~ L’OLTRAGGIO È ALLA CULTURA CATTOLICA ~
A tal punto si è affermata la dittatura del comico, la guerra della satira, la cultura dello scherzo stupido, che un senatore italiano ha prima oltraggiato una donna ministro – dimentico della regola che le signore di qualsiasi sangue siano non si insultano (villanzone longobardo!) – e poi si è scusato dicendo di celiare, credendo così di rifugiarsi in una enclave al riparo delle buone maniere. Dall’altra parte, chi difende la dama offesa, mostrando grande scandalo, dimentica che per i paladini del darwinismo – in gran schiera tra gli scandalizzati – la somiglianza con lo scimmione non è un’offesa bensì una verità scientifica, un dogma del sapere, l’icona che trionfa sulle arcaiche immagini bibliche. È dal tempo dell’illuminismo che si è messa in ombra la scena del Dio creatore dell’uomo «a sua immagine e somiglianza», scena raffigurata con somma virtù da Michelangelo nella Cappella Sistina, per sostituirla con un laboratorio dove gli scienziati procedono alla misurazione dei crani, dei nasi e della distanza degli occhi, via via fino ad arrivare agli incroci delle razze come se ne era parlato soltanto nei trattati di zoologia, teorizzando in modo lieve e allegro di uno «scimmione intelligente» che per qualche misterioso accidente governa l’universo ma che negli ultimi tempi, per paura di concedere ancora qualcosa alla metafisica, è visto sempre più come il frutto, al pari di altri animali, dell’onnipotente ambiente e delle formule chimiche, a loro volta risultato dell’evoluzione genetica. In quel sinistro laboratorio sembra esserci pure Kant, nonostante che per retaggio cristiano gli restasse ancora un’idea politica dell’eguaglianza, ma poi nell’osservazione della natura, nella libera ricerca scientifica, nella confusione tra animali e umani, veniva fuori la classifica delle razze (a quella negra, per il filosofo della coscienza, toccava l’ultimo posto). Anche in questo campo Kant ebbe un’influenza spaventosa sulla modernità. Sarebbe bastata un affermazione del medioevale Tommaso d’Aquino per vanificare questi razzismi biologici: «Natura fecit omnes homines acquales in libertate, non autem in perfectionibus naturalibus». La cultura cattolica lo ripete da millenni, quel che conta è la scelta evangelica, il verbo e il sacramento che liberano dalla necessità naturale – a cominciare dalla morte –, non le presunte perfezioni di una razza o dell’altra, non la bellezza o la bruttezza che la natura distribuisce malignamente. Ma ormai perfino sui banchi della scuola primaria si apprende che la comune origine è nello scimmione, l’antenato dunque un orango, logico se ne colgano le somiglianze. Lo sgarbo selvaggio naturalmente esisteva anche nel mondo pre-moderno e il sempliciotto faceva un facile accostamento ricorrendo all’epiteto di scimmia ma le similitudini animalesche non contenevano ancora il veleno biologico che i positivismi anticattolici hanno diffuso sulla terra. Perciò oggi una battuta si trasforma in uno sfregio.
Le battute però hanno una loro pesantezza di pietre anche quando sono pronunciate dai comici, i nuovi sacerdoti dell’etica laica e democratica attuale. I loro sermoni grevi vengono invece considerati sempre magistrali, ogni sboccata caricatura, ogni vile improperio è subito citato dai giornali come fosse una nuova apposizione riferita alla vittima dello sberleffo, offesa che in circostanze extra-buffonesche provocherebbe querele, condanne, riparazioni. Ma nell’inferno della risata (i Padri del deserto si immaginavano che nel Regno di Satana si imponesse una ridarella continua e demente), in quel ‘sacro’ capovolto che esige più rispetto di quello vero, nessuno osa mai prendersela per non incorrere nel peccato mortale di mancanza di ironia, nessuno salvo in certi peccati speciali, ovvero quelli che la sinistra considera tali. Basta per esempio che il comico abbia ‘generalizzato’ o come in questo caso che non si tratti di un comico bensì di un politico. E avanza l’idea ‘forte’ del «contesto», che nelle architetture intellettuali dei progressisti è tutto. Così se trovi un orinatoio in un negozio di sanitari è appunto un orinatoio, ma nel contesto di un museo e con la firma di Duchamp appare come un’opera d’arte; se un attore sghignazza su una deputata bellina e la ribattezza puttana è l’incarnazione della Vox populi, se un politico parla della bruttezza di una sua collega risulta un mascalzone maleducato. Anche la darwiniana «struggle for life and death» una volta tolta dal contesto biologico dove è considerata scienza purissima e trasportata sul piano sociale diventa «darwinismo sociale», espressione che a quelli del 'contesto' suona come una parolaccia.
A tal punto si è affermata la dittatura del comico, la guerra della satira, la cultura dello scherzo stupido, che un senatore italiano ha prima oltraggiato una donna ministro – dimentico della regola che le signore di qualsiasi sangue siano non si insultano (villanzone longobardo!) – e poi si è scusato dicendo di celiare, credendo così di rifugiarsi in una enclave al riparo delle buone maniere. Dall’altra parte, chi difende la dama offesa, mostrando grande scandalo, dimentica che per i paladini del darwinismo – in gran schiera tra gli scandalizzati – la somiglianza con lo scimmione non è un’offesa bensì una verità scientifica, un dogma del sapere, l’icona che trionfa sulle arcaiche immagini bibliche. È dal tempo dell’illuminismo che si è messa in ombra la scena del Dio creatore dell’uomo «a sua immagine e somiglianza», scena raffigurata con somma virtù da Michelangelo nella Cappella Sistina, per sostituirla con un laboratorio dove gli scienziati procedono alla misurazione dei crani, dei nasi e della distanza degli occhi, via via fino ad arrivare agli incroci delle razze come se ne era parlato soltanto nei trattati di zoologia, teorizzando in modo lieve e allegro di uno «scimmione intelligente» che per qualche misterioso accidente governa l’universo ma che negli ultimi tempi, per paura di concedere ancora qualcosa alla metafisica, è visto sempre più come il frutto, al pari di altri animali, dell’onnipotente ambiente e delle formule chimiche, a loro volta risultato dell’evoluzione genetica. In quel sinistro laboratorio sembra esserci pure Kant, nonostante che per retaggio cristiano gli restasse ancora un’idea politica dell’eguaglianza, ma poi nell’osservazione della natura, nella libera ricerca scientifica, nella confusione tra animali e umani, veniva fuori la classifica delle razze (a quella negra, per il filosofo della coscienza, toccava l’ultimo posto). Anche in questo campo Kant ebbe un’influenza spaventosa sulla modernità. Sarebbe bastata un affermazione del medioevale Tommaso d’Aquino per vanificare questi razzismi biologici: «Natura fecit omnes homines acquales in libertate, non autem in perfectionibus naturalibus». La cultura cattolica lo ripete da millenni, quel che conta è la scelta evangelica, il verbo e il sacramento che liberano dalla necessità naturale – a cominciare dalla morte –, non le presunte perfezioni di una razza o dell’altra, non la bellezza o la bruttezza che la natura distribuisce malignamente. Ma ormai perfino sui banchi della scuola primaria si apprende che la comune origine è nello scimmione, l’antenato dunque un orango, logico se ne colgano le somiglianze. Lo sgarbo selvaggio naturalmente esisteva anche nel mondo pre-moderno e il sempliciotto faceva un facile accostamento ricorrendo all’epiteto di scimmia ma le similitudini animalesche non contenevano ancora il veleno biologico che i positivismi anticattolici hanno diffuso sulla terra. Perciò oggi una battuta si trasforma in uno sfregio.
Le battute però hanno una loro pesantezza di pietre anche quando sono pronunciate dai comici, i nuovi sacerdoti dell’etica laica e democratica attuale. I loro sermoni grevi vengono invece considerati sempre magistrali, ogni sboccata caricatura, ogni vile improperio è subito citato dai giornali come fosse una nuova apposizione riferita alla vittima dello sberleffo, offesa che in circostanze extra-buffonesche provocherebbe querele, condanne, riparazioni. Ma nell’inferno della risata (i Padri del deserto si immaginavano che nel Regno di Satana si imponesse una ridarella continua e demente), in quel ‘sacro’ capovolto che esige più rispetto di quello vero, nessuno osa mai prendersela per non incorrere nel peccato mortale di mancanza di ironia, nessuno salvo in certi peccati speciali, ovvero quelli che la sinistra considera tali. Basta per esempio che il comico abbia ‘generalizzato’ o come in questo caso che non si tratti di un comico bensì di un politico. E avanza l’idea ‘forte’ del «contesto», che nelle architetture intellettuali dei progressisti è tutto. Così se trovi un orinatoio in un negozio di sanitari è appunto un orinatoio, ma nel contesto di un museo e con la firma di Duchamp appare come un’opera d’arte; se un attore sghignazza su una deputata bellina e la ribattezza puttana è l’incarnazione della Vox populi, se un politico parla della bruttezza di una sua collega risulta un mascalzone maleducato. Anche la darwiniana «struggle for life and death» una volta tolta dal contesto biologico dove è considerata scienza purissima e trasportata sul piano sociale diventa «darwinismo sociale», espressione che a quelli del 'contesto' suona come una parolaccia.
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