DEL DEPOSITO DELLA FEDE? ~
Oscurato da risibili risultati elettorali in Italia, l'atto definitivo del pontificato di Benedetto XVI si avvia alla sera nella distrazione dei suoi romani. Degli interpreti intelligenti di questo epilogo provano a leggere le frasi di addio contenute nell’ultimo Angelus pubblico di Benedetto come la migliore spiegazione di quel suo gesto misterioso di rinuncia: il pontefice, allo stesso modo di Pietro nel Vangelo della Trasfigurazione, si vorrebbe dedicare alla contemplazione, e lascerebbe ad altri il compito del pastore. Difficile da accettare. Forse è la conclusione del papato degli ultimi centocinquanta anni senza più il potere temporale, senza più la parte terrena, anzi così spirituale da divenire incomprensibile (o sospettato delle peggiori nequizie), che si presenta come una comunità di angeli o quanto meno di monaci in un piccolissimo regno che pur somiglia tanto al resto degli altri stati. E un giorno il monaco si fa eremita. Ma non si rimane papa anche giacendo in un ospedale o chiuso in una prigione o riparato in una cella di preghiera? «Pasci le mie pecorelle», è vero, dice Gesù a Pietro, eppure in questa epoca della visibilità assoluta anche un anacoreta potrebbe rappresentare una grande figura di papa (un qualche cenobio è scovabile pure nella valle vaticana, e san Benedetto da Norcia benché in fuga dalla societas secolare – «ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia del mondo per non precipitare anche lui totalmente nell’immane precipizio» – seppe poi far da guida a molte anime). Un modello ascetico, agli antipodi dell’universo mediatico, sarebbe già una forma pastorale, un insegnamento silenzioso. Perché contrapporre nettamente la ricerca spirituale al ministero petrino?
In un’intervista di undici anni fa allo storico cattolico Giorgio Rumi (1928- 2006) – sulla rivista «30giorni» (anno 2002, n. 5) – , parlando della lunga malattia di Giovanni Paolo II, si diceva come il papa non fosse la star costruita dai media, come anche un vecchio malato potesse, nell’eremitaggio della sofferenza, rappresentare Cristo su questa terra:
«La sovraesposizione mediatica contribuisce a distorcere tutto. Lo si vede bene in questo stillicidio morboso di notizie e dibattiti sulla salute del Papa regnante . […] La funzione propria del ministero del papa è custodire il deposito della fede. Questo, il papa può farlo anche dal suo letto di ammalato. Se poi vuole andare a trovare i cento cattolici in Azerbaigian, per confermarli nella fede, anche questo può farlo pure in carrozzella. Invece, l’esposizione mediatica ha reso impensabile il fatto che un papa possa esercitare il suo ministero anche se è chiuso in una stanzetta, lontano dai riflettori. Anche se non assume un profilo da personaggio. Sembrano tutti scandalizzati, sconvolti perché non è più giovane e aitante. Vedo una certa crudeltà diffusa in come viene trattato l’argomento dei malanni del Papa. Quasi ci fosse l’auspicio di allontanarlo. Invece di rispettarlo come un padre a cui si vuol bene, e che rimane padre, anche se è vecchio e malato».
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