~ «SU, PAPA, RESISTI AL MONDO!» ~
~ COSÌ I SANTI FACEVANO CORAGGIO AL PASTORE ~
I vecchi roncalliani, devoti come sono al processo storico lineare, al progressismo obbligato, non speravano più nel ritorno di certi discorsi pronunciati dal balcone apostolico (o dai suoi dintorni, dalla sua dépendance) e di certi entusiasmi laici (magari assai interessati, al pari di quelli sovietici per il ‘papa buono’), insomma non si rendevano conto – nonostante se lo fossero ripetuti con enfasi – che lo Spirito soffia dove vuole e manda all’aria i progetti degli umani, i sogni come gli scoramenti, gli incubi come il sempreuguale. Nel frattempo, convinti che non restasse loro che la critica, la esercitavano con malignità e con estraneità nei confronti di Roma, in particolare si scatenavano contro il nobile e mite papa tedesco, almeno finché egli non si fece da parte ottenendo il plauso scostumato di tutti i suoi avversari. Cosicché quando dalla sponda tradizionalista, sgomenti per il doppio colpo subìto (le dimissioni e la soluzione a sorpresa uscita dal conclave) si provò ad avanzare qualche timido rilievo alle novità subito introdotte; quando tra mille distinguo e patetici tentativi di salvare qua e là una parola o un gesto, apparvero esterrefatti per questo disamore del «Vescovo» verso la storia della Chiesa (e non in una dimensione apocalittica che vanifica il passato di fronte all’ora decisiva, tutt’altro), furono immediatamente redarguiti dagli esultanti fedelissimi del Vaticano II e addirittura zittiti con richiami alla disciplina cattolica, all’obbedienza dovuta al pontefice. Tutti santi sarebbero a questo punto i papi degli ultimi secoli, e nessuno osa più polemizzare con loro apertamente, richiamandosi piuttosto a untuose regole mondane pur essendo scomparse da tempo in Vaticano tutte le pompe. In secoli che si considerano oscuri e pericolosi per le libertà civili, uno come Dante, il sommo scrittore cattolico, non temeva di schiaffeggiare in endecasillabi un papa (prima dello schiaffo vero e proprio che gli emissari del re di Francia impressero sulle auguste guance), addirittura lo giudicava dannato e lo schiaffava all’Inferno ante mortem, dunque ancora regnante. Anzi, mise all’Inferno, o quanto meno al suo ingresso, anche il predecessore Celestino V perché con le sue dimissioni, giuridicamente a posto ma sovversive della continuità apostolica in cui i pontefici portavano il testimone fino alla morte, aveva rotto l’ordine millenario e fatto salire sul trono di Pietro un papa che in qualche modo mutava il ministero petrino. Allora, quel che era lecito nel Medioevo (accuse sì sonore), o che comunque non scandalizzava più di tanto, risulterebbe impossibile nell’epoca della dissacrazione totale? Ma questa è finzione poetica, si obietterà, ferocia politica che assume forma letteraria, non può servire da modello per la cattolicità adulta o decrepita.
E Paolo allora, apostolo adottivo, che attaccò senza mezzi termini il principe degli apostoli? E se a prendersela con il papa è una santa, una vita esemplare (come è sempre la vita di chi sale alla gloria degli altari) e una dottrina fuori del comune (al punto d’essere una delle quattro ‘dottore della Chiesa’)? Naturalmente stiamo parlando di Caterina da Siena. Quando il papa appariva troppo indulgente verso il suo gregge, la giovane senese terziaria domenicana (Caterina visse appena trentatré anni) osava scrivergli (meglio: dettare, ché la santa era analfabeta): l’amor proprio anche di un papa fa sì che i fedeli «non li corregge; o se pure li corregge li corregge con tanta freddezza e tiepidità di cuore, che non fa cavelle [aliquid], ma è uno l’impiastrare il vizio e sempre teme di non dispiacere, e di non venire in guerra. Tutto questo è perché egli ama sé. E alcuna volta è che essi vorrebbero fare pur con pace; io dico che questa è la più pessima crudelità che si possa usare. Se la piaga, quando bisogna, non s’incende col fuoco, e non si taglia col ferro, ma ponesi solo l’unguento; non tanto ch’egli abbi sanità, ma imputridisce tutto, e spesse volte ne riceve la morte». E il papa, il francese Gregorio XI, miracolosamente la stava ad ascoltare, le dava retta.
Il pontefice romano era stato oltraggiato con lo schiaffo francese ma i successori di Bonifacio per rispetto del mondo, per paura della sua potenza, si dedicarono allo schiaffeggiatore, ne furono feudatari e ostaggi, trasferirono la sede di Pietro in terra d’oltralpe. Caterina tempestava Avignone di epistole nelle quali affrontava con carità cristiana le timidezze di quello che, viste le circostanze, non si poteva più chiamare ‘il vescovo di Roma’ ma a cui la santa si rivolgeva con il più compromettente appellativo di ‘Vicario di Cristo’. «Scrivo a voi nel prezioso sangue [di Cristo]; con desiderio di vedervi uomo virile e senza alcun timore servile». E in coda una volta aggiunse a mo’ di minaccia profetica: «Maladetto sia tu, che ’l tempo e la forza che ti fu commessa, tu non l'hai adoperata». Riportare il papa a Roma era la parola d’ordine, contro la corte pontificia che argomentava con sapienza ed eleganza e talvolta impaurendo il povero Gregorio con i pericoli che lo aspettavano sul Tevere. Che un ardore di carità – replicava la donna – «non vi faccia udire la voce dei demoni incarnati [cioè dei curiali], e non vi faccia temere il consiglio di perversi consiglieri». Instancabile, Caterina insisteva con le sue esortazioni al coraggio che spetta all’uomo: «Su, virilmente, padre! Ch’io vi dico che non bisogna temere». O più soavemente: «Pregherò il dolce e buon Gesù che vi tolla ogni timore servile, e rimanga soltanto il timor sacro». Una volta, il capitolo domenicano si riunì per discutere di queste lettere: a qualcuno con la mania psicologistica sembrava che l’audace senese fosse malata di protagonismo, ma al consesso dei padri predicatori parve che la loro consorella fosse bene illuminata dall’alto dei cieli.
Riportare il papa a Roma era il primo punto della missione cateriniana e la missione andò in porto, Gregorio tornò sulla tomba di Pietro, ma subito dopo la santa agitava la questione della crociata contro il mondo islamico. Ricordiamo che i Dottori della Chiesa sono quelle figure straordinarie che per la loro dottrina integrano il magistero dei pontefici, dunque anche su quanto andava dicendo in materia bellica conviene riflettere rispettosamente, senza sorrisini post-moderni: «Pigliate l’arma della santissima croce che è la sicurtà e la vita dei cristiani», Gesù stesso – riferisce l’interlocutrice del papa – nelle visioni concesse alla santa così le si rivolgeva: «or ti dico, ch’io voglio che egli [Gregorio XI] levi la croce santissima sopra gli infedeli». Martellava l’orecchio papale con il ritornello: «rizzare il gonfalone della santissima croce sopra gli infedeli». Allora, una volta riconquistato il Mediterraneo, gli diceva, «potrete ministrare il sangue dell’Agnello nelli tapinelli Infedeli; perocché voi siete il cellario [il cantiniere] di questo sangue e che ne tenete le chiavi». Non si parlava in tali dialoghi santi di ‘collegialità’. Quanto all’amore cristiano verso tutti, mentre qualcuno consigliava al papa con paradosso mistico di trasferirsi tra gli infedeli, Caterina spiegava: «Non vi consiglio però, dolce padre, che voi abbandoniate quelli che vi sono figliuoli naturali, e che si pascono alle mammelle della sposa di Cristo, per li figliuoli bastardi, che non sono ancora ligittimati col santo battesimo; ma spero per la bontà di Dio, che andando e’ figliuoli legittimi con la vostra autorità e con la virtù divina del coltello della parola santa, e con la virtù e forza umana, essi torneranno alla madre della santa Chiesa, e voi li ligittimerete. Questo pare che sia onore di Dio, utile a voi, onore ed esaltazione della dolce sposa di Cristo Gesù; più che seguitare il semplice consiglio di questo giusto uomo, che vi pone, che meglio vi sarebbe, a voi e ad altri ministri della Chiesa di Dio, abitare fra gl’infedeli Sarraceni, che fra la gente di Roma o d'Italia». ‘Illegali’, ‘clandestini’, le sarebbero parsi termini insulsi, l’unica legittimazione era per lei quella del battesimo.
Standole la questione particolarmente a cuore, ricorreva a metafore materne per fortificare il padre: «A me piace la buona fame, che egli ha della salute degl’infedeli; ma non mi piace che egli voglia tollere il padre alli figliuoli legittimi, e il pastore alle pecorelle congregate nell’ovile. E mi pare che voglia fare di voi, come fa la madre del fanciullo, quando li vuole tollere il latte di bocca che si pone l’amaro in sul petto, acciocchè senta prima l’amaritudine che il latte; sicchè per timore dell’amaro abbandoni il dolce: perchè ’l fanciullo s’inganna più con l’amaritudine, che con altro. Così vuole fare costui a voi, ponendovi innanzi l’amaritudine del veleno e della molta persecuzione, per ingannare la fanciullezza dell’amore tenero sensitivo, acciocchè per paura lassiate il latte; il quale latte di Grazia séguita dopo il dolce avvenimento vostro. E io vi prego da parte di Cristo crocifisso, che voi non siate fanciullo timoroso, ma virile. Aprite la bocca, e inghiottite l’amaro per lo dolce. Non si converrebbe alla vostra santità d’abbandonare il latte per l’amaritudine. Spero per la infinita e inestimabile bontà di Dio, che, se vorrete, vi farà grazia, a noi, e a voi; e che voi sarete uomo fermo e stabile, e non vi muoverete per verano vento, nè illusione di dimonio, nè per consiglio di dimonio incarnato; ma seguiterete la volontà di Dio, e il vostro buono desiderio, e il consiglio de’ servi di Gesù Cristo crocifisso». Grande pietà verso gli altri mostrava Caterina, centrale era la salvezza degli infedeli ma primaria la cura dell’ovile-ecclesia di cui il papa era il pastore.
Nell’ultima epistola a Gregorio, incoraggiandolo come al solito, si lasciava andare a un’affermazione che a noi in questi tempi risuona suggestiva: «dovete usare le virtù e le potenzia vostre: e non volendole usare meglio sarebbe rifiutare quello che è preso: più onore sarebbe e salute dell’anima vostra sarebbe». Ovvero, a differenza di Dante, la santa Dottora riteneva che nel caso il papa si sentisse venir meno il coraggio per governare degnamente la Chiesa affidatagli, sarebbe opportuno ridare indietro la potestà delle chiavi di Pietro, insomma parlava di onorevoli dimissioni.
(Tutte le citazioni sono tratte da Lettere a papi e cardinali, a c. di G. Pensabene, Roma, 1968)
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