venerdì 16 marzo 2012

L'urto della magnificenza romana

~ UNA GRANDE INVENZIONE CATTOLICA:
IL BAROCCO. NELLE PAROLE DI LORENZO GIUSSO,
SCRITTORE DIMENTICATO ~

Lorenzo Giusso (Napoli, 1900 – Roma, 1957) fu pensatore, letterato, ispanista. I brani del fiammeggiante saggio che riportiamo sono tratti dalla sua relazione su 'cultura cattolica e barocco' che tenne, nel 1954, a uno dei congressi internazionale di studi umanistici, i leggendari appuntamenti organizzati dal conte Enrico Castelli Gattinara (in Retorica e Barocco, atti del convegno, Roma 1955). Neppure sul web si fa cenno a questo scritto di Giusso, nessuna bibliografia lo menziona: sepolto. Appena un aperitivo le righe che qui mettiamo on line, per invogliare a leggere le sue opere rintracciabili con un po’ di buona volontà in qualche pubblica biblioteca: Spagna e Antispagna (da Calderón a Ortega Y Gasset, di cui fu amico), Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Il viandante e le statue, con uno strepitoso saggio sul personaggio dannunziano, le poesie del Don Giovanni ammalato…).

«Il barocco emana da sé un radicale ampliamento dei canoni estetici, un’indiscriminata accettazione dell’apparenza. Quel suo straripare dai canoni rettilinei, quella sua infatuazione per parabole ed iperboli, quella sua ornamentazione agglutinata di sarmenti, di viticci, di nasse, di raggi transveberanti, di genii o di teschi, quelle sue cupole a spirale dove traspare qua e là la sagoma del tempio orientale, attestano la volontà di comprendere Iddio nell’infinità dei suoi modi, una volontà non diversa da quella che protende i suoi pinnacoli concettuali nel De Infinito, Universo et Mondi di Bruno o nell’Ethica di Spinoza. Il barocco architettonico e plastico procede alla riabilitazione di tutte le forme, al censimento di tutte le credute irregolarità o aberrazioni. È la mobilitazione di tutte le apparenze mondiali, compresi i cadaveri e i mostri. La natura e l’animalità, fino allora sottoposte a rigorosa quarantena, irrompono in massa. La pampa e il deserto, le cordigliere rocciose e le costiere oceaniche, la fauna selvaggia, i primitivi giganti dagli smisurati bicipiti forzano il tempio, già aristocraticamente selettivo come un teatro palladiano, della figurabilità. Quella fiera campionaria di mostri, di fiere, di centauri, di sileni, di colossi mitologici, dalle schiene traboccanti di pigmenti, quegli inarcamenti di groppe e di addomi stanno ad indicare nella pittura di Rubens, come nella prosa di Bruno, l’approssimazione del ferino al Divino, e viceversa.

L’epoca del Cavaliere

[Bernini] si professa disperato di raggiungere i Greci, si atteggia ad imitatore mentre è veramente il genio dell’immaginazione che mobilita tutto il magazzino delle sue risorse. Non gli bastano i corpi. Mette a contributo l’elemento ondoso, gli sciacquii della luce, fa entrare nella sua giurisdizione i vortici delle fiamme e le ondulazioni dell’etere, gli inturgidimenti della morte e gli sfioccamenti della spuma. Le sue fontane monumentali sono capricci naturali dove stanno in bilico quadrighe solari, cavalli natanti e colate e cascate di marmo divallano, e tripudi muscolari accerchiano i geroglifici degli obelischi […]. Il mondo di Michelangelo è un mondo austero: i suoi personaggi esprimono grandezze imperiose e legislative, comminano sanzioni e intonano versetti biblici. In Bernini l’immaginazione adora se stessa in una sorta di impersonalità scintillante, in un galleggiamento oceanico di tutte le apparenze e di tutte le forme.

La Controriforma è una grandiosa riconquista del mondo attraverso la taumaturgia dell’arte. Nei primi decenni di quest’epoca soprattutto, arti plastiche, eloquenza, musica, regìa spettacolare, vengono precettati ad majorem Dei gloriam. Germania, Olanda, Scandinavia non producono che commentari irosi, sillogi giuridiche, controversie o trattati delle rivoluzioni. […]

Duro è l’urto della magnificenza italiana contro quella che Bruno qualificò la ‘ribaldaria’ e cioè la mutria aggressiva protestante. È una suprema mobilitazione degli dèi e mostri, un sistema di fortificazioni delle montagne classiche, dell’Elicona e del Parnaso, ribenedette di incenso e di benzoino, contro il rigore della scienza. […]. Descartes, pur confessandosi cattolico, si allinea coi Bilderstürmer, coi rovesciatori di immagini. È forse questa la frattura del Rinascimento. La meccanica celeste surroga nel dominio degli spiriti il panpsichismo pagano. Egli vive in un mondo senza immagini, in un mondo di parallassi, di sezioni coniche di spirali, di rondelle e di particelle bislunghe […]. Prima di Wagner, Bernini ha concepito una sorta di cooperazione magica di tutte le arti: le negromanzie di Bayreuth sono state anticipate in grande scala da certi suoi monumenti (come nel grande concerto fluviale di Piazza Navona) i quali sono rocce e bacini, caverne e cascate rifabbricate dall’arte. […] Roma diventa così una serie di convegni mitologici, di grovigli spettacolari, di girandole e di fuochi d’artificio solidificati.

I diritti dell’immaginazione

Questo mondo monumentale e impressionistico, questa avventura colorata in marmo e travertino, questa mobilitazione di divinità, di obelischi, di gravitazioni statuarie e di frontespizi ellittici – è quanto l’Italia e la Controriforma hanno opposto alla critica biblica e alle controversie del diritto ecclesiastico. Alla vita come ragione si contrappone una immensa e ilare spettacolarità. Roma diventa una centrale di meraviglie immaginative e di magie sincretiste. […] Ciò che rende affascinante per gli stranieri il cattolicesimo dell’epoca del ‘Cavaliere’ e di Urbano VIII, ciò che determina il flusso delle conversioni dei protestanti olandesi e tedeschi è questa solidarietà del Verbo Cattolico con l’architettura, con le arti e con le umane lettere.

Il Romanticismo, in numerosi suoi esponenti – Novalis, Schlegel, Schelling – cattolicizza. […] Buon numero degli scrittori pre-romantici guardano all’Italia come a una terra d’elezione. […] Potremmo dire che Cristina [di Svezia] presenta, in pectore, Le Génie du Christianisme (cioè la sua apologia autorizzata dai diritti dell’immaginazione), come in lei sono presentite tutte le apologie disingannanti dell’illuminismo. L’orrore da Cristina professo per i ‘predicanti’ riformati diventerà ai primi dell’Ottocento, l’insofferenza dei poeti e ideologi romantici per le disseccate analisi del pensiero, rinvilito a sensazione trasformata che i monotoni procedimenti dell’‘ideologia’ ricondussero alla religione o, quantomeno, a un dialettismo religioso di tipo di quello di Hegel».

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