italiani, colei che reintrodusse la cinquecentesca sprezzatura, Cristina Campo, ripeté molte volte e con amore il nome del santo nelle sue lettere. Così l’epistolario che è stato accostato a quelli di Tasso e Leopardi, per collocarlo quindi tra i massimi della nostra storia, racconta di guarigioni dovute al «frate taumaturgo», parla di raccomandazioni di malati allo stigmatizzato o di spiegazioni come questa: «… le preghiere che Padre Pio talvolta non riusciva a offrire per le persone più care: ‘segno che Dio chiedeva loro maggiore pazienza’…»; quando le sue interlocutrici erano in particolari difficoltà mandava loro le popolari immaginette, i «santini» che più irritano le persone colte. Addirittura in una lettera a Djuna Barnes, eroina della Festa mobile parigina, formidabile autrice di Nightwood, poetessa americana nella torre d’avorio della sua vecchiaia, confidò del cappuccino di San Giovanni Rotondo: «Uno staretz taumaturgico e stigmatizzato con il dono della profezia». E probabilmente fu Cristina Campo a sottoporre a Zolla lo scritto del frate che uscì sulla rivista «Conoscenza religiosa», nel numero 1 del 1970.
Tratto da fogli sparsi che componevano una lettera di padre Pio a un devoto, ebbe un titolo redazionale, Breve trattato sulla notte oscura, e una nota di Zolla che lo presentava come l’«ultimo taumaturgo e mistico cristiano». Aggiungendo subito dopo parole che umiliavano i letterati del tempo, alle prese con gli effimeri gingilli contestativi (e altrettanto umilia i nostri contemporanei che si confortano con gingilli apologetici della ricchezza): «È mancata la forza di un Dostoevskij a cogliere qualcosa della straordinaria ‘discesa del divino’ nell’umano cui si assistette per decenni in un villaggio di Puglia». Zolla non entra nelle questioni teologiche e meno che mai distribuisce patenti di santità, si limita a un giudizio letterario su questo inedito ‘padre Pio scrittore’: «la descrizione della purgazione sensibile e intellettuale è un pezzo classico di teologia mistica». Lo avvicinava così, anche nel titolo, al più classico degli autori mistici, Giovanni della Croce.
Anni dopo, rilascerà una intervista, Il mistico venuto dal Seicento, uscita nel volume Lacrime e sangue, in cui testimonia: «A quel tempo dirigevo una rivista, ‘Conoscenza religiosa’, dove pubblicai un saggio di Padre Pio che mi parve meraviglioso. Era scritto alla maniera dei grandi mistici del Seicento, ovvero si basava sull’interpretazione tipicamente cattolica dell’Antico Testamento. Ci sono passi impenetrabili a una mente comune, che venivano usati come repertorio di espressioni per indicare gli stati mistici, quasi ineffabili. Tutti i profeti erano utilizzati in modo perfetto da questo monaco semplicissimo, pressoché analfabeta. Usava alcune espressioni per indicare le modificazioni della psiche che avvengono a un grado molto assottigliato di allenamento. Mi parve un vero capolavoro, una rievocazione del Seicento».
E CRISTINA CAMPO NE CONVERSAVA CON DJUNA BARNES ~
Il 18 gennaio «Almanacco Romano» pubblicava una lettera di Giuseppe De Luca a Giovanni Papini sul suo incontro con padre Pio da Pietrelcina. Vi si leggeva una bella distinzione tra l’intelligenza comune e quella dei santi. Convochiamo stavolta un altro letterato, uno ‘studioso di religioni’ che non nascose un contorno sulfureo ma capace di sottrarsi alla demagogia dominante, Elémire Zolla. È cosa nota che il santo più acclamato del nostro tempo susciti l’avversione degli intellettuali, anche di quelli inclini ai dialoghi con i cattolici, anzi soprattutto di quelli che affollano i ‘cortili dei Gentili’. La loro mezzacultura tronfia si scandalizza per la semplicità antica del frate e condanna la paccottiglia che lo rappresenta nella mass culture, per poi adorare il Kitsch laico nell’industria culturale e nei musei del contemporaneo. Invece la più elegante tra i letterati italiani, colei che reintrodusse la cinquecentesca sprezzatura, Cristina Campo, ripeté molte volte e con amore il nome del santo nelle sue lettere. Così l’epistolario che è stato accostato a quelli di Tasso e Leopardi, per collocarlo quindi tra i massimi della nostra storia, racconta di guarigioni dovute al «frate taumaturgo», parla di raccomandazioni di malati allo stigmatizzato o di spiegazioni come questa: «… le preghiere che Padre Pio talvolta non riusciva a offrire per le persone più care: ‘segno che Dio chiedeva loro maggiore pazienza’…»; quando le sue interlocutrici erano in particolari difficoltà mandava loro le popolari immaginette, i «santini» che più irritano le persone colte. Addirittura in una lettera a Djuna Barnes, eroina della Festa mobile parigina, formidabile autrice di Nightwood, poetessa americana nella torre d’avorio della sua vecchiaia, confidò del cappuccino di San Giovanni Rotondo: «Uno staretz taumaturgico e stigmatizzato con il dono della profezia». E probabilmente fu Cristina Campo a sottoporre a Zolla lo scritto del frate che uscì sulla rivista «Conoscenza religiosa», nel numero 1 del 1970.
Tratto da fogli sparsi che componevano una lettera di padre Pio a un devoto, ebbe un titolo redazionale, Breve trattato sulla notte oscura, e una nota di Zolla che lo presentava come l’«ultimo taumaturgo e mistico cristiano». Aggiungendo subito dopo parole che umiliavano i letterati del tempo, alle prese con gli effimeri gingilli contestativi (e altrettanto umilia i nostri contemporanei che si confortano con gingilli apologetici della ricchezza): «È mancata la forza di un Dostoevskij a cogliere qualcosa della straordinaria ‘discesa del divino’ nell’umano cui si assistette per decenni in un villaggio di Puglia». Zolla non entra nelle questioni teologiche e meno che mai distribuisce patenti di santità, si limita a un giudizio letterario su questo inedito ‘padre Pio scrittore’: «la descrizione della purgazione sensibile e intellettuale è un pezzo classico di teologia mistica». Lo avvicinava così, anche nel titolo, al più classico degli autori mistici, Giovanni della Croce.
Anni dopo, rilascerà una intervista, Il mistico venuto dal Seicento, uscita nel volume Lacrime e sangue, in cui testimonia: «A quel tempo dirigevo una rivista, ‘Conoscenza religiosa’, dove pubblicai un saggio di Padre Pio che mi parve meraviglioso. Era scritto alla maniera dei grandi mistici del Seicento, ovvero si basava sull’interpretazione tipicamente cattolica dell’Antico Testamento. Ci sono passi impenetrabili a una mente comune, che venivano usati come repertorio di espressioni per indicare gli stati mistici, quasi ineffabili. Tutti i profeti erano utilizzati in modo perfetto da questo monaco semplicissimo, pressoché analfabeta. Usava alcune espressioni per indicare le modificazioni della psiche che avvengono a un grado molto assottigliato di allenamento. Mi parve un vero capolavoro, una rievocazione del Seicento».
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