~ NUOVE MICRO-MACCHINE FANTASCIENTIFICHE
RENDEREBBERO INUTILE L’ARTE FIGURATIVA. MA… ~
L’altro ieri si è diffusa la notizia che un cubetto grande quanto un ninnolo da tenere al collo (o all’occhiello della giacca come un distintivo) e in grado di scattare una foto ogni trenta secondi senza premere alcun pulsante diverrà un duplicato della nostra memoria, archiviabile sul pc, sempre a portata di mano. Non ci sarà bisogno di ricordare una scena dell’infanzia o di cancellarla (le censure freudiane), basterà ritrovarla con un motore di ricerca. Tutto resterà eternamente consultabile. Già nel mese di febbraio, la micro-macchina fotografica che non si stanca mai e che si chiama Memeto sarà messo in vendita a 150/200 euri; in pochissimo tempo, come accade sempre in questi casi, il prezzo si abbasserà, la tecnologia si affinerà, e la nostra vita, tutte le nostre vite saranno bloccate in una rappresentazione senza tempo.
Subito spuntano amicali, garbate e ragionevoli obiezioni a quanto questo «Almanacco» va dicendo sulla iconoclastia trionfante: adesso non si parla più di semplice inflazione delle immagini, siamo a livelli ben peggiori dei tassi inflattivi della Repubblica di Weimar, anzi la realtà stessa diviene una immagine, vi si specchia, un mare di immagini, ferme o in movimento, come si vuole, tutte comunque paralizzanti la nostra coscienza, la nostra memoria, il nostro gusto. D’accordo – ci dicono allora – sulle miserie del contemporaneo, sulla sua commercializzazione esasperata, sul suo carattere mafioso, come sostiene Fumaroli, sul suo gioco puerile, ma come è possibile davanti a questa trasformazione antropologica del mettere in scena, del rappresentare noi stessi e il mondo intorno, annullando anzi l’esterno (e l’interno), ricorrere alla immagine tracciata alla maniera di Cimabue o di Tiepolo o di Picasso? Quella dose di verismo, che è sempre stato il condimento d’ogni opera d’arte, che senso avrebbe oggi di fronte al doppio perfetto del mondo che queste e altre macchine si propongono?
Una sola contro-obiezione: perché, almeno fino adesso, l’opera d’arte del passato, l’opera d’arte eterna, quella di Cimabue, di Tiepolo o di Picasso, ci tocca hic et nunc così profondamente, ci turba nonostante i miliardi di immagini vuote che ci attorniano, gli iperrealismi, gli onnipotenti e tonitruanti media?
Post scriptum - I giudici della Alta corte di New York hanno deciso che le ballerine di lap-dance della città «non fanno arte». Nonostante le mille vie eretiche che il contemporaneo sarebbe costretto a battere a causa dell’inflazione di immagini nella società dello spettacolo, nonostante la body art e tutte le trovate più capziose cui ricorrono i suoi adepti pur di non raffigurare secondo umani procedimenti, i magistrati hanno sentenziato così, forse per una flagranza erotica che persiste in simili performances e che manca del tutto alle mortifere esibizioni che avvengono nelle gallerie e nei musei. Altri giudici, da noi, decretano quello che devono fare e dire gli scienziati, comminando anni di galera alle ipotesi scientifiche. Triste che siano i magistrati a stabilire quel che è arte e quel che è scienza.
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